di Telòni Dòra-Dimitra Ricercatrice associata dell’Istituto Universitario Tecnico di Patrasso (TEI Pàtras)
Intorno alle 7 di sera fa molto caldo, mi fermo al mini market del mio quartiere, a Zavlàni, e mi metto a parlare con la proprietaria quando all’improvviso si sentono delle voci “avranno accoltellato qualche migrante...”, commenta lei turbata...
Fortunatamente non è così...però... un migrante del Bangladesh si trova steso su una sedia e tiene le mani sugli occhi, soffre, intorno a lui ci sono i suoi connazionali impauriti e preoccupati. Poco fa due uomini in macchina si sono fermati al semaforo vicino alla zona Kurtèssi, se ho capito bene, e gli hanno spruzzato sugli occhi qualche sostanza chimica irritante. Lo hanno portato di fronte al mini market i suoi amici, che abitano in questa zona, e sono venuti a chiedere aiuto. Il ragazzo soffre e il quartiere si mobilita subito, vedo delle donne e degli uomini che arrivano, li sento dire: “Chiamiamo un’ambulanza, chi è stato?”
“Saranno quelli là, i fascisti”. Quando affermo che a Patrasso siamo ormai pieni di fascisti, un uomo mi risponde a voce bassa: “Che c’è da dire figlia mia, ormai abbiamo paura che anche il nostro vicino di casa sia uno di loro”.
Una signora si avvicina e dice: “Ma che hanno combinato a questi ragazzi? Non si vergognano proprio questi vermi, picchiano dei poveri ragazzi... come se non bastasse la loro povertà, adesso hanno pure quelli che li picchiano”. Penso che in questo quartiere la gente sa cosa vuol dire povertà e non sfoga la sua rabbia sullo “straniero”. Al contrario di tutti i tentativi dei media di indirizzare la rabbia colletttiva per la nostra povertà contro i migranti, qui sembra che ci siano ancora dei riflessi di solidarietà anzichè di odio.