martedì 17 gennaio 2017

Ecuador - Così Correa reprime ecologisti e indigeni

La violenza armata sociale e istituzionale del governo di Quito non si può criticare. Acción Ecológica, organizzazione indipendente molto nota per le denunce delle devastazioni ambientali operate in nome dello sviluppo e dello sterminio dei popoli indigeni, lo fa e la sua è da trent’anni una voce autorevole ascoltata in tutto il mondo. Per questo Rafael Correa, presidente dell’Ecuador, a capo di un governo “progressista” che dice di rappresentare la “rivoluzione dei cittadini”, ha avviato la procedura istituzionale per farla sciogliere. Vuole mettere a tacere, in particolare, le informazioni sulla repressione della lotta degli Shuar, popolo dell’Amazzonia, contro un’impresa mineraria cinese che, oltre a contaminazione, desolazione e miseria per i popoli indigeni, lascerà all’Ecuador appena delle briciole del suo redditizio business estrattivista
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foto: http://www.infobae.com
di Silvia Ribeiro
Lo scorso 20 dicembre, il governo dell’Ecuador ha iniziato la procedura per sciogliere l’organizzazione Azione Ecologica (AE), che da 30 anni ha una traiettoria ampiamente riconosciuta a livello nazionale e internazionale.Questa misura di estremo autoritarismo e intolleranza alla critica sociale, cercando di silenziare un’organizzazione sociale indipendente, coincide con l’aumento della militarizzazione e della repressione contro il popolo indigeno shuar nella Cordigliera del Cóndor e la denuncia da parte di AE delle violazioni lì commesse. A favore di chi è tanta violenza armata, istituzionale, sociale? È per aprire la strada e difendere gli interessi della Explorcobres S.A. (EXSA), impresa mineraria cinese, che oltre a contaminazione, desolazione e miseria per i popoli indigeni, lascerà all’Ecuador appena delle briciole.
Il popolo shuar non ha lasciato dubbi sulla propria opposizione all’attività mineraria e agli altri mega-progetti nei suoi territori. Come gli altri popoli indigeni, da decenni hanno attivamente resistito all’avanzata delle imprese minerarie e petrolifere. Gli è costato repressione, criminalizzazione e l’assassinio di molti dirigenti. Già nel 2006, gli shuar espulsero gli accampamenti dell’EXSA e di una impresa idroelettrica che si disponeva a rifornirla. Insieme ad altri popoli hanno formato delle reti di popoli contro l’attività mineraria.
Nel 2006 questa forte mobilitazione paralizzò in varie province dei progetti minerari, dando il motivo al presidente Correa, allora in campagna elettorale presidenziale, di affermare che avrebbe “rivisto la politica estrattiva”. Con il processo dell’Assemblea Costituente fu stabilito un Mandato Minerario, in cui fu incluso di mettere fine alle concessioni minerarie che non avessero  avuto processi di consultazione ambientale con i popoli e le nazionalità indigene, che danneggiassero le fonti d’acqua, le aree naturali protette e i boschi, e una moratoria a nuove concessioni. Nonostante ciò, nel decennio trascorso, il governo è andato promuovendo normative che hanno svuotato di contenuto il Mandato Minerario, e invece della moratoria alle nuove concessioni, si è trasformato in un entusiasta promotore dell’attività mega-mineraria, neanche come esecutore, ma come facilitatore dello sfruttamento minerario di imprese straniere (Acosta e Hurtado  http://tinyurl.com/jjce45u).
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In questo contesto di crescente impunità, nell’agosto del 2016, la comunità shuar Nankintz, parrocchia di San Carlos Panantza, provincia di Morona Santiago in Ecuador, fu vittima di un violento sgombero da parte di poliziotti e militari, che rase al suolo le loro case e proprietà e uccise animali domestici, lasciando gli abitanti a cielo aperto per aprire la strada all’Explorcobres. (goo.gl/3mLNR9)
Questo sgombero avvenne dopo un ordine giudiziario viziato che non tenne conto della mancanza di una consultazione libera, preventiva e informata di cui hanno diritto i popoli indigeni, secondo quanto stabilito nelle leggi nazionali e nei trattati internazionali sottoscritti dall’Ecuador.
Il popolo shuar non accettò lo sgombero. Il 21 novembre e il 14 dicembre, membri del popolo shuar cercarono di recuperare il territorio a Nankintz, fatto che portò a gravi scontri con la polizia e i militari che proteggono l’impresa mineraria, con vari militari e poliziotti feriti e un poliziotto morto. Fin dal primo conflitto, la Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Amazonia Ecuadoriana, Confenaie, esortò il governo dialogare per evitare nuovi scontri, ma non ci fu accordo, al contrario, il conflitto è aumentato con l’arresto di vari dirigenti shuar e decretando lo stato d’emergenza nella provincia.
Azione Ecologica è l’organizzazione ecologista più conosciuta ed attiva del paese, con una lunga traiettoria di difesa dei diritti della natura e dei popoli, lavorando insieme a numerose organizzazioni comunitarie, di quartiere e di popoli indigeni. Il 18 dicembre, riguardo al conflitto a Morona Santiago, fece un appello per creare una Commissione di Pace e Verità. Spiegava: “noi ecuadoriani ed ecuadoriane scommettiamo sulla pace in armonia con la natura. Ma per ottenere la pace, e che sia duratura, chiediamo un bagno di verità. Abbiamo bisogno di conoscere che cosa è successo nella Cordigliera del Cóndor e in tanti altri territori dove sono stati imposti progetti minerari e di altra indole?” (www.accionecologica.org).
Il 20 dicembre il governo rispose notificando l’inizio della procedura di scioglimento dell’organizzazione, per “diffondere i gravi danni ambientali e all’ecosistema che deriverebbero dall’attività estrattiva” nella Cordigliera del Cóndor e per riferire sulla violazione dei diritti umani delle comunità che vivono in questa zona. Accusa assurda, perché questo è giustamente la missione di Azione Ecologica, che inoltre non ha mai promosso azioni violente e per questo fa un appello a stabilire una Commissione di Pace e Verità.
20649305aÈ la seconda volta che il governo cerca di chiudere Azione Ecologica -nel 2009 decretò la sua chiusura ma dovette fare marcia indietro-, oltre al fatto che l’organizzazione ha subito molestie da parte dei media ufficiali, furti ed altri abusi, anche un attacco sessuale contro un’appartenente al gruppo, per dissuaderli dalle loro attività di denuncia, documentazione e solidarietà.
Centinaia di organizzazioni di tutto il mondo hanno manifestato contro la chiusura di AE e per il rispetto dei diritti e dei territori indigeni. Cinque relatori dell’ONU hanno inviato una lettera al governo sollecitando l’immediata cessazione di queste azioni, che “asfissiano la società civile”.
È assurdo e cinico che un governo che si auto-denomina “rivoluzione cittadina” faccia appello alla chiusura delle organizzazioni le cui critiche non vuole udire. Ed è ancor più grave che a più di 524 anni dalla Conquista, continui ad abbattere a sangue e fuoco i popoli originari del continente.
*Ricercatrice del Gruppo ETC
 Traduzione del Comitato Carlos Fonseca, che ringraziamo

venerdì 13 gennaio 2017

Messico - Il potere de abajo

Che i popoli indigeni del Messico decidano di creare un consiglio di governo sembra un fatto grande importanza. Milioni di uomini e di donne stabiliscono il proprio autogoverno in modo coordinato, in un solo consiglio, che rappresenta tutti e tutte. È uno spartiacque per gli indigeni, che potrebbe avere ripercussioni in tutta la società, come avvenne nel gennaio del 1994. Raúl Zibechi commenta con ottimismo la decisione presa dall’Ezln e dal Congresso Nazionale Indigeno dopo l’ampia consultazione e l’approvazione della proposta da parte di 43 diversi popoli. L’attenzione dei media “a pagamento” si è concentrata e si concentrerà sulla portavoce indigena che verrà candidata nelle elezioni messicane del 2018 ma la cultura politica che praticano gli zapatisti e il CNI consiste nel promuovere l’autogoverno di tutti i settori della società, non hanno mai voluto governare gli altri. E non hanno alcuna intenzione di competere con i politici professionisti, perché – dicono – “non siamo la stessa cosa”
di Raúl Zibechi
Non era mai accaduto, in América Latina, che decine di popoli e nazioni indigene decidessero di dotarsi di un proprio governo. La recente decisione del quinto Congresso Nazionale Indigeno (CNI) di creare un Consiglio Indigeno di Governo che si propone di “governare questo paese” avrà profonde ripercussioni in Messico e nel mondo. La decisione è stata presa sulla base della consultazione e dell’approvazione di 43 popoli.
Come segnala il comunicato “¡Y retembló!“, siamo di fronte a decine di processi di trasformazione radicale, di resistenze e ribellioni che “costituiscono il potere del basso”, che ora si esprimerà nel Consiglio di Governo. Allo stesso modo, quell’organismo avrà come portavoce una donna indigena, che sarà una candidata indipendente nelle elezioni del 2018.
È il modo che i popoli hanno trovato perché “l’indignazione, la resistenza e la ribellione figurino nelle schede elettorali del 2018”. In questo modo, pensano di poter “scuotere la coscienza della nazione”, per “demolire il potere dell’alto e ricostituirci, non più solamente come popoli ma come paese”. L’obiettivo immediato è fermare la guerra, creare le condizioni per organizzarsi e superare in modo collettivo la paura che paralizza e provoca il genocidio (da parte di quelli) in alto.
Nella parte finale, il comunicato sottolinea che questa potrebbe essere forse “l’ultima opportunità, come popoli originari e come società messicana, di cambiare in modo pacifico e radicale le nostre stesse forme di governo, facendo sì che la dignità sia l’epicentro di un mondo nuovo”.
Fin qui, per grandi linee, la proposta e il percorso da seguire per renderla realtà. Guardando a distanza, chiama l’attenzione che le discussioni da ottobre in poi si siano centrate sulla questione della portavoce indigena come candidata nelle elezioni del 2018, lasciando da parte un tema fondamentale come (credo sia) la formazione del Consiglio Indigeno di Governo. È evidente che non si può comprendere la nuova cultura politica che incarnano il CNI e l’EZLN con i paraocchi della vecchia cultura centrata su discorsi mediatici e sulle elezioni come forma pressoché unica di fare politica.
Che i popoli indigeni del Messico decidano di creare un consiglio di governo sembra un fatto della più grande importanza. Si tratta di popoli e nazioni che non saranno più governati da altri che non loro stessi. Milioni di uomini e di donne stabiliscono il proprio autogoverno in modo coordinato, in un solo consiglio, che rappresenta tutti e tutte. È uno spartiacque per gli indigeni, che avrà ripercussioni in tutta la società, come le ebbe la sollevazione del primo gennaio del 1994.
E’ qui che conviene fare alcuni chiarimenti di fronte alle più disparate interpretazioni e, se mi sto sbagliando, anticipo le mie scuse. La cultura politica che praticano lo zapatismo e il CNI consiste nel promuovere l’autogoverno di tutti i settori della società: rurali e urbani, indigeni, contadini, operai, studenti, professionisti e tutti gli altri settori che si vogliono aggiungere. Mai hanno voluto governare gli altri, non vogliono soppiantare nessuno. Il “comandare obbedendo” è una forma di governo per tutti gli oppressi, che ciascuno sviluppa a modo suo.
Il comunicato chiarisce che gli zapatisti non vogliono competere con i politici professionisti, perché “non siamo la stessa cosa”. Nessuno di coloro che hanno conosciuto almeno un po’ lo zapatismo, lungo questi 23 anni, può immaginare che si mettano a contar voti, a inseguire incarichi nei governi municipali, statali o federali. Non si dedicheranno ad aggregare né a dividere le sigle elettorali, perché vanno per un’altra strada.
In tempi di guerra contro quelli in basso, credo che la domanda che si fanno il CNI e l’EZLN sia: come contribuire a far sì che i più diversi settori del paese si organizzino? Non è in discussione il fatto che siano loro a organizzarli, quel compito è di ciascuno di essi. Si tratta di capire come appoggiare, come creare le condizioni perché questo sia possibile. La candidatura indigena va in quella direzione, non come un “acchiappavoti”, bensì come possibilità di dialogo, perché altri e altre sappiano come hanno fatto.
La creazione del Consiglio Indigeno di Governo è la dimostrazione che è possibile autogovernarsi; se milioni di persone di popoli e nazioni possono, perché non dovrei poter io nella mia comunità, nel mio distretto, ovunque sia? Così come la sollevazione del 1994 ha moltiplicato le ribellioni, ha contribuito alla creazione del CNI e di molteplici organizzazioni sociali, politiche e culturali, così adesso può accadere qualcosa di simile. Niente è potente quanto l’esempio.
Quest’anno celebriamo il centenario della Rivoluzione d’Ottobre. L’ossessione dei bolscevichi e di Lenin, che trova conferma nel meraviglioso libro di John Reed I dieci giorni che sconvolsero il mondo, era che tutti si organizzassero in soviet, anche coloro che fino a quel momento li combattevano. Chiamavano perfino i cosacchi, nemici della rivoluzione, a creare i propri soviet e a inviare delegati al congresso di tutta la Russia. “La rivoluzione non si fa, ma si organizza”, diceva Lenin. Indipendentemente da quel che si pensi sul dirigente russo, quell’affermazione è il nucleo di qualsiasi lotta rivoluzionaria.
Il passare dall’indignazione e la rabbia all’organizzazione, solida e persistente, è la chiave di ogni processo di cambiamenti profondi e radicali. Di rabbia ce n’è anche troppa in quei momenti. Serve organizzarla. Potrà la campagna elettorale messicana del 2018 trasformarsi in un salto in avanti nell’organizzazione dei popoli? Nessuno può rispondere. Ma è un’opportunità che il potere del basso si esprima nelle forme più diverse, perfino in atti e schede elettorali, perché la forma non è l’essenziale.
Pensandoci bene, invece di accusare il CNI e l’EZLN di creare divisioni, i critici, che non sono pochi, potrebbero riconoscerne l’enorme flessibilità. Sono capaci di fare incursioni in terreni che finora non avevano calpestato e di farlo senza abbassare le bandiere, mantenendo in alto i principi e gli obiettivi. I mesi e gli anni a venire saranno decisivi per delineare il futuro delle oppresse e degli oppressi del mondo. È probabile che in pochi anni potremo valutare la formazione del Consiglio Indigeno di Governo come il cambiamento che stavamo aspettando.
 fonte: La Jornada 
Traduzione per Comune-info: marco calabria

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!