Arrivare a Maratane non è facile. Certo che non lo è, se sei un rwandese o un congolese o un kenyano o un sudanese che dovrà camminare sotto il sole africano- o sperare che rallenti un camion, o che un sacco di farina ti lasci spazio sul tetto di qualche autobus- attraverso tutta la Tanzania e il nord del Mozambico. Ma non è uno scherzo neanche se vuoi arrivare a Maratane non come rifugiato, ma come testimone, come forestiera che vorrebbe scrivere della diaspora dei popoli di grandi laghi per l'Africa. Prima è necessario procurarsi un colloquio con quelli dell'INAR, l'istituto nazionale di aiuto al rifugiato. Io sono stata fortunata e ci sono arrivata da due buone parole diverse: quella di un padre scalabriniano da tre anni in Mozambico, e quella del Mlal(Movimento Laici per L'America Latina, che qui lavorano sui diritti umani nelle carceri) di cui ero ospite e che sono, per un puro caso africano, vicini di casa di un tecnico dell'INAR. Naturalmente il colloquio con l'INAR non è risolutivo: a quel punto è necessario fare una richiesta scritta all'Eccellentissimo Delegato Provinciale dell'UNHCR, l'organismo dell'ONU per i rifugiati politici. Quando sono tornata a vedere com'era andata la mia richiesta, ho avuto la sensazione che non fosse mai arrivata nelle mani di nessun delegato, che forse non esisteva nessun delegato, ma che fosse la stessa segretaria dell'INAR a timbrare favorevolmente tutte le richieste, sbadigliando. Magie della democrazia (lapsus, volevo scrivere burocrazia). Maratane è immerso in uno scenario meraviglioso. Se non fosse per il caldo invincibile e per le specie di serpenti che infestano questa parte di savana, tutta la zona intorno a Nampula sarebbe da esplorare in lungo e in largo. I trenta chilometri che la separano dal campo di Maratane si percorrono su una carraia rossastra circondata da montagne che spuntano dalla pianura come bulbi rocciosi di forme che, con l'aiuto del caldo, stimolano l'immaginazione (ma una è sicuramente la faccia di un vecchio disteso bocconi; infatti appena più a ovest ce n'è un'altra che è chiaramente la sua pancia con una birra appoggiata sopra). Il campo profughi, in cui vivono circa 5000 persone (più della metà congolesi, quasi tutti gli altri rwandesi e burundesi e una piccola parte di kenyani e sudanesi) è più che altro un grande villaggio, un'enclave kiswahili nel cuore del nord mozambicano. Di fatto è aperto, i suoi abitanti sono liberi di lasciarlo quando vogliono. Ma per andare dove? Dice Said, diciassette anni, arrivato qui da solo dal Burundi cinque mesi fa. Maglietta consunta dello sporting lisboa, mi racconta della sua fuga dalle milizie in cui non voleva finire arruolato. Siamo nella semioscurità rovente del transference centre, la parte più miserabile del campo, quella dove rimangono i nuovi arrivi per qualche mese, prima che gli venga assegnata una baracca (o uno spazio su cui costruirne una) nel campo. Sono casermoni di fango con un tetto di lamiera ondulata divisi in stanze di sei metri per sei, senza letti e senza finestre (a parte un pertugiolo di venti centimetri per quaranta, provvisto di zanzariera, ridicola dal momento che non c'è neanche la porta e le zanzare fanno la spola fra una malaria e l'altra). Said è contento di raccontare la sua storia, perchè è arrivato dove voleva arrivare: al sicuro. Non gli dispiace affatto l'idea di rimanere qui per sempre.Mentre finisco di scrivere quello che mi ha detto, arriva da me una signora con le treccine dritte in testa, l'aria piuttosto sciatta e un sorriso indimenticabile. Mi inizia a parlare in inglese quando ancora sto finendo di scrivere tanta è l'urgenza che si porta dentro; perdo l'inizio, poi, lentamente, inizio ad afferrare il senso e dimentico tutto il resto - la penna, le pareti, Maratane, l'INAR, L'Africa, l'Europa. Elizabeth è kenyana, di una zona nell'interno del paese. Da una vita intera scappa, ma la sua fuga non ha destinazione perchè la sua persecuzione non ha il nome di un'etnia nè quella di un credo politico. Elizabeth non vuole stare con uomini e per questo, in ogni luogo in cui arriva, la sua libertà ha i giorni contati. Ha cercato appoggio da parenti e amici prima in altri luoghi del Kenya, poi in Tanzania.Ma ben presto questa nuova arrivata senza un uomo (e senza voglia di averne uno) desta perplessità, poi sospetti. Infine inizia l'organizzazione di una comunità intera per mettere in piedi un matrimonio che Elizabeth non vuole. Allora deve ricominciare la sua lunga marcia verso il Sudafrica, dove -si augura- certi diritti sono più riconosciuti. “Perchè non è naturale” conclude con gli occhi spalancati, un fiume in piena che incontra un mare di determinazione: “Non è naturale essere costrette”. Sceglie, rovesciandolo, proprio questo concetto -non è naturale- lo stesso che devono averle buttato addosso da quando Elizabeth ha coscienza di Elizabeth. Non è venuta a parlare con una giornalista, è venuta a parlare con una donna. Una che non si aggiunga alla sua persecuzione come ha visto succedere fino a oggi. Sopraffatta, le ho risposto la cosa che, in quel momento, mi sembra la più definitiva, l'unica che le riassumeva tutte: sono d'accordo con te.Lei mi ha fatto un largo sorriso e se ne è andata. Ci ho messo un po' a dominare un senso di impotenza quasi vertiginoso, poi in qualche modo ho reagito, ho piantato in asso quello che stavo facendo per tornare a cercarla e le ho detto che avrei cercato di metterla in contatto con WLSA, un movimento di donne attivo in Mozambico. “Ti farebbe piacere?” “Definitely!” ha risposto entusiasta. “Ci provo”. Mentre scrivo, le leader di Maputo di cui avevo il numero stanno cercando di attivare le loro colleghe di Nampula. Spero che almeno una di loro parli inglese.
giovedì 22 ottobre 2009
Ingresso trionfale a Diyarbakir dei Gruppi di Pace
I due Gruppi di Pace che il 19 ottobre a Silopi erano entrati in Turchia dall’Irak ieri sera (20 X) sono partiti da Silopi, e, dopo un itinerario breve ma interrotto continuamente dall’accoglienza numerosa ed entusiasta dei Kurdi ieri a Cizre e Nusaybin, ed oggi a Kiziltepe, Mardin e Cynar, stasera (21 X) sono arrivati a Diyarbakir, con un ingresso trionfale in seno alla popolazione che li attendeva da tre giorni di ininterrotta mobilitazione, tra canti, danze e discorsi, radunata in un grande piazzale in una sorta di nuovo festoso Newroz. Domani (22 X) e’ prevista la loro partenza per Ankara.
Io sono arrivato a Diyarbakir oggi (21 X) e verso le 14,30 ho raggiunto tale piazzale, non molto lontano dalla sede centrale del partito kurdo, il DTP; dal 19 ottobre esso era gremito di folla e sul palco si alternavano ininterrottamente cantanti, gruppi musicali, annunciatori, oratori...
Sull’impalcatura campeggiava la scritta : Barýþ (significa “pace” in turco) – Aþîtî (significa “pace” in kurdo). Subito sotto, il ritratto di Ocalan e la scritta: “Vogliamo la nostra Road Map,
garanzia della liberta’ del popolo”. Allusiva alla Road Map scritta da Ocalan in carcere e tuttora trattenuta dallo Stato che ne ritarda la divulgazione.
Per quattro ore consecutive e’ durata l’attesa. Contrariamente a quanto solitamente accade, anziche’ il consueto alternarsi di discorsi in kurdo con altri in turco, dal palco si e’ parlato solo sempre in kurdo.
Le canzoni proponevano parole quali “gerilla” (guerrigliero) e “aþîtî” (pace), ed erano l’espressione coerente della situazione creatasi, in cui i venti di pace, che parevano destinati a dissolversi, sono stati rilanciati in modo travolgente proprio dalla coraggiosa iniziativa proposta da Ocalan e subito raccolta dal PKK, mentre l’ “iniziativa kurda” (poi ribattezzata “iniziativa democratica”) lanciata dal Primo Ministro Erdogan ormai languiva (anche se occorre riconoscere che sono stati anche la primavera e l’estate di “aperture” verso la questione kurda promosse dalle forze di governo a creare il clima favorevole agli eventi attuali).
L’annuncio dell’imminente arrivo dei Gruppi di Pace e’ stato salutato dal palco con la canzone “Gerilla Rojbaþ” (“Buongiorno guerrigliero”), immediatamente cantata in coro dalla folla. Poi si sono udite le note ritmiche e un po’ solenni degli inni nazionali kurdi...
Finalmente, verso le 18,30, nell’entusiasmo generale, sono arrivati i Gruppi di Pace, dopo un itinerario rallentato dalle continue tappe nelle localita’ attraversate (ieri Cizre e Nusaybin, oggi a Kiziltepe, Mardin e Cynar), anch’esse gremite di Kurdi in attesa.
Ma l’arrivo dei due Gruppi di Pace aveva subito ritardi anche per altre cause. Partiti dall’Irak il mattino del 19 ottobre, avevano subito un incidente automobilistico, purtroppo costato la vita ad un componente dei Gruppi di Pace; poi, giunti al confine, molto tempo era stato necessario per i meticolosi controlli dell’identita’, visite sanitarie etc. Infine, il 19 sera, per un momento tutto era sembrato turbato da gravi ostacoli: su cinque dei componenti pesava l’imputazione di appartenenza al PKK, e cio’ pareva impedirne la liberta’ di movimento: i due Gruppi di Pace, di conseguenza, avevano deciso di restare al completo a Silopi fino allo sblocco della situazione. La quale ieri sera (20 X) si era risolta, e tutti avevano ricevuto l’autorizzazione a ripartire.
Dopo l’entusiasmo festante esploso al loro arrivo dal palco si sono succeduti (ora sia in turco che in kurdo) i discorsi dei membri dei Gruppi di Pace e dei loro accompagnatori; e’ stato rievocata la precedente esperienza, quella dei due Gruppi di Pace di dieci anni or sono, rilevandone le differenze: ma, nonostante le gravi avversita’ allora incontrate, era stata proprio quell’esperienza ad aprire una strada che ora dava i suoi pieni frutti. E’ stato sottolineato con orgoglio come l’iniziativa sia stata assunta in un momento carico anche di gravi difficolta’ (la continuazione delle operazioni militari dell’esercito, le persecuzioni politiche contro il DTP, le violenze contro la popolazione civile...) e come, ciononostante, i Kurdi habbiano saputo assumere direttamente l’iniziativa, senza attendere aiuti esterni (Comunita’ internazionale etc.).
Domani (22 X) e’ prevista la partenza per Ankara dei Gruppi di Pace. Ora si vedra’ se e come la compagine governativa, che sinora ha assunto un atteggiamento favorevole all’iniziativa kurda, sapra' iniziare con essa un concreto dialogo di pace.
Diyarbakir, 21 ottobre 2009
Aldo Canestrari
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ALLERTA ROSSA E CHIUSURA CARACOLES
BOICOTTA TURCHIA
Viva EZLN
Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.
La lucha sigue!