lunedì 16 febbraio 2009

Dio è morto, Marx è morto, e neppure il Social Forum si sente tanto bene


Un report esclusivo di Michael Hardt sul World Social Forum 2009 di Belem


Se è vero che il Social Forum Mondiale non è morto, è però attraversato da una profonda metamorfosi. Lo si vede in particolare nei rapporti sempre più familiari con i leader politici, i partiti e, pure, con gli Stati. Per quanto infatti i partiti politici non siano ufficialmente ammessi ai lavori del Forum, a Belem – ufficiosamente – si è ammiccato agli attuali governi latinoamericani. Un orientamento che si è evidenziato subito la seconda sera del Forum, quando sono comparsi, tutti insieme, a Belem i presidenti di Bolivia, Ecuador, Paragay, Venezuela e Brasile. Ma non è tutto. Il Forum si trova pure a affrontare una problematica centrale al Forum stesso, ossia la natura dei suoi rapporti con questi particolari governi sudamericani e con gli altri.
In questo, il Social Forum di fine gennaio ha avuto un’evoluzione tale da porlo in una posizione di contrasto al Festival zapatista della rabbia degna (Chiapas). Gli zapatisti e chi si riconosce nello zapatismo non hanno cambiato strada: solo i movimenti autonomi (e non gli Stati) possono mettere in gioco e confrontarsi sull’attuale ordine globale. Non è scritto nero su bianco, ovviamente, ma gli zapatisti non vedono differenze tra partiti di destra e di sinistra al governo che per loro sono, volenti o nolenti, obbligati a amministrare l’ordine globale. (Non dimentichiamoci che alcune delle battaglie più dure in 15 anni di EZLN sono state quelle contro i partiti messicani di centro-sinistra). In Chiapas, si criticano costantemente le pretese di rappresentanza dei leader politici e dei partiti. In Chiapas, si pratica la resistenza allo Stato, anche nei casi in cui al potere ci sono partiti di centro-sinistra.
Al Social Forum invece, per quanto non si possa parlare di una sola voce che si leva all’unisono, il leit motiv è che i governi, piuttosto che i movimenti autonomi, sono meglio equipaggiati per contrastare i nemici globali e per raggiungere obiettivi concreti. Un esempio, il governatore dello stato brasiliano di Parà - che ha introdotto gli interventi dei cinque presidenti – ha sostenuto nel dare loro il benvenuto: «solo questi cinque uomini fanno sì che un mondo diverso sia possibile». Affermazione che di fatto riscrive lo slogan stesso (onnipresente) del Forum. A Belem inoltre si aveva la percezione che, tra molte sfumature diverse e contraddizioni, organizzatori e partecipanti credano effettivamente nei poteri rappresentativi di Stati, partiti, leader. E comunque al Forum si respirava un’atmosfera di sostegno ai governi di centro-sinistra e non di resistenza continua ai governi. I governi poi hanno tutto l’interesse a costruire rapporti con il Social Forum. Il motivo è ovvio, il Forum riesce ancora a garantire un sostegno di massa. L’evento, ad esempio, a cui hanno partecipato i cinque presidenti è stato lo show più esplicito di questo tipo di sostegno. E di fronte a un pubblico prevalentemente brasiliano, Lula è stato accolto da un tripudio adorante. Un altro elemento assolutamente da non trascurare è che l’apparizione di cinque presidenti insieme ha rappresentato indubbiamente un evento storico di rilevante portata e ha annunciato la sistemazione di un altro tassello nel mosaico del processo d’integrazione dell’America Latina il cui obiettivo è creare uno zoccolo regionale di governi di sinistra capaci di ri-orentare (sia su piccola che larga scala) l’attuale sistema globale. Il Forum Sociale Mondiale è senza dubbio il teatro migliore per un evento di questa portata. Sia perché tutti questi cinque presidenti hanno raggiunto il potere cavalcando l’onda dei movimenti sociali locali, sia perché la progressiva articolazione dei movimenti sociali su scala continentale e non solo (conquistata parzialmente nell’evoluzione del Forum sociale) costituisce le fondamenta di qualsivoglia costruzione di un’America Latina progressivamente sempre più coesa in un blocco regionale all’interno del sistema globale. Un po’ meno comprensibile è invece l’interesse dei partecipanti alla presenza dei governi e dei presidenti. Il pericolo, indubbiamente, è che il Forum si riduca alla passività o tutt’al più assuma un ruolo di supporto, eclissato dai partiti e dai governi che pretentono di rappresentarne gli interessi. I media mainstream poi non hanno mancato di dare uno spazio incredibilmente maggiore rispetto agli altri eventi alla partecipazione dei cinque presidenti.
Gli organizzatori e gli intellettuali che più si identificano con il Forum non definiscono comunque che questa relazione in termini unilaterali. Ci sono proposte infatti di modificare leggermente i principi e le pratiche che sottendono il Forum per permettere di dialogare con partiti e governi. Le condizioni però per questo dialogo – dal mio punto di vista – non esistono e non possono esistere. Ci sono distanze incommensurabili. Il Forum, in primis, non è un soggetto che può agire da interlocutore. Qualcuno potrebbe parlare in nome del Forum con Lula o Chavez? Un gruppo di intellettuali del Forum o componenti del comitato organizzatore si assumerebbero questo compito? Il Forum non ha strutture reali né meccanismi di rappresentanza o tanto meno un’organizzazione che possa legittimare qualcuno a parlare a suo nome. E di fatto il rifiuto di questa stessa rappresentanza costituisce l’elemento di forza e virtuosismo maggiore del Forum da quando è appunto nato. La proposta di far diventare il Forum un interlocutore con presidenti e partiti è dunque comprensibile se letta all’interno del lungo dibattito tra organizzatori se il Forum sia da considerare uno «spazio» o un «movimento». Per alcuni, il Forum deve limitarsi a fornire mezzi e promuovere incontri tra movimenti sociali, sindacati, ong e altri gruppi. Secondo questa lettura del Forum, i gruppi che vi partecipano decidono e producono iniziativa politica dentro e fuori lo spazio del Forum, cosa che il Forum stesso non fa. Per altri invece, il Forum deve diventare un soggetto politico capace in qualche misura di fare sintesi o rappresentare gli interessi dei partecipanti. Quanti promulgano questa posizione hanno a Belem spinto costantemente per prese di posizione pubbliche e per la formulazione di posizioni politiche nel nome del Forum. L’attuale apertura di dialogo con governi e partiti è semplicemente un’estensione di questa seconda posizione all’interno del Forum.
Ancora una volta, la mancanza di mezzi per organizzare le diverse anime di movimenti e gruppi che prendono parte al Forum riduce a illusione l’aspettativa di fare del Forum un soggetto politico. O piuttosto, trasformare il Forum in un soggetto politico capace di prendere decisioni, prendere posizione e dialogare con figure politiche richiederebbe una profonda trasformazione delle sue strutture interne e richiederebbe pure mezzi che articolano e rappresentano le diverse forze del Forum stesso.
Il contrasto con il Festival zapatista è significativo anche in questo caso. Gli zapatisti si sono sempre rifiutati di parlare per altri – e inoltre condividono il percorso di critica del Forum sociale alla rappresentanza politica. Gli zapatisti però non sono affatto timidi quando si tratta di parlare per se stessi. E non pretendono di creare uno spazio aperto in cui chiunque può intervenire ai loro festival. Chi interviene è selezionato e invitato dalla comandancia dell’EZLN e gli stessi zapatisti mantengono pieno controllo dell’evento, moderando e traendo loro le conclusioni in ogni sessione di lavoro. L’evento dell’EZLN è espressione di un soggetto politico organizzato – un esercito, appunto – che può rilasciare dichiarazioni, prendere decisioni politiche e persino dialogare con governi, al contrario del Social Forum. Entrambe le esperienze sono modelli importanti ma bisogna aver chiare le differenze che passano tra le due realtà. Rendere il Forum Sociale Mondiale un soggetto politico non solo è illegittimo ma è pure un’operazione destinata a fallire. La mia impressione è che si tenda a investire troppa speranza nel potere del Forum come soggetto politico perché si confondono causa e effetto. Le analisi sulla storia del Forum tuttavia differiscono a proposito. Molti ritengono, per esempio, che il Forum ha prodotto una rinascita della sinistra e un’espansione dei movimenti sociali nei primi anni di questo secolo. Purtroppo, la relazione di causa-effetto è stata esattamente invertita: i Forum Mondiale di Porto Alegre del 2002 e del 2003 hanno acquisito molto del loro potere da Genova e dall’Argentina. In generale poi i Forum rimangono dinamici fintanto che i movimenti sono potenti e crescono o collassato a seconda dei propri ritmi. Attraverso una sorta di illusione ottica, probabilmente, alcuni hanno visto il Forum come la fonte della nuova sinistra globale quando in realtà è stato il prodotto delle innovazioni dinamiche di movimenti nati altrove. La speranza che il Forum possa diventare un soggetto politico capace di azione politica o semplicemente di dialogo si basa su questa illusione. In ogni caso, il Forum non è passivo né insignificante. Il lavoro principale del Forum – dal mio punto di vista – sono gli incontri che promuove tra i movimenti sociali, ong, sindacati provenienti da ogni parte del mondo. (Il fatto che ne parli solo a questo punto è sintomatico di come questi siano stati eclissati dalla presenza dei cinque presidenti e dal dibattito sui rapporti tra partiti e governi). Alcune delle sezioni di lavoro più ambiziose e interessanti a cui ho partecipato al Forum hanno cercato di affrontare i conflitti tra gruppi su temi come lavoro, gender, sessualità, ecologia e gerarchie etniche-raziali. Queste discussioni sono sempre state un punto fermo dei Forum e si sono sviluppate stabilmente negli anni.
Il comitato organizzatore del Forum ha inoltre sempre sperimentato i cambiamenti nella composizione dei partecipanti e nelle interazioni tra di loro. I Forum di Mumbai e Nairobi sono stati un successo nel coinvolgere popolazioni differenti, nonostante le innumerevoli difficoltà logistiche. Il Forum di Belem ha operato (con successo a quanto pare) a coinvolgere popolazioni indigene e a abbracciare le questioni ecologiche dell’Amazzonia. Gli organizzatori del Forum stanno pure faticando per rendere gli eventi al Forum più paritari e orizzontali. Nei primi anni del Forum infatti ci sono sempre stati mega eventi con ospiti famosi che relazionavano di fronte una platea di migliaia di persone mentre alcuni seminari tenevano in stanzette semi vuote. A Belem non ci sono stati mega eventi e la partecipazione ai lavori si è distribuita più uniformemente – sebbene e a prescindere dagli sforzi dell’organizzazione si sia organizzato extra Forum il mega evento dei cinque presidenti. I cambiamenti poi nella composizione dei partecipanti al Forum si spiegano largamente con queste strategie «evolutive» messe in campo dagli organizzatori del Forum e al contempo con il relativo declino dei movimenti sociali se paragonati ai primi anni del Forum, specialmente in Europa e Argentina. (I movimenti statunitensi non hanno mai partecipato in massa ai Social Forum Mondiali). Inoltre, si assiste a un crollo nei numeri degli attivisti dei movimenti sociali – se paragonati a quelli di sindacalisti e operatori di ong che pare siano rimasti più o meno stabili. C’è infine da segnalare che i numerosi partitini di sinistra (principalmente trotskisti), che in precedenza sembravano essere risuscitati grazie al dinamismo dei movimenti, oggi sono praticamente scomparsi dal Forum.
Il Forum di Belem è stato inoltre un evento principalmente brasiliano. Statistiche ufficiose dicono che più di 100 mila persone hanno preso parte al Forum, numeri che avvicinano Belem ai Forum di Porto Alegre. Le stime tuttavia sui partecipanti non brasiliani dicono che a Belem sono arrivate meno di 10 mila persone, numeri di gran lunga inferiori a qualsiasi precedente Forum. Ho iniziato a partecipare ai Forum Sociali nel 2002 e ho sempre sentito dire che il Forum è morto. La mia impressione però è che chi dà i Forum per morti si aspetta dai Forum qualcosa che non sono. I Forum falliscono inevitabilmente se ci si aspetta che creino una nuova sinistra globale, che agiscano come soggetti politici o persino che dialoghino con figure politiche. Se invece riconosciamo che i Forum sono posti per l’espressioni di forze di sinistra a livello mondiale, per la promozione di incontri, bene, allora vedremo che i Forum hanno ancora una lunga vita davanti a loro.

Michael Hardt Da Belem, febbraio 2009

sabato 14 febbraio 2009

Intervista a Raúl Zibechi - "El progresismo gobierna América Latina anestesiando a los movimientos de base"

Fuente: Rebelion.org
Militó en el movimiento estudiantil afín a los Tupamaros, vivió los años 80 exiliado en España, volvió luego a Uruguay donde ahora ejerce como periodista en el seminario uruguayo Brecha y su último libro se titula Territorios en resistencia (Lavaca editora). Su pasión vital es pensar junto a las experiencias colectivas que inventan posibilidades de vida más allá del mercado y del Estado.
Lo que ocurre en América Latina es un faro para la izquierda mundial. Pero, ¿qué ilumina y qué nos impide ver la luz de ese faro? ¿Y si esa hegemonía de la izquierda se basara en un vaciado de los movimientos de base?

¿Qué relación hay entre la llegada al poder de los gobiernos progresistas en América Latina y las luchas de los movimientos de base?
Mucha, pero indirecta salvo en el caso de Bolivia. Los movimientos actuales nacieron en el período neoliberal, son hijos de la acumulación por desposesión, la resistieron y consiguieron deslegimitar el modelo. Sobre esa oleada antineoliberal que se lleva por delante gobiernos y partidos conservadores, va cobrando fuerza el progresismo y la izquierda se beneficia de esa nueva coyuntura generada por los movimientos. Pero esas fuerzas políticas no son en absoluto ajenas a los movimientos. En algunos casos lucharon junto a ellos, o tuvieron una relación más ambigua con los movimientos, pero nunca se les enfrentaron sino que los apoyaron, por lo menos a nivel declarativo. No es lo mismo el caso de Venezuela, Ecuador y Bolivia, donde los movimientos hacen entrar en crisis al sistema de partidos, que los casos de Brasil o Uruguay donde hay muchas contituidades institucionales y de partidos. Argentina sería un caso intermedio. Lo interesante es que en los tres primeros, el sistema político entró en crisis aunque no la dominación.

¿Y qué hizo la izquierda al llegar al poder?
Allí donde había redes clientelares, los nuevos gobiernos progresistas las barren e instalan a las instituciones estatales en su lugar, conquistando así las bases de apoyo y modificando los modos de hacer de las derechas. Pero para hacerlo deben, primero, asumir demandas de los movimientos y, segundo, colocar en el lugar de los caudillos paternalistas locales a personal de los propios movimientos, ya sea como funcionarios estatales o como miembros de ONGs. Por tanto, las nuevas gobernabilidades son una construcción conjunta entre movimientos y estados.

Me ha impresionado la experiencia del SOCAT uruguayo, esa nueva gobernabilidad que "clona" la forma de los movimientos para mejor desactivar su contenido. Misma retórica (empoderamiento, horizontalidad, participación, etc.). Aparentemente misma organización (redes, protagonismo social). ¡Parecería la historia de los "ultracuerpos" o de los "Dobles malvados"! ¿Cómo desactiva concretamente el clon la potencia política del original?
Mira, este es un proceso muy largo que arranca en los 90, con el neoliberalismo y a la vez con la llegada de las izquierdas a muchos gobiernos municipales en toda la región. Es un tema para estudiarlo en detalle. Aquí la educación popular jugó un papel importante en la formación de los cuadros de las ONGs. También la Universidad, que sobre todo en sectores como trabajo social está muy emparentada con la educación popular. Si tu miras quiénes son y qué estudian los agentes del SOCAT, vas a concluir que son jóvenes, sobre todo mujeres, que han pasado algunos años por la militancia social más que por la política, que tienen experiencia directa en los barrios pobres. Por otro lado, estudian a Paulo Freire pero también a Gramsci y a Bordieu, o sea leen los mismos autores que leen los militantes sociales y portan sus mismos códigos, visten, hablan y tienen hábitos de vida iguales a los de los activistas de base.
Las iniciativas municipales y las ONGs se hacen cargo de actividades barriales que antes se auto-organizaban (comedores, guarderías, etc.). Eso produce dos efectos tremendos. Por un lado, una enorme confusión cuando llegan a los barrios como funcionarios del Estado o de ONGs que trabajan para el Estado. Por otro, se apropian de los saberes del abajo, esos que James Scott decía que aseguran la autonomía de los dominados, y los ponen al servicio de los gobiernos progres. Ambos efectos, cuando uno los ve en un barrio, son demoledores. Por ejemplo, las jóvenes funcionarias estatales tienen voz y voto en asambleas de pobres porque las consideran parte del barrio. Para mi eso fue un golpe tremendo. Pero para la población es normal, porque más allá de que sean funcionarios tienen un compromiso real con los pobres y ese compromiso es insustituible por ningún salario y por ninguna cualificación.

¿Ocurre lo mismo con la cooperación al desarrollo?
Está el caso de Ecuador, que ha sido muy bien estudiado por el antropólogo catalán Víctor Bretón. Allí en pocos años la cooperación consiguió sustituir una camada de activistas y militantes de base, combativos, excelentes organizadores, por otra camada de personas especializadas en hacer trámites ante organismos internacionales, en presentar proyectos, identificar qué necesidades de los de abajo pueden ser interesantes para las financiadoras. Con ello consiguen crear una casta de funcionarios internacionales que viajan, conocen el mundo, hablan idiomas y, sobre todo, se distancian de sus bases al mismo tiempo que les consiguen fondos para proyectos. Lo interesante del estudio de Bretón es que analiza el caso de la provincia de Chimborazo luego del levantamiento de 1990 organizado por la CONAIE (Confederació n de Nacionalidades Indígenas del Ecuador). Era la provincia más combativa y hasta allí llegaron decenas de ONGs que en pocos años modificaron el mapa del movimiento indígena, creando organizaciones de segundo grado que fueron minando la estructura del movimiento hasta casi destruir a la CONAIE.

¿Dirías que la nueva gobernabilidad sobre los territorios es una estrategia biopolítica?
Sí, porque la disciplina que actúa sobre los cuerpos y en espacios cerrados fue desbordada: los pobres desertan de la escuela, del cuartel y de la fábrica y la familia ya no contiene ni disciplina. Entonces hacen falta mecanismos capilares que actúen sobre el territorio y sobre la población, ya no impidiendo, ya no negando, sino modulando los movimiento porque los movimiento ya es un dato de la realidad. Lo penoso es que ni la izquierda ni la academia quieren pensar estas nuevas formas de dominación.

¿Por qué es clave el papel de los militantes, o ex-militantes de izquierda, de gente formada "desde abajo", en esa nueva gobernabilidad?
Porque el Estado tiene funcionarios preparados para disciplinar pero no para trabajar a cielo abierto. El típico funcionario estatal es como el maestro que espera que lleguen los niños a la escuela, espacio cerrado, para hacer su trabajo. Y así con todo, el hospital, el cuartel… Pero no están preparados para ir a los territorios de la pobreza porque son territorios en resistencia. El Estado siempre acudió como policía, pero de esa manera ejerce un control muy parcial, discontinuo. Entonces los militantes aparecen con los mismos códigos que los pobres de ese barrio y empiezan a ayudar a los niños con la tarea escolar, llevan el aula a la casa. Lo mismo con la salud, les enseñan a cepillarse los dientes, a lavarse, a estar bien vestidos para conseguir un trabajo. Parece ridículo pero así funciona, todo revestido con un discurso sobre ciudadanía y derechos. Dicho de otro modo, el Estado actual para controlar, para hacer 'seguridad' en el sentido de Foucault, necesita a la militancia de izquierda que se cree el cuento de ayudar a los pobres a cambio de un salario que no es maravilloso, pero que les asegura su sobrevivencia en lo que saben hacer, algo que desde la militancia es imposible. El sistema sabe algo muy importante: que la militancia es para quien la practica una forma de ascenso social, no siempre material sino sobre todo de reconocimiento simbólico. Y ahora es el Estado el que les brinda ese ascenso.

¿Qué papel cumple aquí la polaridad izquierda-derecha?
Es la forma de justificar las nuevas formas de dominación a cielo abierto, que decía Deleuze. La derecha es funcional a la izquierda, porque es el ogro que justifica cualquier cosa. En Uruguay la izquierda coló una ley de seguridad ciudadana que ni la dictadura se había atrevido a poner. Y en Brasil las favelas son patrulladas por los militares, que además construyen centros sociales e interactúan con la comunidad. Todo eso lo pueden hacer sin mayor oposición, no sólo porque han aprendido los modos, sino también porque se justifica con la creencia de que con las derechas sería peor. Y tal vez sea así: ahí está Uribe para mostrarlo.

¿Son posibles otras relaciones, polémicas, productivas y no anestesiantes, entre Estado, instituciones y movimientos?
Sinceramente, no lo sé. Me gustaría que así fuera, pero la realidad dice que quien no entra en el juego se queda muy aislado. Ahí está el caso de los zapatistas que no quieren nada con el Estado, cero relación. El precio es el tremendo aislamiento: las comunidades no están mal, pero la Otra Campaña no crece. Por otro lado, están los Sin Tierra de Brasil, que apostaron a una relación más fluida con Lula pero sin perder su autonomía. Pero también están aislados, con los mismos problemas, aunque no de un modo tan evidente como los zapatistas.
Cada vez creo más que el tema hay que plantearlo en otros términos que rehuyan la disyuntiva Estado sí o Estado no. Aquí apareció una nueva forma de dominación, como en su momento fue el panóptico o la cadena de montaje. Mi impresión es que esta nueva forma de dominación responde a nuevos problemas, digamos los temas del 68, es decir, el desborde del disciplinamiento. Pero no creamos que en dos días la gente va a aprender a neutralizar este nuevo mecanismo. Entramos en otra historia que requerirá aprendizajes nuevos. Me parece que tenemos que pensar en la aparición de la fábrica fordista y el tiempo que demandó neutralizar la cadena de montaje. Dos generaciones de obreros y, sobre todo, nuevas formas de lucha y de organización.
Las nuevas gobernabilidades son las respuestas al triunfo de los movimientos, o sea que por un tiempo ellos tendrán la iniciativa. En América Latina, estos gobiernos colocaron al Estado en un nuevo lugar y también a la gente, porque ahora hay una nueva conciencia de derechos, pero no tanto en el sentido formal tradicional, sino en cuanto a que el Estado les "debe" ciertas cosas y si no lo hace pierde su legitimidad. Es como el retorno de una cierta lógica del Estado del Bienestar pero sin Estado del Bienestar, porque no hay derechos sino prestaciones. Una ilusión, como fue la fábrica de Ford, una ilusión de integración del obrero en el sistema, que se está empezando a evaporar porque los propios "capataces", o sea los y las trabajadores sociales más comprometidos, están percibiendo el engaño.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!