martedì 22 gennaio 2013

Messico - SCI Marcos : para: Alí Babá y sus 40 ladrones (gobernadores, jefe de gobierno y lame-suelas).

Con un dito medio gli zapatisti rispondono ad una provocazione mediatica del governo, attraverso un nuovo comunicato grafico firmato dal Sub Comandante Marcos.
In questi giorni è partito un programma assistenziale del governo, chiamato "Crociata nazionale contro la fame", destinato a fasce sociali deboli del paese attraverso l'elargizione di derrate alimentari. Il presidente della repubblica, ha iniziato la campagna in Chiapas, nel municipio di Las Margaritas, una delle città occupate dagli zapatisti il primo gennaio 1994, nella quale perse la vita il Sub Comandante Pedro, secondo dirigente militare dell'EZLN; ed occupata nuovamente, ma pacificamente, il 21 dicembre 2012 da circa 7 mila indigeni ribelli, mentre altre migliaia marciavano su altre 3 città dello stato del Chiapas.
Tante voci autorevoli, in Messico, si erano espresse nelle scorse settimane rispetto a questa nuova campagna assistenzialista del governo, che come tutte quelle che l'hanno preceduta non va minimamente ad attaccare le cause della povertà e la disuguaglianza sociale nel paese. In molti parlavano della necessità di affrontare questi problemi mettendo al centro la sovranità alimentare, piuttosto che la fame, in un paese agricolo che a seguito dei trattati di libero commercio degli anni '90 ha visto la migrazione di un terzo della popolazione agricola. Ma è chiaro che il governo risponde ad altri interessi, ed invece di sostenere la produzione locale sta promuovendo lo smantellamento della proprietà collettiva delle terre e grandi progetti di monocoltivazioni come quelle di mais e soia OGM nelle regioni sotto il controllo di cartelli dei narcos nel nord del paese. Questi programmi assistenziali, oltre a non intaccare le cause della povertà in Messico, sono uno dei tanti strumenti per drenare denaro pubblico alle grandi imprese, infatti nelle dispense alimentari offerte ai poveri non sono presenti alimenti dei piccoli produttori locali di ogni regione, ma ovunque si distribuiscono prodotti, per niente genuini, delle grandi imprese transnazionali del settore.
Le comunità zapatiste non accettano nessun programma dal governo, ma con le loro sole risorse e con il lavoro collettivo affrontano la situazione di emarginazione e costruiscono il loro futuro. Spesso le autorità statali utilizzano questi soldi o altri beni come strumenti per tentare di comprare famiglie o dividere le comunità. La strategia di negare programmi assistenziali è spesso usata nei confronti di comunità non zapatiste che si stanno opponendo a espropriazioni o altri progetti indesiderati sulle loro terre. Gli zapatisti, come ha visto chi li ha visitati, e come hanno ribadito loro stessi nel comunicato del 30 dicembre scorso, dopo aver occupato le terre dei latifondisti nel '94 hanno abbattuto il problema della fame e la denutrizione, che prima di allora era la principale causa dell'alta mortalità infantile. Allora scrissero: "In questi anni ci siamo rafforzati ed abbiamo migliorato significativamente le nostre condizioni di vita. Il nostro livello di vita è superiore a quello delle comunità indigene vicine ai governi di turno, che ricevono le loro elemosine e le spendono in alcool ed articoli inutili. [...] Nei nostri villaggi, la terra che prima era per far ingrassare gli animali d'allevamento dei latifondisti, adesso è per il mais, i fagioli e le verdure che illuminano le nostre tavole".
Quindi, di fronte alla provocazione mediatica del presidente messicano, di iniziare la campagna contro la fame a Las Margaritas, municipio circondato da uno dei territori con la più alta presenza di zapatisti, la regione del caracol della Realidad, scrivono in questo messaggio che non hanno parole per rispondergli, e lo fanno con un disegno, accompagnato anche questa volta da un video musicale.
Ancora continua la presa di parola degli zapatisti che si rivolgono ai politici e governi del Messico. Come hanno scritto a inizio gennaio, questo continuerà per pochi altri comunicati, dopo dei quali la loro parola tornerà a rivolgersi a chi come loro lottano per costruire alternative reali al capitalismo e per la democrazia. A seguire la traduzione a cura di Comitato Maribel.


ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO
 21 GENNAIO 2013
Per: Alì Babà e i 40 ladroni (governatori, capo di governo e leccapiedi).
Da: Io
Non troviamo le parola per esprimere i nostri sentimenti sulla Crociata Nazionale Contro la Fame, quindi, senza parole:

P.S. Pessima coreografia e coordinamento. l’applauso degli acarreados era assolutamente fuori tempo, perfino il “precisino” se n’è accorto. Ricordate bene che il principio è la forma (oppure era il contrario?) Mmh… e poi i balbettamenti, oltre agli errori nell’uso del plurale, del singolare, del maschile e del femminile. Bisogna fare più pratica. Mmh… a meno che questo non sia lo stile di governo. Infine, bisogna sforzarsi di più. Infatti nessuno vi crede e poi con quei cartelloni, ancora meno. 
ALTRO P.S. Neta che aspettava la sigla musicale del teleton per estrarre gli accendini e prendersi per mano tutti a cantare “s-o-l-i-d-a-r-i-e-t-à” e poi, certo, “messico clap, clap, clap”, “messico clap, clap, clap”. 
ALTRO P.S. Un consiglio: l’elemosina andate a farla da un’altra parte, qui non vive nessun Gesù di nome Ortega Martínez o Zambrano. O potete farla con il “Pacto por México”. (Ah, le mie carambole sono sublimi, no?)


lunedì 21 gennaio 2013

Messico - Nuova carta del Sup Marcos

E' uscito su Enlace Zapatista un nuovo messaggio del Sub Comandante Insurgente Marcos. Il portavoce zapatista ribadisce ancora la grossa distanza tra la proposta politica zapatista di costruire alternative dal basso, rispetto alla classe politica messicana. Ancora un chiaro riferimento al PRD, partito della sinistra messicana che, a detta di Marcos, tenta ogni volta di normalizzare l'esperienze di rabbia e di ribellione che sorgono dal basso, tentando di canalizzarle all'interno del suo percorso di partito e nella logica elettorale. Come hanno scritto gli zapatisti nel comunicato del 30 dicembre 2012, riferendosi al PRD: voi non avete bisogno di noi; noi non abbiamo bisogno di voi. Marcos, con questo testo letterario ci mostra ancora che la proposta zapatista e delle organizzazioni che fanno riferimento all'Altra Campagna fa paura al potere proprio perchè sfugge alle logiche del sistema dei partiti e della tradizione della sinistra istituzionale, costruendo nuovi mondi.
Di seguito la traduzione e a questo link la versione originale http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/01/20/ellos-y-nosotros-i-las-sin-razones-de-arriba/

ELLOS Y NOSOTROS.
I.- Las (sin) razones de arriba.
Gennaio 2013

Parlano quelli che stanno sopra:

“Siamo noi che comandiamo. Siamo più potenti anche se siamo di meno. Non c’importa quello che dici-senti-pensi-fai, basta che stai muto, sordo, immobile. 
Possiamo imporre al governo gente mediamente intelligente (anche se è molto difficile trovarne nella classe politica), ma scegliamo uno che neanche riesce a far finta di sapere che cosa va a fare.

Perché? Perché possiamo farlo.

Possiamo usare l’apparato di polizia e militare per perseguire ed imprigionare veri delinquenti, ma questi criminali sono la nostra parte vitale. Invece scegliamo di perseguire te, picchiarti, catturarti, torturarti, imprigionarti, assassinarti.

Perché? Perché possiamo farlo.

Innocente o colpevole? ¿E chi se ne importa se sei uno o l’altro? La giustizia è solo una prostituta in più sul nostro libro paga e, credici, non è la più costosa. 

Ed anche se fai alla lettera quello che imponiamo, anche se non fai niente, anche se innocente, ti schiacceremo.

E se insisti a chiedere perché lo facciamo, ti rispondiamo: perché possiamo farlo.

Questo è avere il Potere. Si parla molto di soldi, ricchezze, e di queste cose. Ma credici, quello che eccita è questa sensazione di poter decidere sulla vita, la libertà ed i beni di chiunque. No, il potere non è il denaro, è quello che puoi avere grazie ad esso. Il Potere non è solo esercitarlo impunemente, ma anche e soprattutto, farlo irrazionalmente. Perché avere il Potere è fare e disfare senz’altra ragione che il possesso del Potere.

E non importa chi compaia davanti, per occultarci. Destra e sinistra sono solo indicazioni per far parcheggiare l’autista. La macchina funziona da sola. Non dobbiamo nemmeno ordinare che si punisca l’insolenza di sfidarci. Governi grandi, medi e piccoli, di tutto lo spettro politico, oltre ad intellettuali, artisti, giornalisti, politici, gerarchi religiosi, si contendono il privilegio di compiacerci.

Quindi fottiti, marcisci, crepa, disilluditi, arrenditi. 

Per il resto del mondo non esisti, non sei nessuno. 

Sì, abbiamo seminato l’odio, il cinismo, il rancore, la disperazione, il menefreghismo teorico e pratico, il conformismo del male minore, la paura fatta rassegnazione. 

Tuttavia, temiamo che questo si trasformi in rabbia organizzata, ribelle, senza prezzo.

Perché il caos che imponiamo lo controlliamo, lo gestiamo, lo dosiamo, lo alimentiamo. Le nostre forze dell’ordine sono le nostre forze per imporre il nostro caos.

Ma il kaos che viene dal basso …

Ah, quello… non capiamo nemmeno cosa dicono, chi sono, quanto costano.

E poi sono così volgari da non mendicare, sperare, chiedere, supplicare, ma esercitare la loro libertà. Mai vista una tale oscenità! 

Questo è il vero pericolo. Gente che guarda da un’altra parte, che esce dagli schemi, o li rompe, o li ignora.

Sai cosa ci ha dato buoni risultati? Il mito dell’unità ad ogni costo. Intendersi solo col capo, dirigente, leader, caudillo, o come lo si voglia chiamare. Controllare, gestire, contenere, comprare qualcun@ è più facile che comprarne molti. Sì, e più a buon mercato. Le ribellioni individuali. Sono tanto commoventemente inutili.

Quello che invece è un pericolo, un vero caos, è quando qualcuno si mette in collettivo, gruppo, banda, razza, organizzazione, e impara a dire no e a dire sì, e che si mettano poi d’accordo tra loro. Perché questo non punta a chi comandiamo. Eh sì… uff… questo sì è una calamità, immagina che ognuno costruisca il proprio destino, e decida che cosa essere e fare. Sarebbe come rivelare che noi siamo prescindibili, che siamo d’avanzo, che disturbiamo, che non siamo necessari, che dobbiamo essere imprigionati, che dobbiamo sparire.

Sì, un incubo. Vero, ma ora per noi. Ti immagini di che cattivo gusto sarebbe questo mondo? Pieno di indios, di neri, di caffè, di gialli, di rossi, di rasta, di tatuaggi, di piercing, di estoperoles, di punk, di darket@s, di chol@s, di skater@s, di quella bandiera con la A così senza nazione da essere comprata, di giovani, di donne, di put@s, di bimb@, di vecchi, di chicanos, di autisti, di contadini, di operai, di nacos, di proletari, di poveri, di anonimi, di… di altr@. Senza uno spazio privilegiato per noi, “the beautiful people”… la gente per bene che si capisce…. perché si vede da lontano che tu non hai studiato ad Harvard.

Sì, quel giorno per noi sarebbe notte… Sì, tutto esploderebbe. Che che cosa faremmo? 

Mmh… non ci avevamo pensato. Pensiamo, pianifichiamo e realizziamo cosa fare per impedire che accada, ma…… no, non c’avevamo pensato.

Bene, nel caso, dunque… mmh… non so… forse cercheremmo i colpevoli e poi, non so, penseremmo a un piano B. Indubbiamente per allora tutto sarebbe inutile. Credo che allora ricorderemo la frase di quel maledetto ebreo rosso… no, Marx no… Einstein, Albert Einstein. Mi sembra che sia stato lui a dire: “La teoria è quando si sa tutto e non funziona niente. La pratica è quando tutto funziona e nessuno sa perché. In questo caso abbiamo combinato la teoria e la pratica: non funziona niente… e nessuno sa perché”.

No, hai ragione, non riusciremmo neppure a sorridere. Il senso dell’umorismo è sempre stato un patrimonio non espropriabile. Non è una pena? 

Sì, senza dubbio: sono tempi di crisi.

Senti, non scatti qualche foto? Dico, così, per sistemarci un po’ e farci un po’ più decenti. Naah, questo modello l’abbiamo già usato in Hola… ah, ma che ti raccontiamo, si vede che non hai letto il Libro Vaquero (fumetto di storielle ambientate nell’ovest del Messico alla fine del XIX° secolo – n.d.t.).

Ah, non possiamo aspettare di raccontarlo a@ nostr@ amic@ che sono venuti ad intervistarci uno così… così… così… altro. Gli piacerà. E a noi daranno un’aria così cosmopolita…

No, certo che non ti temiamo. In quanto a questa profezia… bah, si tratta solo di superstizioni, così… così… così autoctone… Sì, così di bassa qualità … hahahaha… buona questa barzelletta, prendi nota per quando vedremo i ragazzi… 

Cosa?… non è una profezia?… 

Oh, è una promessa… 

(…) (suono di titutata-tatatatà dello smartphone)

Pronto, polizia? Sì, è venuto qualcuno a trovarci. Sì, pensiamo che fosse un giornalista o qualcosa così. Sembrava così… così… così altro, sì. No, non ci ha fatto niente. No, non si è nemmeno portato via niente. Sì, ora che siamo usciti dal club per incontrare i nostr@ amic@ vediamo che hanno dipinto qualcosa sul portone d’ingresso del giardino. No, le guardie non hanno visto chi è stato. No! certo che i fantasmi non esistono. Sì è di molti colori… No, non abbiamo visto nessun barattolo di vernice qui intorno… Bene, stavamo dicendo che è dipinto in molti colori, così, molto variopinto, molto naif, molto altro, niente a che vedere con le gallerie dove… che cosa? No, non vogliamo che mandi nessuna pattuglia. Sì, lo sappiamo. Ma lo diciamo per vedere se è possibile indagare per capire che cosa vuol dire quello che è dipinto. Non sappiamo se è un codice, o una di quelle strane lingue che parlano i proletari. Sì, è una sola parola, ma non capiamo perché ci fà venire i brividi. Dice:


 MARICHIWEU!” (*)
(continua…)

Da qualche parte, in qualunque dei mondi.
SupMarcos
Pianeta Terra
Gennaio 2013

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/01/20/ellos-y-nosotros-i-las-sin-razones-de-arriba/
(*) parola mapuche che significa “vinceremo sempre!”

(Traduzione “maribel” – Bergamo)

Africa - Un deserto chiamato guerra


Le motivazioni della guerra, nel duplice significato di cause e obiettivi, sono già state sviscerate: il jihadismo, le materie prime, lo spazio, il prestigio, l'impiego di armi vecchie da consumare e di armi nuove da provare.

di Gian Paolo Calchi Novati
[..........]Le motivazioni della guerra, nel duplice significato di cause e obiettivi, sono già state sviscerate: il jihadismo, le materie prime, lo spazio, il prestigio, l'impiego di armi vecchie da consumare e di armi nuove da provare. Nessuna guerra nasce da una sola causa e insegue un unico obiettivo. Senza nemmeno discutere il merito della questione i volenterosi di turno stanno correndo a costituire la solita coalizione. Chissà se come in altri casi, troppo noti per doverli citare, ci sarà anche questa volta un'eterogenesi dei fini. 
E alla poco gloriosa vittoria delle armate occidentali farà da riscontro la vittoria di qualche «terzo incomodo» o a effetti non voluti come nel caso della Libia.
Per il momento i contendenti, usando due termini volutamente propagandistici, sono il «mondo libero» e il «califfato islamico». Di califfato sovranazionale, esagerando, parla Giulio Sapelli in un bell'articolo sul Corriere della Sera del 18 gennaio, su cui si tornerà per contestarne, più che l'analisi, le conclusioni. La crisi scoppiata in Mali riprendeva, adattandoli, temi nati molto prima della war on terror, connessi piuttosto alla secolare tensione fra nomadi e sedentari e più esattamente al processo di costituzione dello stato in un'area tormentata del continente fra Africa araba e Africa nera.

Il fondamentalismo islamico nel Sahel è un fenomeno che dura da tempo e solo di recente ha acquisito gli aspetti anti-occidentali e militarizzati che adesso tutti giudicano intrinseci e preponderanti. Di per sé era una forma di identità culturale e di organizzazione sociale. Il grado maggiore o minore di ortodossia o eresia è importante ma secondario ai fini dei problemi attuali, ormai dominati dallo scontro duale così come definito più sopra.
Una rivolta di alcune migliaia di combattenti bene o male armati in cui si mischiano autonomismo localistico, fanatismo religioso, narcotraffico e criminalità comune, per di più in un territorio periferico, senza sbocchi al mare e senza il controllo di metropoli con un senso per l'economia-mondo che fa capo al Centro, dovrebbe avere un peso molto relativo. Vero è che anche in epoca coloniale - quelli che non credono nella storia si ostinano a non vedere le asimmetrie che l'esondazione dell'Europa fuori dell'Europa con i suoi valori, la sua tecnica e il suo potere ha provocato una volta per tutte - i piccoli incidenti hanno provocato i grandi eventi.

Del resto, il Mali si collega con la Somalia, la Somalia con l'Afghanistan, l'Afghanistan con Al-Qaida. È più raro sentire nell'elenco l'appoggio fornito a vario titolo dall'America prima ai mujaheddin per abbattere il regime pro-sovietico di Kabul e poi ai talebani attraverso il Pakistan, dall'Europa ai militanti islamici della Bosnia e del Kosovo per fiaccare la Serbia o da Israele a Hamas per distruggere l'Olp. Le ragioni della rimozione sono ovvie mentre tornerebbe utile partire dal presupposto che l'islam non è o non è sempre stato il male da esorcizzare con tutti i mezzi ma uno strumento funzionale a certe cause.
Più la singola fattispecie, oggi il Mali o meglio l'Azawad, si configura, per la realtà dei fatti o ad arte, come una sfida che riguarda tutto e tutti, più la reazione andrebbe studiata e modulata con riferimento al quadro generale invece che al micro-contesto. Non per niente alcuni parlano addirittura di pericolo per la «civiltà». [...........] In effetti, se l'Occidente riduce la sua politica alla guerra, crisi dopo crisi, il divario più prezioso fra i «noi» e i «loro» di una certa visione, fra l'Occidente e chi aggredisce l'Occidente, evapora. Guerra contro guerra: una tragica equivalenza. Ognuno ha le sue Torri Gemelle da rinfacciare all'altro.
Riprendendo Sapelli, l'illustre storico ha ragione di vedere l'insorgere di un movimento generale che interpella l'Occidente. La verità però è che il jihadismo è la classica punta di un iceberg che non si esaurisce nelle guerre, che pure esistono. L'Europa dovrebbe riconoscere che il suo modello che - di nuovo, dal colonialismo in poi - era la sua vera forza nei rapporti con Africa e Asia non ha più presa.

In particolare nella vasta area che sempre più riassume in un unico complesso il Medio Oriente e l'Africa settentrionale fino alla Nigeria e alla Somalia il revivalismo islamico è un'alternativa di medio-lungo periodo che premia se mai la Turchia, i Fratelli musulmani o l'Arabia Saudita (meno l'Iran). Questa sì è una presa d'atto su cui conviene meditare per aggiustare le politiche e le alleanze. L'esito delle Primavere arabe sarebbe stato meno imprevedibile. L'unico rimedio non può essere la soluzione militare a pena di un'altra guerra dei cent'anni. Con riferimento al nostro paese, che si appresta a intervenire più o meno alla chetichella forse con la copertura di chi non si vorrebbe, Sapelli commette una duplice scorrettezza. Primo, non esclude la guerra come opzione strategica, senza dire che sarà impossibile farla rientrare nell'autodifesa, sola eccezione al ripudio della guerra di cui alla Costituzione italiana. Secondo, suggerisce cautamente di posporre il dibattito a dopo le elezioni.
tratto da Il Manifesto

domenica 20 gennaio 2013

Cina - Nella Cina del progresso si muore ancora di freddo


In una via di Bijie cinque bambini muoiono di freddo nell'indifferenza generale. L'opinione pubblica insorge, ma la censura cerca di insabbiare tutto.
di Maria Dolores Cabras
C’era un freddo tremendo da sentirsi accapponare la pelle, di quelli che fanno battere i denti e ti scorrono nelle ossa fino a farti impallidire, il 15 novembre scorso a Bijie. Piovigginava e una nebbia densa velava di buio la notte. La temperatura era scesa a picco fino a toccare i 6 gradi centigradi nella città-prefettura della provincia del Guizhou.
Zhonglin, Zhongjing, Bo, Chong e Zhonghong, cinque bambini tra i 9 e i 13 anni, avevano mendicato per tutto il giorno qualche soldo in un sottopassaggio all’ingresso dell’università, poi erano tornati nella grande strada periferica, la Huandong Lu, dove avevano messo su con teloni e stracci un riparo di fortuna per la notte.
C’è chi racconta di averli visti giocare col pallone con indosso giacchette leggere e maglie di cotone, prima che il freddo gli gelasse i piedi e chiazzasse le loro labbra di uno strano colore rosso-bluastro, prima che i cinque bambini scegliessero come nuova tana per la notte un cassonetto per l’immondizia, di due metri per uno. Ci si erano infilati dentro e lì avevano acceso un po’ di carbone. Solo un po’, per riuscire a sentire per l’ultima volta il torpore di casa. L’indomani i cinque ragazzini del Guizhou erano ancora rannicchiati lì dentro, stretti l’uno all’altro senza vita, soffocati dal monossido di carbonio, come ha precisato l’esame autoptico. Prima affamati, poi infreddoliti e infine morti, nella totale e cieca indifferenza di passanti, studenti, professori e perfino dei funzionari che lavorano nei palazzi amministrativi siti nella zona.
È questa la Nuova Cina dello sviluppo tanto celebrata dal Pcc? È possibile che ancora oggi nella seconda economia al mondo, motore della crescita regionale asiatica e globale, i bambini muoiano per il freddo? A chiederselo sono in tanti, le voci della società civile giungono dalla piattaforma dei microblog cinesi che si infiamma per lo sdegno, ma anche dal mondo del giornalismo locale. Li Yuanlong, giornalista del Bijie Daily, ha provato a fornire alcune risposte indagando sulla storia dei cinque bambini, avvicinando le loro famiglie e descrivendo il degrado delle loro misere vite. È riuscito perfino a fotografarne i corpicini e a diffonderne le immagini su internet, e per questo è stato censurato, arrestato e minacciato dalla polizia.

venerdì 18 gennaio 2013

Europa - Perchè la Slovenia è in piazza


di Franco Juri *
Fino a qualche anno fa la Slovenia veniva raccontata come una storia esemplare, una storia di successo, esibita come il fiore all'occhiello di un'Europa che guarda , da madre amorevole, ai Balcani. L'incantesimo ora si dilegua ; la crisi politica scaturita da quella economica e dalle scelte »Merkeliane« fatte sia dall'attuale governo di centrodestra , guidato da Janez Janša che, in termini più soffusi, dal precedente governo di centrosinistra di Borut Pahor, assume dei connotati per molti versi inquietanti, ma che in fondo riflette perfettamente , in uno spazio piccolo e in uno scenario politicamente incestuoso, gli obiettivi della »rivoluzione« conservatrice e neoliberista in corso nell' Unione Europea. In termini di parametri economici e sociali la Slovenia non è la Grecia.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!