Le azioni e le manifestazioni
di Ni una menos in Argentina e l’8 marzo globale sono la punta di un
iceberg che non smette di crescere e muoversi. In questi tempi bui, il
movimento internazionale delle donne sembra l’unico nel mondo in grado
di non adeguarsi all’agenda della politica istituzionale, di reinventare
pensiero e azioni di chi lotta nella vita di ogni giorno, di rifiutare
il dominio della violenza. Un movimento grande e complesso che in tanti
modi mette in discussione le forme consolidate e tradizionali dell’agire
politico ma anche i nessi che legano precarizzazione del lavoro,
razzismo e violenza. Gli spazi autogestiti dalle donne, in particolare,
sono sempre di più linfa vitale per tutte le lotte sociali. Scrive Carla
Maria Ruffini «Esperienze come quelle dei centri antiviolenza e degli
spazi femministi autogestiti, delle battaglie per la riappropriazione
democratica dei beni comuni e delle istituzioni del welfare, delle
pratiche di mutualismo solidale, autorganizzazione e autogestione
collettiva di forme e pratiche del “comune”, se messe in relazione tra
loro attraverso connessioni virtuose e sistemiche, possono essere linfa
vitale per processi di rottura dei dispositivi di “confinamento” e
separazione che rendono i conflitti incapaci di incidere, e per la
creazione di spazi di interconnessione con tutte le soggettività che il
capitale tenta di segmentare e dividere. A partire dalle lotte delle
donne…»
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8 marzo 2018, Non una di meno Bologna. Foto di Michele Lapini (che ringraziamo) |
di Carla Maria Ruffini*
Una nuova stagione di maree femministe. Per cambiare tutto
Il messaggio fondamentale gridato dalle donne argentine in Plaza de
los Dos Congresos il 4 giugno – nel pieno della combattiva campagna per
l’aborto libero, sicuro e gratuito – è che le donne non sono disposte ad
accontentarsi di singoli provvedimenti, ma vogliono “cambiare tutto”.
Nel documento, potente e “denso” di tutte le rivendicazioni di Ni Una Menos
e dello spirito di lotta che anima l’attuale movimento femminista
internazionale, si sostiene che è necessario affrontare a tutto campo
gli innumerevoli e pervasivi dispositivi politici, economici, giuridici e
sociali che, con ancor maggiore accanimento in questo momento storico,
originano la violenza etero-patriarcale sulle donne sia nella dimensione
pubblica che in quella privata, mettendoli in discussione in modo
radicale e sistemico.
Se guardiamo al nostro vessato Paese, siamo sempre più consapevoli
che, per andare in questa direzione, è fondamentale rivendicare la
centralità e l’efficacia della lotta globale e intersezionale delle
donne, sollecitando una riflessione e un’attivazione non più rinviabile
dopo i recenti eventi e provvedimenti – annunciati o già presentati dal Governo – che hanno caratterizzato il debutto del nuovo esecutivo a forte connotazione patriarcale e razzista.
Lo sciopero globale delle donne, messo in scena nel contesto mondiale per il secondo anno consecutivo l’8 marzo 2017,
merita un’attenzione particolare nelle analisi del panorama dei
movimenti di lotta attuali, dopo esser stato ignorato dai media – come è
accaduto in modo clamoroso in Italia – o tutt’al più trattato
sommariamente e con sufficienza e subito archiviato quale episodio
contingente e scarsamente influente e significativo.
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Foto tratte dalla pag. fb di Ni una menos |
Negli scenari svuotati di quel potenziale di lotta e di liberazione
che aveva animato passate stagioni, lo sciopero globale femminista, lo
sciopero sociale, e tutte quelle pratiche e forme di lotta che “tengono
insieme” le due dimensioni della produzione e della riproduzione, si
confermano come la via maestra per aggredire, da una parte, gli snodi
cruciali in cui la violenza determinata dalla precarietà e dalla vulnerabilità socio-esistenziale si
origina e per ricomporre, dall’altra, ciò che è stato diviso,
frammentato dal lucido disegno dell’odierno capitalismo di frode,
sanando la dicotomia tra produzione di valore e socialità, solidarismo, organizzazione di lotte.
Lo spazio “largo” ma oppressivo e ingabbiante rappresentato
dall’inestricabile intreccio di lavoro produttivo e riproduttivo, “res
extensa” del processo di valorizzazione che mette al lavoro l’intera
società ed erode progressivamente fette fondamentali di welfare, diviene
luogo d’elezione per nuovi sfruttamenti e rinnovate servitù. Le
servitù che il patriarcato – quello mai domato e quello di ritorno –
riserva alle donne, nell’alleanza di ferro stretta con il neoliberismo,
sono come sempre le più aggressive e violente; e già si
colgono in modo evidente, nelle sconsiderate azioni e dichiarazioni che
hanno contraddistinto la prima fase dell’attuale governo, segnali
inquietanti di recrudescenza di un patriarcato disposto a “uscire allo
scoperto” per annullare le conquiste fondamentali di libertà volute
dalle donne e creare condizioni favorevoli per il consolidarsi delle
nuove strategie di sfruttamento e violenza scientemente progettate.
La pedagogia della crudeltà