sabato 29 aprile 2017

Messico - Il mondo capitalista è una tenuta recintata da muri


Parole del Subcomandante Insurgente Moisés, (mercoledì 12 aprile 2017)


Buona notte, buonasera, buongiorno, dipende da dove ci ascoltate.
Fratelli, sorelle, compagni, compagne:
Quello di cui vi parlerò non è quello che penso io, ma quello che ci hanno raccontato i nostri bisnonni, i nostri nonni, le nostre bisnonne e le nostre nonne.
Ho parlato con uno dei nostri bisnonni che, dice lui, ha 140 anni. Secondo me, secondo i miei calcoli, si aggira sui 125 anni. Devi stargli incollato all'orecchio per fargli sentire quel che gli chiedi.
Sono più o meno venti e qualcosa, i bisnonni e le bisnonne con i quali ho parlato. Gli abbiamo fatto delle domande – c’erano anche dei compagni del Comitato Clandestino – e dunque, come diceva il Sub Galeano, ecco una parte di quello che ci hanno detto.
Ad esempio, prima per fare le tegole per i finqueros – cioè, i proprietari delle tenute, i signorotti, il padrone come dicono loro – dovevano trasportare sacchi di sterco di cavallo. Poi dovevano farlo seccare. Dopo averlo fatto seccare, lo polverizzavano con un bastone. Quindi, lo mischiavano con il fango per fare le tegole e i mattoni di adobe con cui costruivano la casa ai padroni, ai proprietari.
Il bisnonno dice di ricordarselo bene, perché questo era un obbligo. Obbligo vuol dire che ognuno di loro doveva consegnare un certo numero di sacchi. Anche se il cavallo aveva defecato da poco, dovevano prendere lo sterco fresco che poi gli sgocciolava sulle spalle. Ma il compito era consegnare i sacchi che chiedeva il padrone.
Così impararono a fare anche le loro casette. Nello stesso modo. La chiamano pareti di fango, si chiamano bajareque [costruzioni di adobe – n.d.t.]. Hanno imparato dunque, ma la loro casa è più piccola, è grande la metà.
Dunque, quello che vi voglio dire è che è da lì che viene la nostra idea, e come zapatisti abbiamo studiato come stiamo noi adesso rispetto a quelli che ci sfruttano. In sintesi, ve lo racconto perché questo è quello che ci aiuta a capire quello che è successo prima e come stiamo oggi, e come sarà in seguito.
I nostri nonni, bisnonni, bisnonne e nonne raccontano: il padrone è il proprietario delle tenute, di molte tenute e molte piantagioni. Tutti i padroni hanno i loro caporali, i loro maggiordomi e i loro capisquadra. Con il padrone ce ne stanno tre o quattro.
Ci raccontano che ci sono tenute di 15 mila, 20 mila e 25 mila ettari. E che ci sono tenute di diverso tipo. Ci sono tenute per la sola coltivazione di caffè. E ci sono tenute per il caffè, l’allevamento, il mais, i fagioli, la canna da zucchero… insomma per diversi scopi.
Ci raccontano anche i metodi di sfruttamento. Ci raccontano che ci sono tenutari, proprietari terrieri o latifondisti che non li hanno mai pagati. Hanno dedicato tutta la loro vita al lavoro. Altri ci raccontano che avevano solo la domenica per sé stessi, e tutti gli altri giorni erano per il padrone. Altri ci raccontano che dedicavano una settimana al padrone e una a sé stessi. Ma questo era un trucco, perché – ci raccontano i nostri bisnonni e bisnonne – nella settimana che in teoria sarebbe stata per loro, di quello che raccoglievano in quella settimana (fagioli, mais, piccoli animali da cortile) nel momento di vendere dovevano darne la metà al padrone e a loro restava solo la metà.
Ci raccontano che quando il padrone voleva vedere tutto il suo bestiame, dovevano andare a radunare gli animali e poi portarglieli. Ci raccontano che, poi, se mancava qualche animale, il padrone incaricava qualcuno di loro per andare a cercarlo vivo o morto. E cosa chiedeva il padrone, cioè il proprietario terriero, per verificare che fosse morto? Bisognava portargli un pezzo di pelle per dimostrare al padrone che l’animale era morto. Ma bisognava cercare gli animali mancanti fino a trovarli, vivi o morti.
Il padrone, quando li portava a vendere, organizzava i lavoratori in gruppi, portando altrettanti capi di bestiame. Per dieci, venti uomini, dovevano esserci altrettanti capi di bestiame. Il padrone li contava prima di partire e li ricontava all'arrivo. Ogni persona doveva consegnare tutto. Se non consegnava tutto, doveva pagarlo.
Ci raccontano che il recinto era fatto di pietra, se così lo voleva il padrone. Altrimenti era fatto di legno lavorato con l’ascia. E dicono che doveva essere del cuore del legno. Vale a dire, la parte più dura del legno, perché non marcisse. Non poteva essere fatto di legno tenero. Il padrone non lo ammetteva.
Ci raccontano anche che quando portavano a vendere i maiali (non i padroni, ma l’animale: il porco), era come per il bestiame. Solo che c’è una differenza, dicono i nonni e i bisnonni. Raccontano che dovevano trasportarli di notte, perché i maiali soffrono il caldo. Quindi la loro lampada, la loro torcia, come diciamo noi, era l’ocote [rami di pino – n.d.t.]. Si portavano dei pezzi di ocote per farne delle torce per camminare nella notte. Allo stesso modo, una certa quantità di maiali per ogni incaricato. E se volevano viaggiare di giorno, dovevano portarsi l’acqua per bagnare i maiali, per rinfrescarli affinché non patissero il caldo.
Le donne, le nonne e le bisnonne ci raccontano che il padrone aveva il suo modo di volere le cose. Ad esempio, le nonne e le bisnonne raccontano che quando il lavoro era duro dovevano farlo le donne sposate. E quale era il loro lavoro? Macinare caffè e macinare sale. E quindi lo facevano le mamme con i loro figli che per macinare il sale usavano il metate [pietra per macinare – n.d.t.]. E c’erano i caporali, i maggiordomi e i capisquadra, la padrona e il padrone. Si tenevano i loro bimbi sulla schiena senza poterli accudire, ed i bimbi piangevano e piangevano ma il padrone era lì e loro dovevano finire il lavoro. Allora, quando il padrone o la padrona magari andava in bagno, la mamma ne approfittava per allattare il figlio.
Ci raccontano che il padrone chiedeva di avere nella tenuta delle ragazzine per vari lavori. Ma a suo piacimento il padrone sceglieva una ragazzina e le diceva: “tu, vai a mettermi a posto la camera da letto”. E quando la ragazzina era lì, il padrone entrava e la violentava. Se le sceglieva e ci raccontano che si prendeva quelle che voleva.
Ci raccontano anche che per il lavoro di macinatura del caffè e del sale, la paga che gli dava il padrone erano tre pezzi di carne di manzo, ma di quelli che morivano. Questa era la paga.
Ci raccontano che facevano lavorare anche i bambini. Nessuno si salvava. Il loro lavoro si chiamava “portiere”, ma non il portiere di calcio. Il lavoro di questi bambini di sei anni consisteva nel macinare il mais senza calce, che è per i cani, i maiali e i polli. Dopo questo dovevano andare a prendere l’acqua, e molte volte la trasportavano sulle spalle in un barile. Il barile di legno gli scavava le ossa. In questo barile ci stavano dai 18 ai 20 litri d’acqua. Ed i bambini la dovevano portare affinché il padrone potesse lavarsi le mani o farne quel che voleva. Finito questo, si occupavano di portare la legna. Finito di portare la legna, si occupavano di sgranare il mais.

giovedì 27 aprile 2017

Messico - Preludio: gli orologi, l'apocalisse e l'ora del piccolo.

Buona sera, buona notte, buon giorno, buona mattinata.
Vogliamo ringraziare i compagni e le compagne del CIDECI-UniTierra e quelli che con generosità fraterna hanno nuovamente offerto questo spazio affinché potessimo riunirci. Ringraziamo anche i gruppi di sostegno della Commissione Sexta che s’incaricano del trasporto (speriamo che non si perdano di nuovo), della sicurezza e della logistica di questo evento.
Vogliamo ringraziare anche quelli che partecipano a queste giornate e che ci accompagnano con le proprie riflessioni ed analisi in questo seminario che abbiamo titolato “I Muri del Capitale, le Crepe della Sinistra”. E quindi grazie a:
Don Pablo González Casanova.
María de Jesús Patricio Martínez.
Paulina Fernández C.
Alicia Castellanos.
Magdalena Gómez.
Gilberto López y Rivas.
Luis Hernández Navarro.
Carlos Aguirre Rojas.
Arturo Anguiano.
Christian Chávez.
Carlos González.
Sergio Rodríguez Lascano.
Tom Hansen.
In modo speciale ringraziamo e salutiamo i media liberi, autonomi, indipendenti, alternativi o come si chiamino; il nostro grazie a loro ed ai loro sforzi per far volare le parole da qui ad altre parti.
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Noi zapatisti abbiamo deciso di cominciare questo seminario, o incontro, che fa parte della campagna mondiale “Contro i muri di sopra, le crepe in basso (e a sinistra)”, per permettere a chi ci seguirà di poter puntualizzare o semplicemente criticare.
Per questo siamo soli a questo tavolo, ci accompagna soltanto Don Pablo González Casanova. È qui per varie ragioni: una è che lui va al di là del bene e del male e, lo ha dimostrato in questi 23 anni, non si preoccupa che lo critichino per la frequentazione di cattive compagnie. L’altra ragione è che dice sempre direttamente quello che pensa. È testimone del fatto che mai gli abbiamo imposto opinioni o approcci, proprio per questo il suo pensiero non solo non coincide con il nostro, anzi, spesso è abbastanza critico. Al punto che il codice con il quale ci riferiamo a lui nelle nostre comunicazioni interne, per non far sapere al nemico che stiamo parlando di lui, è “Pablo Contreras”. Lo consideriamo un compagno, uno di noi, tra noi e come noi. Ci inorgoglisce la compagnia del suo passaggio, la sua parola critica e sopratutto il suo impegno senza dolcezze ne doppiezze.
Le nostre parole di oggi sono state preparate con il Subcomamdante Insorgente Moisés in modo che fili, o almeno questa è la nostra pretesa.
Sappiamo bene che abbiamo fama di essere poco seri e abbastanza irresponsabili,  oltre che, chiaramente, irriverenti e sfacciatamente strafottenti; che ci viene voglia di raccontare storie quando l’occasione meriterebbe solennità trascendente e l’accademia esige “un’analisi concreta della realtà concreta”. Insomma, siamo trasgressori della responsabilità, delle buone maniere e dell’urbanità civilizzata.
Ma, nonostante questo, vi chiedo di essere seri perché quello che diremo oggi, provocherà una valanga di squalifiche ed attacchi.
Beh, la sinistra istituzionale si è resa protagonista di un’isteria illuminata pensando ingenuamente di arrivare al potere perché si è rapidamente trasformata in un clone di quanto diceva di voler combattere, compresa la corruzione. Questo progressismo illuminato che ha elevato a concetto di scienze sociali categorie come “complotto”, “mafia del potere” e che prodiga perdoni, assoluzioni e amnistie per i fatti quando vengono dall’alto, e sentenze e condanne quando si tratta del basso. Bisogna riconoscere che questa sinistra illuminata è di una disonestà coraggiosa, perché non teme il ridicolo quando vuole convincere sé stessa ed i fedeli di stagione che “rigenerare” è sinonimo di “riciclare” in ciò che si riferisce alla classe politica ed imprenditoriale.
Quello che vogliamo dirvi oggi è breve e lo faremo esprimendolo in alcune delle lingue originarie del nostro cammino:

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!