giovedì 11 maggio 2017

Venezuela - Quando la sinistra è il problema

Il fatto che la scatenata destra politica venezuelana cerchi con ogni mezzo di provocare un bagno di sangue non cancella la realtà di uno scontro violentissimo tra due élite. C’è quella tradizionale e golpista, allontanata dal potere dello Stato e impaziente di consegnare il paese nelle mani di Donald Trump e c’è la nuova borghesia “bolivariana”, un mix di alti funzionari di imprese pubbliche e dell’apparato statale, militari di alto grado e imprenditori arricchiti all’ombra delle istituzioni, preoccupata solo che tutta la struttura di potere gli cada addosso. Una situazione estrema ma anche emblematica di una drammatica realtà, non certo solo sudamericana, in cui la sinistra politica “realmente esistente” lotta per il potere, appoggiandosi ai settori popolari, solo per installare i suoi quadri nelle istituzioni. Con il trascorrere degli anni e il controllo dei meccanismi di decisione, quei quadri si trasformano in una nuova élite che, generalmente, può spodestare le precedenti, trattare o fondersi con loro. Oppure combinare tutte e tre le opzioni. La polarizzazione destra-sinistra politica è sempre più falsa ma la cosa peggiore è che la sinistra è diventata simmetrica alla destra in un punto chiave: l’ossessione per il potere.
Una parata dell’esercito venezualano del 2016. Foto Telesur Tv
di Raúl Zibechi
Quello che sta succedendo in Venezuela non ha nulla a che vedere con una “rivoluzione” o con il “socialismo”, né con la “difesa della democrazia”e nemmeno con la trita “riduzione della povertà”, tanto per passare in rassegna gli argomenti che si utilizzano a destra e sinistra. Si potrebbe menzionare il “petrolio”, e saremmo più vicini. I fatti indicano tuttavia altre svolte.
Siamo di fronte a una lotta senza quartiere tra una borghesia conservatrice che è stata allontanata dal controllo dell’apparato dello Stato, sebbene mantenga legami con lo Stato attuale, e una borghesia emergente che utilizza lo Stato come leva di “accumulazione originaria”.
Non è la prima volta che questo accade nelle nostre brevi storie. Le guerre d’indipendenza furono questo: una lotta tra i decadenti “goti” (i monarchici della penisola iberica) e l’emergente oligarchia “creola”, che utilizzò il controllo dell’apparato statale per legalizzare l’usurpazione delle terre dei popoli originari. L’oligarchia si appoggiava alle potenze coloniali britannica e francese, che erano in competizione con la decadente Spagna per il controllo delle colonie rese indipendenti, con la stessa logica dei progressismi che oggi si appoggiano alla Cina, compresi i conservatori come Macri, di fronte all’inarrestabile decadenza statunitense.
La debole borghesia creola salì sul carro delle mobilitazioni dei popoli (indigeni, neri e settori popolari) per sconfiggere i potenti iberici. Concesse l’emancipazione degli schiavi con i medesimi obiettivi con i quali oggi la nuova borghesia applica le politiche sociali che riducono la povertà: in entrambi i casi los de abajo continuano a rimanere nel sottoscala in quanto mano d’opera a buon mercato, senza essersi mossi di una virgola dal posto strutturale che occupano.
Le nuove élite venezuelane, quelle popolarmente chiamate “boliborghesia” ( dove boli sta per bolivarianandt), sono un mix di alti funzionari di imprese pubbliche e dell’apparato statale, militari di alto grado e alcuni imprenditori arricchiti all’ombra delle istituzioni. Dirigenti inseriti nell’apparato dello Stato. Per questo si rifiutano di perdere potere, tutta la struttura gli cadrebbe addosso.
Alcuni sono già riusciti a trasformare la rendita di cui si sono appropriati in proprietà privata. Buona parte di loro è tuttavia ancora impegnata in quel processo. Perciò il sociologo brasiliano Ruy Braga definisce i dirigenti sindacali dei fondi pensione del suo paese, la nuova classe emergente, parte di una “egemonia fragile”.
Roland Denis sostiene che nel suo paese governano le mafie: “Maduro potrà anche avere le migliori intenzioni ma si è imposta una lobby molto forte di mafie interne al governo (La Razón, 27 dicembre 2017). Il filosofo ed ex Viceministro della Programmazione e dello Sviluppo (2002-2003), assicura che diverse di queste mafie sono delle banche e altre vengono da vecchi gruppi di “succhia-rendita petrolifera” insediatisi da molti anni.

sabato 29 aprile 2017

Messico - Il mondo capitalista è una tenuta recintata da muri


Parole del Subcomandante Insurgente Moisés, (mercoledì 12 aprile 2017)


Buona notte, buonasera, buongiorno, dipende da dove ci ascoltate.
Fratelli, sorelle, compagni, compagne:
Quello di cui vi parlerò non è quello che penso io, ma quello che ci hanno raccontato i nostri bisnonni, i nostri nonni, le nostre bisnonne e le nostre nonne.
Ho parlato con uno dei nostri bisnonni che, dice lui, ha 140 anni. Secondo me, secondo i miei calcoli, si aggira sui 125 anni. Devi stargli incollato all'orecchio per fargli sentire quel che gli chiedi.
Sono più o meno venti e qualcosa, i bisnonni e le bisnonne con i quali ho parlato. Gli abbiamo fatto delle domande – c’erano anche dei compagni del Comitato Clandestino – e dunque, come diceva il Sub Galeano, ecco una parte di quello che ci hanno detto.
Ad esempio, prima per fare le tegole per i finqueros – cioè, i proprietari delle tenute, i signorotti, il padrone come dicono loro – dovevano trasportare sacchi di sterco di cavallo. Poi dovevano farlo seccare. Dopo averlo fatto seccare, lo polverizzavano con un bastone. Quindi, lo mischiavano con il fango per fare le tegole e i mattoni di adobe con cui costruivano la casa ai padroni, ai proprietari.
Il bisnonno dice di ricordarselo bene, perché questo era un obbligo. Obbligo vuol dire che ognuno di loro doveva consegnare un certo numero di sacchi. Anche se il cavallo aveva defecato da poco, dovevano prendere lo sterco fresco che poi gli sgocciolava sulle spalle. Ma il compito era consegnare i sacchi che chiedeva il padrone.
Così impararono a fare anche le loro casette. Nello stesso modo. La chiamano pareti di fango, si chiamano bajareque [costruzioni di adobe – n.d.t.]. Hanno imparato dunque, ma la loro casa è più piccola, è grande la metà.
Dunque, quello che vi voglio dire è che è da lì che viene la nostra idea, e come zapatisti abbiamo studiato come stiamo noi adesso rispetto a quelli che ci sfruttano. In sintesi, ve lo racconto perché questo è quello che ci aiuta a capire quello che è successo prima e come stiamo oggi, e come sarà in seguito.
I nostri nonni, bisnonni, bisnonne e nonne raccontano: il padrone è il proprietario delle tenute, di molte tenute e molte piantagioni. Tutti i padroni hanno i loro caporali, i loro maggiordomi e i loro capisquadra. Con il padrone ce ne stanno tre o quattro.
Ci raccontano che ci sono tenute di 15 mila, 20 mila e 25 mila ettari. E che ci sono tenute di diverso tipo. Ci sono tenute per la sola coltivazione di caffè. E ci sono tenute per il caffè, l’allevamento, il mais, i fagioli, la canna da zucchero… insomma per diversi scopi.
Ci raccontano anche i metodi di sfruttamento. Ci raccontano che ci sono tenutari, proprietari terrieri o latifondisti che non li hanno mai pagati. Hanno dedicato tutta la loro vita al lavoro. Altri ci raccontano che avevano solo la domenica per sé stessi, e tutti gli altri giorni erano per il padrone. Altri ci raccontano che dedicavano una settimana al padrone e una a sé stessi. Ma questo era un trucco, perché – ci raccontano i nostri bisnonni e bisnonne – nella settimana che in teoria sarebbe stata per loro, di quello che raccoglievano in quella settimana (fagioli, mais, piccoli animali da cortile) nel momento di vendere dovevano darne la metà al padrone e a loro restava solo la metà.
Ci raccontano che quando il padrone voleva vedere tutto il suo bestiame, dovevano andare a radunare gli animali e poi portarglieli. Ci raccontano che, poi, se mancava qualche animale, il padrone incaricava qualcuno di loro per andare a cercarlo vivo o morto. E cosa chiedeva il padrone, cioè il proprietario terriero, per verificare che fosse morto? Bisognava portargli un pezzo di pelle per dimostrare al padrone che l’animale era morto. Ma bisognava cercare gli animali mancanti fino a trovarli, vivi o morti.
Il padrone, quando li portava a vendere, organizzava i lavoratori in gruppi, portando altrettanti capi di bestiame. Per dieci, venti uomini, dovevano esserci altrettanti capi di bestiame. Il padrone li contava prima di partire e li ricontava all'arrivo. Ogni persona doveva consegnare tutto. Se non consegnava tutto, doveva pagarlo.
Ci raccontano che il recinto era fatto di pietra, se così lo voleva il padrone. Altrimenti era fatto di legno lavorato con l’ascia. E dicono che doveva essere del cuore del legno. Vale a dire, la parte più dura del legno, perché non marcisse. Non poteva essere fatto di legno tenero. Il padrone non lo ammetteva.
Ci raccontano anche che quando portavano a vendere i maiali (non i padroni, ma l’animale: il porco), era come per il bestiame. Solo che c’è una differenza, dicono i nonni e i bisnonni. Raccontano che dovevano trasportarli di notte, perché i maiali soffrono il caldo. Quindi la loro lampada, la loro torcia, come diciamo noi, era l’ocote [rami di pino – n.d.t.]. Si portavano dei pezzi di ocote per farne delle torce per camminare nella notte. Allo stesso modo, una certa quantità di maiali per ogni incaricato. E se volevano viaggiare di giorno, dovevano portarsi l’acqua per bagnare i maiali, per rinfrescarli affinché non patissero il caldo.
Le donne, le nonne e le bisnonne ci raccontano che il padrone aveva il suo modo di volere le cose. Ad esempio, le nonne e le bisnonne raccontano che quando il lavoro era duro dovevano farlo le donne sposate. E quale era il loro lavoro? Macinare caffè e macinare sale. E quindi lo facevano le mamme con i loro figli che per macinare il sale usavano il metate [pietra per macinare – n.d.t.]. E c’erano i caporali, i maggiordomi e i capisquadra, la padrona e il padrone. Si tenevano i loro bimbi sulla schiena senza poterli accudire, ed i bimbi piangevano e piangevano ma il padrone era lì e loro dovevano finire il lavoro. Allora, quando il padrone o la padrona magari andava in bagno, la mamma ne approfittava per allattare il figlio.
Ci raccontano che il padrone chiedeva di avere nella tenuta delle ragazzine per vari lavori. Ma a suo piacimento il padrone sceglieva una ragazzina e le diceva: “tu, vai a mettermi a posto la camera da letto”. E quando la ragazzina era lì, il padrone entrava e la violentava. Se le sceglieva e ci raccontano che si prendeva quelle che voleva.
Ci raccontano anche che per il lavoro di macinatura del caffè e del sale, la paga che gli dava il padrone erano tre pezzi di carne di manzo, ma di quelli che morivano. Questa era la paga.
Ci raccontano che facevano lavorare anche i bambini. Nessuno si salvava. Il loro lavoro si chiamava “portiere”, ma non il portiere di calcio. Il lavoro di questi bambini di sei anni consisteva nel macinare il mais senza calce, che è per i cani, i maiali e i polli. Dopo questo dovevano andare a prendere l’acqua, e molte volte la trasportavano sulle spalle in un barile. Il barile di legno gli scavava le ossa. In questo barile ci stavano dai 18 ai 20 litri d’acqua. Ed i bambini la dovevano portare affinché il padrone potesse lavarsi le mani o farne quel che voleva. Finito questo, si occupavano di portare la legna. Finito di portare la legna, si occupavano di sgranare il mais.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!