mercoledì 24 ottobre 2018

Brasile - L'urgenza di cercare nuove strade

Ele Nao, femministe manifestano contro Bolsonaro. Foto Medium
di Raúl Zibechi

La schiacciante votazione che ha ricevuto Jair Bolsonaro al primo turno delle elezioni brasiliane, che lo colloca alle porte della presidenza, è però una buona opportunità affinché, come persone di sinistra, riflettiamo sulla necessità di percorrere nuove strade. Non basta, pertanto, limitarsi a denunciare quello che già sappiamo: il carattere militarista, autoritario e di ultra-destra del candidato. È necessario spiegare perché mezzo paese lo vota e che implicazioni comporta per il progetto di emancipazione.

Il Brasile vive una profonda frattura di classe, di genere e di colore della pelle che si manifesta in maniera nitida nei partiti della destra, i quali hanno delineato i loro obiettivi in modo chiaro e trasparente: vogliono installare una dittatura mantenendo il sistema elettorale. La sinistra crede in una democrazia inesistente, basata su una impossibile conciliazione delle classi. Se Bolsonaro è fascista, come dicono il PT e i suoi intellettuali, dobbiamo ricordare che non è mai stato possibile sconfiggere il fascismo, votando. È necessaria un’altra strategia.

L’altra è la frattura geografica: un paese diviso tra un sud ricco e bianco e un nord povero e nero/meticcio. Il fatto curioso è che tanto il PT che i principali movimenti sociali sono nati nel sud, dove hanno avuto alcuni governi statali e municipali. Quella regione è adesso l’epicentro della profonda svolta a destra, con chiaro contenuto razzista e machista.

Dobbiamo spiegarci le ragioni per le quali le élite e le classi medie abbienti hanno prodotto questa fenomenale svolta, disertando dal loro partito preferito, la socialdemocrazia di Fernando Henrique Cardoso, per Bolsonaro. Hanno abbandonato la democrazia e conservano appena le elezioni, come maschera della dominazione.

La ragione principale la spiega in una interessante intervista il filosofo Vladimir Safatle. “Il Brasile arriva al 2018 con due delle sue maggiori imprese che sono pubbliche, così come due delle maggiori banche. Per di più, con un sistema sanitario che copre 207 milioni di persone, gratuito e universale, qualcosa che non possiede alcun paese con più di 100 milioni di abitanti”. Safatle aggiunge che le università non sono solo per le ricche minoranze  e conclude che “il Brasile arriva ai nostri giorni in una situazione molto atipica dal punto di vista del neoliberalismo”.

L’autoritarismo è il modo per imporre l’agenda necessaria al sistema finanziario, all’agro-business e alle compagnie minerarie affinché possano continuare ad accumulare ricchezza in un periodo di crisi sistemica. Non lo possono fare senza reprimere i settori popolari e criminalizzare i loro movimenti. Per questo Bolsonaro convoca i militari e la polizia e si permette di minacciare l’attivismo sociale, con modi molto simili a quelli della ministra della Sicurezza argentina Patricia Bullrich, che accusa i movimenti sociali di mantenere rapporti “molto stretti” con il narcotraffico, quando tutti sappiamo che è la polizia quella che lo protegge.

Il razzismo, la violenza anti-LGBT e l’odio verso la sinistra da parte delle classi medie brasiliane, mostrano il volto occulto del paese con la maggiore disuguaglianza del mondo. Non vogliono perdere i propri privilegi di colore, di genere, di posizione geografica e di classe. Poco gli importa che vengano assassinate più di 60 mila persone ogni anno, nella stragrande maggioranza giovani, neri, poveri, perché sanno che quello è il prezzo per mantenere i loro privilegi.

Marielle Franco, una delle principali voci di opposizione all’occupazione militare di Rio assassinata nel marzo di quest’anno. Foto Resumen.cl
Davanti a questo scenario, le sinistre non devono continuare ad aggrapparsi a una strategia che è stata delineata per altri tempi, quando il dialogo di classe era ancora possibile. Nel precedente mezzo secolo siamo passati dalla strategia della lotta armata alla strategia puramente elettorale. Entrambe hanno in comune l’obiettivo di prendere il potere e concentrano tutte le loro batterie in quella direzione.

martedì 23 ottobre 2018

Germania - Hambi (fo)Resta! Villaggi sospesi, pipistrelli e carboni ardenti



di Liza Candidi

Fra le notizie passate ingiustamente sottotono ce n’è una che dovrebbe renderci euforici. Per la sua portata, ma anche per il significato che ha per tutte le mobilitazioni che paiono condannate a inevitabile disfatta.

Nella Renania tedesca, lo scorso 6 ottobre, una fiumana di 50mila tra attivisti e cittadini – sfidando un’imponente e violenta operazione di sgombero da parte della polizia – è riuscita a impedire il disboscamento di una foresta di dodicimila anni, ponendo un primo blocco alle attività estrattive di carbone che fanno della zona uno dei distretti industriali più inquinati d’Europa.

È una conquista strappata sul campo grazie a un agguerrito gruppo di ambientalisti (Ende Gelände) che da sei anni occupa l’Hambacher Forst, l’antica foresta che negli scorsi decenni è stata quasi integralmente distrutta dall’industria estrattiva gestita dal colosso energetico RWE.
Ora rimane solo il 9% della sua estensione originaria, 200 ettari circondati da un’area desertica, la più estesa miniera di lignite del continente, responsabile da sola dell’emissione di un terzo di anidride carbonica dell’intera Germania­­­­­.

Un paesaggio lunare che continua a espandersi, nonostante il vertice di Parigi sul clima abbia ammesso che solo una significativa riduzione dei combustibili fossili può evitare l’aumento di temperature superiore alla soglia critica di 1,5°C.
Mentre l’apposita commissione per il carbone, istituita dal governo Merkel, continua ad occuparsi di progetti meramente speculativi di “greenwashing” in vista della transizione energetica del 2035, le enormi escavatrici ampliano il raggio d’estrazione, deforestano e fanno perfino dislocare villaggi.

Il potere contrattuale della RWE infatti è tale da pagare gli abitanti perché si spostino altrove, disgregando comunità e impedendo attività agricole a causa delle falde contaminate.
Per difendere l’ultimo polmone verde della zona chiedendo la dismissione immediata dell’energia fossile, nel 2012 gli occupanti dell’Hambacher Forst iniziano a costruire case sugli alberi e ponti sospesi, dedicando a querce e faggi nomi di villaggi aerei, come Oaktown o Beechtown. Costruiscono capanne termoisolate, alimentate ad energia solare ed eolica, e dotate di connessione internet, con cui svolgono attività politica direttamente dalla foresta.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!