giovedì 14 luglio 2016

Patagonia - Il filo di lana e quello spinato

Da venticinque anni la famiglia Benetton è il più grande latifondista straniero della Patagonia e dell’Argentina. Ha comprato un territorio immenso, quasi alla fine del mondo, per soli cinquanta milioni di dollari. Non è mai riuscita a comprare, però, la gente che lo abita da secoli. I Mapuche hanno resistito ai conquistadores spagnoli all’esercito argentino deciso ad impadronirsi del “deserto” e oggi resistono al colonialismo di imprese multinazionali insaziabili e decise a impossessarsi della terra e dell’acqua con qualsiasi mezzo, dalla repressione di uno stato compiacente alla manovra “culturale” che tende a considerare gli indigeno gente da museo. Quello dei Mapuche, però, è un popolo che non si lascia imbrogliare né piegare, come dimostra la leggendaria resistenza diventata vittoriosa due anni fa della famiglia di Rosa Nahuelquir e Atilio Curiñanco e quella opposta ancora nei primi giorni di luglio di quest’anno a uno sgombero inaspettato e di inaudita violenza. Un reportage racconta gli ultimi mesi di una lotta che dura da 130 anni
di Patrizia Larese
No es meno raro el hecho de que se hable siempre del territorio y no de los habitantes , como si la nieve y la arena fueran más reales que los seres humanos”. (Jorge Louis Borges, Clarin, 1982)
“Ė singolare il fatto che si parli sempre del territorio e non dei suoi abitanti, come se la neve e la sabbia fossero più reali degli esseri umani” (Jorge Louis Borges,Clarin, 1982)
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Arrivo verso le 20 al terminal dei pullman di Puerto Madryn, sono in anticipo per il bus che, dopo una notte di viaggio, mi porterà ad Esquel, ai piedi della Cordigliera delle Ande, nel cuore della Patagonia argentina, terra aspra, dura, affascinante e misteriosa. In queste zone è in atto da anni un conflitto legale tra la comunità Mapuche, una delle comunità native del Sud America, e la multinazionale Benetton per il recupero delle terre ancestrali. La multinazionale Benetton da più di venticinque anni possiede il 10% del territorio della Patagonia argentina, un’estensione paragonabile alla nostra Umbria.
Nel 2002 la famiglia mapuche Curiñanco-Nahuelquir intentò una causa legale contro i Benetton per “recuperare” 535 ettari a Santa Rosa di Leleque, località che si trova a circa 100km da Esquel e, dopo anni di sgomberi forzati, lotte legali, durante le quali è intervenuto a difesa dei nativi Pérez Esquivel, premio Nobel per la Pace 1980, la famiglia è riuscita a ritornare a vivere nelle terre degli antenati, rivendicando un diritto riconosciuto ai popoli nativi.
L’agenzia “El Bolson” il 12 novembre 2014 pubblicò il verdetto della sentenza:
“…l’Istituto Nazionale degli Affari Indigeni (INAI) consegnerà i documenti ufficiali del rilevamento territoriale dove si riconoscono i diritti della comunità Santa Rosa/Leleque. Secondo la notizia di ieri, l’INAI – nell’ambito della legge di rilevamento territoriale- “ ha riconosciuto la comunità Mapuche possessore del territorio reclamato da più di dieci anni nei confronti dell’azienda multinazionale Benetton”.
Rosa Nahuelquir e Atilio Curiñanco affermarono: ”Oggi lo Stato argentino ammette che siamo una comunità pre-esistente, riconoscendo il possesso di questo territorio nell’ambito della legge n° 26.160 applicata in diversi punti del paese. Questi anni di residenza e resistenza sul territorio non sono stati vani
La storia dei coniugi Curiñanco ha portato all’attenzione della cronaca mondiale la condizione in cui versano i popoli nativi in Centro e Sud America. Le organizzazioni internazionali e locali che si occupano della difesa dei diritti umani, i mezzi di comunicazione, i partiti politici hanno iniziato ad interessarsi delle problematiche che coinvolgono le popolazioni indigene: dai conflitti per il recupero delle terre ancestrali al razzismo, alla richiesta di riconoscimento di uguali diritti.
Da anni è in atto “il risveglio indigeno”, un fenomeno che riguarda il ritorno di molte comunità all’affrancamento della propria identità, alla rivendicazione della propria cultura tradizionale e delle terre avite. Gli indigeni reclamano il proprio diritto come abitanti originari e sollevano il velo delle violenze che hanno subìto.
La storia della conquista da parte degli Europei è disseminata di stragi, deportazioni, stermini delle tribù Mapuche, Tewelche, Seikman, Yamana, Ona e molte altre e purtroppo è tuttora in atto una colonizzazione da parte di multinazionali straniere e ricchi latifondisti.
La storia di queste terre risale alla fine del 1800 quando, durante la Campañia del Desierto (1878-1895), furono sottratte ai popoli nativi. La Campaña del Desierto fu una campagna militare sanguinosa guidata dal generale Julio Argentino Roca (1847-1914) che conquistò i territori a sud della provincia di Buenos Aires, uccidendo e deportando come schiavi le popolazioni che vivevano in pace nelle regioni patagoniche. Roca è celebrato ancora oggi sulle banconote da 100 pesos, nei testi scolastici e con monumenti, a lui sono state dedicate piazze e strade in tutto il Paese.
Per comprendere la complessità della lotta dei popoli indigeni occorre ricordare il trattamento che le tribù native hanno sofferto a partire dalla fine del 1800 e rivedere la storia dell’Argentina. Dopo la Conquista del Deserto, l’Argentina diventò una grande potenza agricola a scapito delle popolazioni indigene. Le terre in questione furono donate dal Presidente Uriburu a proprietari inglesi, come forma di pagamento per le armi che avevano fornito per la Campaña del Desierto. Gli Inglesi, in seguito, trasferirono questi territori alla società ‘The Argentine Southern Land Company Ltd’, conosciuta anche con la sigla TASLCo, fondata nel 1889 e creata per realizzare attività commerciali in Patagonia. La Company aveva sede a Londra ed uffici a Buenos Aires per poter amministrare le proprietà dei latifondisti inglesi nel Paese sudamericano.
La TASLCo ottenne così quasi un milione di ettari nel nord della Patagonia, 10 estancias (fattorie) di quasi 90.000 ettari ciascuna per lo sviluppo della ferrovia che servì per esportare la produzione del bestiame. La Company sfruttò queste terre per quasi un secolo producendo, importando ed esportando bestiame senza pagare dazi o altri tipi di tasse.
Nel 1975, la “Great Western”, società con sede in Lussemburgo, acquista il pacchetto azionario della TASLCo che in quel tempo era passata nelle mani di impresari argentini. In questi passaggi è contenuta una doppia violazione della Costituzione argentina, la quale vieta donazioni per più di 400 mila ettari e, al contempo proibisce la vendita degli stessi terreni a fini di lucro da parte di chi ha precedentemente goduto delle donazioni. Nel 1982, al tempo della Guerra delle Malvinas, gli azionisti durante una riunione decidono di cambiare la ragione sociale in “Compañia de Tierras del Sur Argentino” e integrano la classe dirigente con un 60% di direttori argentini.
Dopo la Guerra delle Malvinas, la legislazione argentina esige la nazionalizzazione delle imprese straniere.
Nel 1991, tramite la “Edizioni Holding International N.V.”, la famiglia di Luciano Benetton acquista il pacchetto azionario della Compañia per soli 50 milioni di dollari diventando il maggior azionista ed il più grande latifondista straniero in Argentina. Un affare perfetto: oggi un ettaro è valutato intorno ai 2 milioni di pesos.
In questa corsa al “land grabbing”(arraffa terra) i popoli nativi subiscono continuamente l’espropriazione dei territori ancestrali, impedimenti e divieti per il libero accesso alle sorgenti di acqua dolce.
La lista dei latifondisti stranieri è molto lunga ma la famiglia Benetton occupa il primo posto con 900.000 ettari, pari a 4.500 volte la superfice di Buenos Aires, seguita dai miliardari Douglas Tompkins (morto nel dicembre 2015) che fece la sua fortuna con il marchio sportivo ‘The North Face’ ed ‘Esprit’, proprietario di circa 500.000 ettari; Ward Lay, il re delle patatine fritte, proprietario dell’omonima compagnia, l’inglese Charles Lewis, magnate della catena Hard Rock Café possiede 8.000 ettari nella zona del Lago Escondido, tra San Carlos de Bariloche ed El Bolsón, ma proibisce agli indigeni l’accesso al lago; Ted Turner, il fondatore del network multimediale CNN, parte della sue terre circa 45.000 ettari si trovano all’interno del Parco Nazionale Nahuel Huapi, dove scorre uno dei fiumi incontaminati della Patagonia. Da quando questi territori sono di sua proprietà, l’accesso al fiume è stato limitato.
Henry Kissinger, l’ex-segretario di Stato, rimase stregato dalle incantevoli distese patagoniche che acquistò a prezzi favorevoli. Ed ancora gli attori Christopher Lambert , Silvester Stallone, Jeremy Irons, Tommy Lee Jones, Bruce Willis, John Travolta. Altri divi di Hollywood: Richard Gere, Robert Duvall, Matt Damon che hanno acquistato terre nelle province nord di Tucuman, Salta e Jujuy. Alcuni Paperoni nazionali, dal noto presentatore tv Marcelo Tinelli all’uomo più amato dopo Maradona, il calciatore Gabriel Batistuta, detto Batigol, posseggono immensi territori in questa regione leggendaria alla fine del mondo diventata un paradiso per miliardari. Grandi gruppi vinicoli francesi, spagnoli e italiani si sono stabiliti a Mendoza, ai piedi della Cordigliera delle Ande, dove la terra ed il clima sono favorevoli per la cultura della vite. Bill Gates, uno degli uomini più ricchi del mondo, è proprietario di miniere di oro e argento.
Da alcuni anni anche la Cina ha iniziato a espandere la sua presenza in Sud America investendo non solo nelle miniere e nel petrolio ma anche nei prodotti agroalimentari soprattutto colture di soia diventando uno dei più grandi investitori in Argentina. Ha fatto molto discutere il caso dei 200 mila ettari di terra nella regione di Río Negro acquistati dall’impresa cinese di alimenti Beida Yuang per coltivare soia, grano e colza.
In un articolo di BBC Mundo del 2011 si legge che da un’indagine eseguita dalla FAO (Food and Agriculture Foundation), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della povertà nel mondo, e da più di 40 associazioni raggruppate nella Coalizione Internazionale delle Terre (CIT Coalición Internacional de Tierras), si evince la grande preoccupazione per il fenomeno di land grabbing che coinvolge non solo l’Argentina ma ben 17 Paesi dal Centro al Sud America. Un responsabile tecnico della Commissione delle Relazioni Politiche della Società Rurale Argentina ha confermato in un’intervista sempre a BBC Mundo che non esistono dati precisi sulle terre vendute o in vendita a stranieri.
Mapuches
La volentissima repressione a Cushamen dello scorso 4 luglio. Foto Marcha
Il referente della comunità mapuche di Esquel, Martiniano, mi racconta che l’anno scorso è stato costruito un piccolo presidio (Lof) per il recupero delle terre ancestrali mapuche. Mi propone di andare a incontrare i ragazzi che vivono al Lof, impegnati nella lotta per la “recuperación de la tierra”, così amano definirla i Mapuche, per riappropriarsi di 150 ettari che si trovano nell’estancia di Leleque, all’interno della proprietà Benetton.
Mi reco al Lof in compagnia di Chele e Daniela, una coppia di coniugi di origini mapuche-tewelche che fanno parte della Rete di Appoggio al Lof (“Red de apoyo a las Lof en resistencia Departamento Cushamen”). Il presidio mapuche si trova a circa 100 chilometri da Esquel nel Dipartimento di Cushamen. Resto impressionata dal fatto che da Esquel al Lof la strada è delimitata da ambo i lati dai recinti delle proprietà Benetton e durante il percorso attraverso ben dieci corsi d’acqua, di proprietà della multinazionale italiana.
La “recuperación” di questa parte dei territori ancestrali mapuche è iniziata il 13 marzo 2015, per recuperare territori che si trovano vicino al fiume Chubut. La comunità non può accedere alla fonte d’acqua dal momento che i Benetton non lo permettono, adducendo come pretesto il fatto che non esistono documenti che attestino l’autenticità della proprietà alla comunità mapuche. 
Il Lof si trova all’incrocio della Ruta 40 con la Ruta provinciale per El Maitén. Sul recinto che corre all'infinito ci sono degli striscioni che annunciano “Recuperación Mapuche, Fuori i Latifondisti, i Petrolieri, i Winka (i Bianchi).”
Con Chele e Daniela mi metto in attesa e, dopo alcuni minuti, arriva un giovane incappucciato che, nascosto, sta di vedetta in una specie di garitta, nel caso in cui si presentino visite inaspettate e soprattutto indesiderate. Ci accoglie con un “Mari, mari”, il tipico saluto in lingua mapudungún (la lingua mapuche) e, dopo aver abbracciato Chele e Daniela, mi stringe vigorosamente la mano. Passa un po’ di tempo ed arriva un altro ragazzo anche lui a volto coperto che ci fa strada addentrandosi nel terreno ricoperto di arbusti bassi, duri e spinosi, tipici delle distese patagoniche. Giunti in mezzo alla pampa ci troviamo di fronte ad una abitazione, un po’ più di una baracca, costruita sulla nuda terra con tronchi e lamiere di latta, la loro dimora.
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Ci sistemiamo fuori sotto un pergolato, ricavato con un grande telo a difesa del sole implacabile di questa terra, mentre sul focolare sta cuocendo in un grosso pentolone una zuppa di verdura che emana un profumo intenso ed appetitoso. Ci sediamo su panche e pezzi di legno, o su piccoli barili, nel gruppo anche una bimba di otto-nove anni, membro orgoglioso del gruppo.
Come prima cosa i giovani mapuche si scusano di presentarsi a volto coperto, non possono neppure dirmi i loro nomi perché costretti a nascondersi per una persecuzione politica, sono stati giudicati terroristi da tre procuratori ed un giudice. Mi spiegano che si sono insediati qui per difendere il loro territorio, la terra dei loro avi da cui traggono la loro energia e la loro cultura. Vivere qui in mezzo al nulla è molto duro, non esiste elettricità e nei mesi invernali la temperatura può raggiungere i 20 gradi sotto zero. L’abitazione è dotata soltanto di un enorme focolare ed è arduo difendersi dal vento patagonico che la fa da padrone. Poco lontano scorre il ruscello che consente loro di poter vivere e persistere nella lotta per la loro terra. Mi dicono che anche se la situazione è dura e difficile tuttavia sono felici perché sanno che stanno portando avanti una lotta giusta per se stessi e per il futuro del loro popolo, in nome dei diritti violati di tutte le popolazioni native. Mi ringraziano per essere andata a trovarli da così lontano e si meravigliano che qualcuno conosca la loro storia anche a migliaia di chilometri.
Dopo un excursus su Gramsci, Marx , Cuba e Syriza, per nulla casuale, ma con il preciso intento di comprendere quali siano i miei orientamenti al riguardo, mi spiegano che la soluzione di questo conflitto è una questione politica la cui origine risale a molto lontano, alla fine del XIX secolo fin da quando i loro nonni e bisnonni patirono sulla loro carne le atrocità della Campaña del Desierto. Sono fieri di essere i loro discendenti, non hanno paura di continuare una lotta che il loro popolo porta avanti da più di 130 anni perché sanno che agiscono in nome della loro tradizione e della cultura del loro popolo da sempre legato alla terre ancestrali della Madre Terra (la Pacha Mama).
Uno dei giovani incappucciati mi spiega che la riforma della Costituzione include l’articolo 75 dove al punto 17 si riconosce la pre-esistenza etnica delle popolazioni native ed il rispetto della tradizione delle terre che i Mapuche e i popoli indigeni occupavano precedentemente.
La Costituzione però non viene rispettata ed essi non hanno altra scelta che far sentire la loro voce con la recuperación. La Terra, più precisamente il territorio, è la base dello sviluppo della loro cultura, è la continuità storica della loro gente e della conoscenza è il bene più grande da cui ricevono non solo sostentamento ma forza ed energia per la vita perché la Terra è tutto per i Mapuche (Mapu=Terra e Che=Uomo): il Popolo della Terra.
Affermano che non possono permettersi il lusso di aspettare altri 20 anni di trattative burocratiche per trovare una soluzione per la loro gente ridotta in miseria ed alla fame con conseguente deterioramento della qualità della vita. Coloro che non riescono a sopravvivere in campagna, perché impiegati nei grandi latifondi con miseri salari, emigrano in città ma finiscono per andare a vivere nei quartieri più poveri dove la qualità della vita è ancora peggiore, se possibile, che in campagna. Le conseguenze dell’inurbamento indigeno sono evidenti in termini di degrado e abuso di alcool. Questi ragazzi sentono di essere un’etnia che rischia di estinguersi e per questo si battono con forza, per sopravvivere. Rivendicano la rivisitazione dei fatti storici che provocarono la deportazione e la morte dei loro antenati ed il riconoscimento che la Campaña del Desierto fu un enorme massacro, che il generale Roca non sia più celebrato come un eroe ma che passi alla storia come un atroce etnocida.
I giovani continuano il racconto dicendo che l’intervento dello Stato fino ad ora è stato soltanto repressivo. La polizia è intervenuta con molti militari che hanno sparato a bruciapelo ad altezza uomo pallottole di piombo, con un assedio impressionante. Pensavano che sparassero pallottole di gomma invece hanno le prove, erano pallottole vere ed è stata solo una casualità se fino ad ora non ci sono state vittime.
Il governo teme che possano verificarsi altre forme di protesta in altre parti del Paese, con ripercussioni anche in Cile dove i Mapuche subiscono incarcerazioni e torture solo per rivendicare ciò che è giusto.
Chele e Daniela mi raccontano che durante la notte del 18 agosto dell’anno scorso la popolazione di Esquel, dopo aver compreso che la polizia, con camionette ed in assetto antisommossa, stava per intraprendere un’incursione violenta al Lof di Cushamen, si è mobilitata in massa ed è riuscita ad evitare un vero e proprio massacro.
Un altro ragazzo continua la storia affermando che dopo l’inizio della “recuperación” del 13 marzo 2015 Benetton presentò una denuncia per “usurpazione”. Si aprì un’altra causa giudiziale dove i cinque portavoce della comunità, fra cui tre donne, furono imputati secondo la legge di antiterrorismo. Era la prima volta che la Giustizia Provinciale applicava la Legge Antiterrorismo in Chubut. Mi raccontano che non possono circolare da soli per le vie di Esquel altrimenti rischiano di essere catturati dalla polizia e sottoposti a violenti interrogatori, come già successo ad alcuni di loro. Da Chele e Daniela vengo a sapere che quando i ragazzi hanno qualche problema di salute sono costretti ad evitare le cure mediche ufficiali e l’ospedale, esiste sempre il rischio che possano essere riconosciuti ed arrestati. Così quando si ammalano ricorrono all'assistenza di due medici che, di nascosto e di notte, si recano al Lof per prestare le cure di cui hanno bisogno, mettendo a rischio la propria carriera nel caso in cui venissero scoperti.
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Quella del popolo della terra non è gente da museo
Il 27 maggio scorso alle 7.30 del mattino, la polizia ed i GEOP (Groupo Especial de Operaciones Provinciales), le forze speciali di operazioni della provincia, sono intervenute con violenza al Lof di Cushamen per uno sgombero forzato. Secondo la radio comunitaria FM Kalewche l’azione violenta della polizia è stata motivata dall'ordine di cattura internazionale che pende nei confronti di Facundo Jones Huala, uno dei ragazzi mapuche, accusato di terrorismo.
A causa di ciò l’intervento delle forze dell’ordine si è svolto con brutalità con gas lacrimogeni e grosse armi: dall'anno scorso i giovani per la giustizia sono terroristi. Sono state incarcerate sette persone, dopo alcuni giorni sei di esse sono state rilasciate, mentre per Facundo Jones Huala, è stata richiesta l’estradizione in Cile. Se ciò avvenisse la situazione si aggraverebbe enormemente dal momento che la legge antiterrorismo in Cile, quella voluta da Pinochet negli anni ’70 ed ancora in vigore, è ancora più dura e repressiva di quella argentina. “Al Lof sono rimaste due donne con quattro bambini circondate dalla polizia- dice Martiniano, il referente della Comunità – per questo motivo abbiamo bisogno che questi fatti vengano diffusi il più possibile”.
I Mapuche sono un popolo fiero e guerriero. Nel 1641 furono gli unici nativi che costrinsero i soldati della Corona di Spagna alla firma del trattato di Quillin e imposero all’invasore il riconoscimento dell’autonomia territoriale della Nazione Mapuche, la Wall Mapu, a sud del fiume Bìo-Bìo. Leggendo le ultime notizie che giungono da Esquel mi vengono in mente le parole del giovane del Lof che mi disse con forte determinazione quel giorno del novembre scorso: “Abbiamo forza sufficiente per proseguire questa lotta. Siamo convinti che queste terre, usurpate dalla famiglia Benetton, un giorno torneranno ad essere nostre.”

mercoledì 13 luglio 2016

L’accumulazione attraverso lo sterminio

La violenza e la guerra contro i popoli sono le forme contemporanee del dominio sulla vita. In particolare nelle regioni povere del sud globalizzato. Giorgio Agamben lo ha spiegato all'inizio del nuovo secolo, gli zapatisti continuano a ripeterlo da quando introdussero il concetto di Quarta guerra mondiale. La recente repressione degli insegnanti di Oaxaca ha mostrato ancora una volta come sotto le spoglie di una farsesca democrazia i governi combattono una guerra civile legale che permette l’eliminazione fisica non solo degli avversari politici ma di intere categorie di cittadini. Il Messico è lo specchio in cui i popoli dell’America Latina e del mondo si possono guardare. Centomila morti e decine di migliaia di desaparecidos non sono una deviazione del sistema ma ne sono il nucleo. Come chiamare, dunque, una forma di accumulazione ancorata sulla distruzione e la morte di una parte dell’umanità? Guerra e accumulazione sono sinonimi, al punto tale che subordinano lo Stato-nazione a questa logica


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Nochixtlan piange i suoi morti. Foto Cgt-Ikn
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di Raúl Zibechi
L’evoluzione della guerra nell’ultimo secolo, in rapporto alla popolazione, ci offre degli indizi sul tipo di società in cui viviamo. Fino alla Prima Guerra Mondiale i combattimenti avvenivano tra eserciti nazionali, sulle barricate, dove si verificavano le grandi carneficine che infiammavano la coscienza operaia. Colpivano la popolazione in forma indiretta, con la morte in massa di figli e fratelli. Quando lo facevano in forma diretta, erano, il più delle volte, “effetti collaterali” del conflitto o, talvolta, ammonimenti per indebolire il morale di chi combatteva al fronte.
Con la Seconda Guerra Mondiale, le cose cambiano radicalmente. Dai bombardamenti di Amburgo e Dresda fino alle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, passando per il bombardamento giapponese a Chongqing fino ai campi di concentramento tedeschi, l’obiettivo è diventato la popolazione. Come segnala Giorgio Agamben, c’è un prima e un dopo questa guerra e i campi di concentramento, poiché il campo così come il “bombardamento strategico” si sono trasformati in paradigmi della politica e della guerra moderne.
Non si tratta della comparsa dell’aviazione come forma principale del combattimento. Al contrario: l’aviazione diventa decisiva perché l’obiettivo diventa la popolazione. Il Vietnam è un altro punto di svolta. È la prima volta che i morti statunitensi si contano a migliaia, con un impatto molto maggiore rispetto alle guerre precedenti. A partire da lì, la guerra aerea raddoppia la sua importanza per non entrare nel corpo a corpo con l’inevitabile risultato di vittime proprie.
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La giornalista Alejandra Natalia Rodríguez subisce la repressione nella capitale messicana. Fotoanimalpolitico
L’accumulazione per spoliazione (industria mineraria a cielo aperto, monocolture come la soia e mega-progetti) ha una logica simile a quella della guerra attuale, non solamente per l’uso degli erbicidi testati nella guerra contro il popolo vietnamita, ma anche per la stessa logica militare: liberare il campo dalla popolazione per appropriarsi dei beni comuni. Per espropriare/rubare, è necessario togliere di mezzo quella gente così fastidiosa; è il ragionamento del capitale, una logica che vale sia per la guerra che per l’agricoltura e per l’attività mineraria.
Per questo, è importante riferirsi all’attuale modello come “quarta guerra mondiale”, come fanno gli zapatisti, perché il sistema si comporta in quel modo, compresa, naturalmente, la medicina allopatica, che si ispira ai principi della guerra. Gli argomenti del EZLN collimano con quelli di Agamben, quando dice che il dominio della vita attraverso la violenza è la modalità di governo dominante nella politica attuale, in particolare nelle regioni povere del sud globale.
La brutale repressione dei maestri, avvenuta a Oaxaca, mostra l’esistenza di un totalitarismo mascherato da democrazia, che, secondo Agamben, si caratterizza per “l’instaurazione, mediante lo stato di eccezione, di una guerra civile legale, che permette l’eliminazione fisica non solo degli avversari politici, ma di intere categorie di cittadini che per qualche ragione non risultano integrabili nel sistema politico” (Lo stato d’eccezione, Bollati). Lo stesso autore ci ricorda che dai campi di concentramento non c’è un ritorno possibile alla politica classica, quella che era incentrata sulle rivendicazioni verso lo Stato e l’interazione con le istituzioni.
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I carabinieri del Cile fermano la protesta degli studenti. Foto cubadebate
Come chiamare una forma di accumulazione ancorata sulla distruzione e la morte di una parte dell’umanità? Nella logica del capitale, l’accumulazione non è un fenomeno meramente economico: da lì l’importanza dell’analisi zapatista che pone l’accento sul concetto di guerra. Voglio dire che il tipo di accumulazione che il capitale necessita nel periodo attuale, non può che essere preceduto e accompagnato strutturalmente dalla guerra contro i popoli. Guerra e accumulazione sono sinonimi, al punto tale che subordinano lo Stato-nazione a questa logica.
Il tipo di Stato adatto per questo tipo di accumulazione/guerra è il punto debole di chi analizza l’”accumulazione per esproprio” o il “post-estrattivismo”. In queste analisi, al di là del valore che hanno, trovo diversi problemi che vanno discussi al fine di rafforzare le resistenze.
Il primo è che non si tratta di modelli economici, solamente. Il capitalismo non è un’economia, è un sistema che include un’economia capitalista. Nella sua fase attuale, il modello estrattivo o di accumulazione per furto non si riduce a un’economia, bensì a un sistema che funziona (dalle istituzioni fino alla cultura) come una guerra contro i popoli, come una forma di di sterminio o di accumulazione attraverso lo sterminio.
Il Messico è lo specchio in cui i popoli dell’America Latina e del mondo si possono guardare. Gli oltre centomila morti e le decine di migliaia di desaparecidos non sono una deviazione del sistema, ma il nucleo del sistema. Tutti gli elementi che fanno parte di questo sistema, dalla giustizia e dall'apparato elettorale fino alla medicina e la musica (per fare appena qualche esempio), sono funzionali allo sterminio. La “nostra” musica e la “nostra” giustizia (così come tutti gli aspetti della vita) sono parte della resistenza al sistema. Sono divise o separate da esso. Non fanno parte di un tutto sistemico, ma sono già parte dell’ “altro mondo”.
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Brutalità a Camp Davis. Foto: despierten
La seconda questione è che le istituzioni statali sono state formattate da e per la guerra contro i popoli. Per questo non ha alcun senso dedicare tempo ed energie fissandoci su di esse, fatta eccezione per chi crede (per ingenuità o interesse meschino) di poterle governare a favore de los de abajo. Questo è forse il principale dibattito strategico che abbiamo di fronte in questa ora cupa.
Insomma, creare e prendersi cura dei nostri spazi e proteggerci da chi sta in alto, senza lasciarci sedurre dai suoi scenari, diventa la questione vitale dei nostri movimenti. Ricordiamo che, per Agamben, i detenuti del campo sono persone che “chiunque può ammazzare senza commettere omicidio”. Questa visione del mondo attuale spiega i fatti di Ayotzinapa e Nochixtlán meglio dei discorsi sulla democrazia e la cittadinanza, che si appellano alla giustizia del sistema.

lunedì 11 luglio 2016

I danni del Pfas dall'America all'Italia


La lunga storia dell' avvocato Billot che scoperchiò la verità sulla DuPont

Da alcuni mesi si parla in Italia dell’inquinamento da Pfas, il composto di perfluoroalchilici, usato per trent'anni ed ancor oggi per Teflon, Goretex, cartone per alimenti ed allegramente sversato nei fiumi del Veneto dalla Mitemi, con il conseguente dilagante inquinamento delle falde. La vicenda viene riassunta dal giornalista Ivany Grozny in un pezzo per Articolo 21 e un reportage per Repubblica.it. 

Quel che ci interessa raccontare è la versione a stelle e strisce della stessa vicenda. 
Un viaggio in quel che è successo in America serve a farci riflettere su due impostazioni in teoria diverse intorno ai temi ambientali che mostrano entrambe i loro lati negativi.
Una riflessione utile nel momento in cui accordi come il TTIP porterebbero all'integrazione dei rispettivi mercati.
Da noi in Europa dovrebbe vigere il principio di precauzione: non si usa qualcosa che può essere pericoloso. Salvo poi non restringere le maglie di quel che viene definito pericoloso e il caso del Pfas è emblematico.
In America vige la logica che si può usare qualcosa fino a quando non si dimostra che fa male. Salvo poi ritrovarsi a rimborsare a suon di dollari chi è stato vittima dell’utilizzo e piangere sul "latte versato".
Si potrebbe dissertare su quale dei due sistemi è il migliore, su come in America funzioni la class action, che dà ai cittadini la possibilità di mettere in ginocchio chi inquina, su come in Europa i controlli preventivi siano più adeguati .. ma alla fine resta una domanda per tutti.
O prima o dopo? Non è forse il caso di dire mai! 
Lavorazioni, produzioni, impianti nascono per incentivare in maniera incessante lo sviluppo non importa a che prezzo e di cosa. Ed allora interrogarsi su cosa, perché, come si produce resta, certo la strada più lunga ed impervia, ma l’unica
Vi proponiamo alcune note ed un articolo del New York Times dedicato a Rob Billot, l’avvocato che ha fatto causa alla DuPont. Una storia che sembra la sceneggiatura di un film ma che è realtà.
L’articolo è stato realizzato in collaborazione con A Sud - Veneto e le studentesse dell’Istituto Scarcerle di Padova
Nel 1951, la legge degli Stati Uniti non richiedeva ai produttori di sostanze chimiche di presentare informazioni riguardanti la sicurezza per l’ambiente e la salute umana prima della loro commercializzazione. Dopo l’emanazione del Toxics Substances Control Act (TSCA) da parte del Congresso nel 1976, oltre 63.000 sostanze chimiche, tra cui il PFOA, ricevettero l’autorizzazione alla commercializzazione “in bianco” per l’uso in prodotti di consumo e industriali, imponendo l’obbligo, però, di dare tempestiva comunicazione alle autorità qualora gli industriali fossero venuti in possesso di informazioni che soltanto facessero sospettare la pericolosità delle sostanze chimiche da loro prodotte.
L’inizio
L’acido perfluoroottanoico ha iniziato ad essere rilasciato nell'ambiente, sia mediante emissione nell'aria atmosferica che mediante scarichi nei fiumi.
I campionamenti effettuati in seguito su centinaia di pozzi privati e fonti pubbliche hanno dimostrato che, persino dopo la drastica riduzione dell’immissione da parte degli impianti chimici, la contaminazione delle acque potabili da parte dell’acido perfluoroottanoico persisteva e continuava ad aumentare negli anni in alcuni distretti situati in prossimità delle fabbriche.
La DuPont sapeva
Nei 10-20 anni seguenti alla sua introduzione nei processi di produzione la DuPont aveva avuto dei dati che indicavano come il PFOA si accumuli nel sangue umano, non si distrugga facilmente nell'ambiente, e possa causare gravi problemi di salute, tra cui danni al fegato , difetti di riproduzione e dello sviluppo del feto, e diversi tipi di tumori.
Il PFOA è stato individuato in una elevata percentuale di campioni di sangue umano e di polvere di casa prelevati in numerose case nel Massachusetts, nel Maine, a New York, in Oregon e in California, e ha contaminato l’acqua potabile in alcune comunità nella Virginia dell’est e in Minnesota.
DuPont e 3M, pur conoscendo questi allarmanti dati non hanno avvisato la US Environmental Protection Agency (EPA), come prevede il TSCA.
Ora si sa
Con le class action portate avanti contro la DuPont la verità è venuta a galla.
A partire dal 2005, numerosi studi epidemiologici sulle popolazioni che avevano bevuto per anni le acque avvelenate dalla DuPont hanno dimostrato la presenza di numerose patologie: cancro del rene, del testicolo, della prostata e di linfomi, alterazioni della funzione della tiroide, casi di infertilità femminile, casi di disfunzione del sistema immunitario nei bambini, aumento della pressione arteriosa e dell’omocisteina (una sostanza che favorisce l’aterosclerosi e le trombosi). È stata inoltra evidenziata una riduzione del numero e della qualità degli spermatozoi negli uomini adulti, soprattutto in quelli che erano stati esposti ad elevati livelli di PFOA durante la loro permanenza nell'utero materno nei nove mesi di vita prenatale.
Il dato più preoccupante emerso da questi studi è che il rischio di contrarre una o più patologie nella vita adulta è maggiore negli uomini e nelle donne che durante il loro periodo di vita intrauterina sono stati esposti ad elevati livelli di PFAA presenti nel sangue della loro madre. E’ come se questi adulti fossero nati già programmati, predestinati a contrarre in seguito, anche a distanza di decenni dalla nascita, una o più delle tante malattie causate dai distruttori endocrini.

L’avvocato che è diventato il peggior incubo di DuPont
Rob Bilott era stato un avvocato che aveva difeso le aziende per otto anni.
Poi ha indossato i panni dell’ambientalista, sconvolgendo la sua carriera e svelando una storia pluridecennale di inquinamento chimico.

di Nathaniel Rich
Era solo da pochi mesi che Rob Billot era arrivato allo studio Taft Stettinius e Hollister, quando ricevette una chiamata da una fattoria.
L’allevatore, Wilbur Tennant di Parkersburg, W.Va., raccontava che le sue mucche stavano morendo ad una ad una. Credeva che la compagnia chimica DuPont, che da poco lavorava in un terreno a Parkersburg, 35 volte più grande del Pentagono, fosse responsabile. Tennant aveva cercato aiuto in quella zona, disse, ma la DuPont possedeva l’intera città. Era stato respinto non solo dagli avvocati di Parkersburg, ma anche dai politici, giornalisti, dottori e veterinari del posto. L’allevatore era arrabbiato e parlava con un forte accento degli Appalachi. Billot si sforzava di dare un senso a tutto ciò che gli stava dicendo.
Molto probabilmente gli avrebbe chiuso il telefono in faccia se Tennant non avesse fatto il nome della nonna di Billot, Alma Holland White.
La signora White aveva vissuto a Vienna, nella periferia a nord di Parkersburg, e in estate da bambino, Billot spesso la andava a visitare. Nel 1973 lei gli fece visitare la fattoria di bestiame appartenente ai vicini dei Tennant, i Grahams, con i quali la signora White era amica. Billot passava i weekend a cavalcare, a mungere e a guardare “Secretariat win the Triple Crown”. Aveva 7 anni. La visita alla fattoria dei Grahams era uno dei ricordi più felici della sua infanzia.
Nel 1998, quando i Grahams sentirono che Wilbur Tennant stava cercando un aiuto legale, ricordarono Billot, il nipote della signora White, che era cresciuto e diventato un avvocato ambientale.
Non avevano capito, comunque, che Billot non era il tipo giusto. Non rappresentava i querelanti o i cittadini privati. Come gli altri 200 avvocati della Taft, società fondata nel 1885 e legata storicamente alla famiglia del presidente William Howard Taft, Bilott lavorava quasi esclusivamente per grandi clienti aziendali.
La sua specialità era difendere le aziende chimiche. Bilott aveva lavorato diverse volte con gli avvocati della DuPont. Tuttavia, per fare un favore alla nonna, accettò di incontrare l’allevatore. “Mi sembrava la cosa giusta da fare”, dice oggi. “Sentivo come se ci fosse un legame con la gente di quel luogo”.
Fin dal primo incontro non c’era niente di scontato. Circa una settimana dopo la telefonata, Tennant insieme alla moglie andò fino alla sede centrale della Taft nel centro di Cincinnati. Trasportarono dalla reception fino al 18esimo piano scatole di cartone contenenti videocassette, fotografie.
Si sedettero su moderni divani sotto un ritratto ad olio di uno dei fondatori di Taft. Tennant, robusto, alto circa un metro e ottanta, con un paio di jeans, una maglietta di flanella scozzese e un cappello da baseball, non sembrava il tipico cliente della Taft. “Non si è certo presentato ai nostri uffici come un vice direttore di banca” afferma Thomas Terp, socio supervisore di Billot.
Terp si unì a Bilott per l’incontro. Wilbur Tennant spiegò che insieme ai suoi quattro fratelli si era occupato della fattoria di bovini da quando il padre li aveva abbandonati da bambini. A quel tempo avevano sette mucche. Negli anni continuarono ad acquistare terreni e bestiame, fino a raggiungere il numero di duecento mucche su più di 600 acri di terreno. La proprietà avrebbe potuto essere più grande se solo il fratello Jim e la rispettiva moglie Della, non avessero venduto 66 acri alla DuPont all'inizio degli anni ’80. La compagnia voleva utilizzare la zona come discarica per i rifiuti della fabbrica vicino a Parkersburg, chiamata Washington Works, dove Jim era stato assunto come lavoratore. Jim e Della non volevano vendere, ma a causa di problemi di salute di Jim, a cui i dottori non riuscivano a trovare una diagnosi, furono costretti a cambiare idea.
Jim Tennant
Dupont ribattezzò la zona Dry Run Landfill, come il ruscello che scorreva dove i Tennants facevano pascolare le loro vacche. Non molto tempo dopo la vendita, Wilbur disse a Bilott che il bestiame cominciava a comportarsi in modo strano. I Tennants consideravano le loro mucche come animali domestici.
Wilbur fornì alcune videocassette: il filmato era sgranato e rovinato con alcune interferenze. Le immagini scomparivano e si ripetevano, il suono accelerava e diminuiva, mentre la qualità era come quella di un film horror. Nella scena iniziale la telecamera offriva una panoramica lungo il ruscello. Venivano riprese anche le foreste circostanti, i frassini che perdono le foglie e lo scrosciare delle acque del ruscello, prima di soffermarsi su quello che sembra essere un cumulo di neve. La telecamera ingrandisce e si capisce che è un accumulo di schiuma.
“Ho trovato due cervi e due bovini morti” affermò Tennant.
“Usciva sangue dal naso e dalla bocca…stanno provando a coprire questa cosa. Ma non ci riusciranno, perché farò emergere la verità, così che le persone possano vedere con i propri occhi.”
Il video mostrava un largo condotto nel ruscello, dal quale fuoriusciva acqua color verde che forma delle bolle in superficie. “Questo è ciò che si aspettano che il bestiame beva”, disse Wilbur “ è proprio ora che qualcuno del dipartimento di Stato tiri fuori gli attributi”
Ad un certo punto il video mostrava una vacca rossa che stava perdendo pelo con la schiena. Un risultato supponeva Wilbur di un malfunzionamento dei reni. Poi il primo piano di un vitello morto, disteso sulla neve, con occhi brillanti.
“Ho perso centocinquantatré di questi animali in questa fattoria”, disse Wilbur dopo il video.“Tutti i veterinari che ho chiamato a Parkersburg, non mi hanno richiamato o non volevano essere coinvolti. Siccome non vogliono essere coinvolti, dovrò analizzare la cosa per conto mio...”
Il video mostra la testa di un vitello divisa in due. Un primo piano mostra i denti anneriti, (dovuti all'alta concentrazione di fluoruro nell'acqua che bevono), il fegato, il cuore, lo stomaco, i reni e la bile dell’animale. Ogni organo è stato sezionato e Wilbur descriveva il loro colore e consistenza insolita. “Non ho mai visto niente di simile prima” disse.
Bilott guardò il video e le fotografie per diverse ore. Vide mucche con la coda spelacchiata, zoccoli deformati, pelle lesionata, occhi incavati e rossi, vacche che soffrivano diarrea, che rigettavano una bava dalla consistenza simile a quella del dentifricio, e che barcollavano, come ubriache, a causa delle gambe storte. Tennant si soffermò sugli occhi della mucca. “Questa mucca ha sofferto molto” disse.
“Tutto questo non è certo un buon segno” disse Bilott tra sé e sé. “Sta succedendo qualcosa di grave”.
Bilott decise subito di occuparsi del caso di Tennant.
“Era la cosa giusta da fare”. Bilott avrebbe potuto avere l’aspetto di un abile avvocato aziendale – pacato, carnagione chiara, e abbigliamento adeguato – ma questo impiego non gli veniva naturale. Non aveva il tipico curriculum della Taft. Lui non aveva frequentato il college e la scuola di legge a Ivy League. Suo padre era un lungo tenente colonnello dell’aereonautica militare. Bilott aveva passato gran parte della sua infanzia a trasferirsi nelle vari basi aeree, frequentato otto scuole prima di laurearsi nella scuola di Fairborn, vicino alla base militare Wright-Patterson di Ohio. Da ragazzo aveva ricevuto una lettera di assunzione da parte di una piccola scuola di arti liberali in Sarasota chiamata New College della Florida, che permetteva agli studenti di progettare il loro curriculum. Molti dei suoi amici erano idealisti, progressisti con ideologie contrastanti a quelle di Reagan. Discuteva con i professori e aveva imparato a valorizzare il pensiero critico. “Ho imparato a mettere in discussione tutto quello che si legge e ha non prendere niente per quello che sembra. Non importa che cosa dice la gente. Mi piaceva quella filosofia.”
Bilott si laurea in Scienze politiche, sperava di diventare manager della città.
Ma suo padre, che in tarda età si era iscritto a Legge, incoraggiò Bilott a seguire la sua strada. Sorprendendo i professori, scelse di frequentare Giurisprudenza nello stato dell’Ohio, dove vi era il suo corso preferito, ossia diritto dell’ambiente.
“Sembrava potesse avere un impatto reale nel mondo, era qualcosa che avrebbe potuto fare la differenza”.
Quando, dopo la laurea, la Taft gli fece un’offerta, i suoi mentori e i suoi amici del New College inorridirono. Non capivano come avrebbe potuto far parte di una società di quel tipo. Bilott non la vedeva in quel modo. Non aveva realmente pensato all'etica.
“La mia famiglia disse che una grande società era il luogo dove avrei avuto maggiori opportunità, ho semplicemente provato a ottenere il miglior lavoro che potessi permettermi. Non avevo la benché minima idea di ciò che avrebbe comportato”.
Presso la Taft, chiese di essere inserito nella squadra ambientale di Thomas Terp. Dieci anni prima, il Congresso aveva fatto passare la legge conosciuta come Superfund, che finanziava lo smaltimento di scorie e rifiuti pericolosi. Superfund era uno sviluppo redditizio per società come la Taft. Creava un intero micro settore interno al diritto dell’ambiente, che richiedeva una conoscenza approfondita delle nuove normative, in modo da guidare le negoziazioni tra le agenzie comunali ed numerosi enti privati. Il gruppo di Terp alla Taft era un leader del settore.
Come socio, a Bilott fu chiesto di determinare quali compagnie contribuivano alla dispersione di tossine e scarti pericolosi, in che quantità e in quali aree. Raccolse le deposizioni dei dipendenti degli impianti, lesse accuratamente i documenti pubblici e riorganizzò i dati storici.Divenne un esperto del quadro regolatore dell’organizzazione sulla protezione dell’ambiente e delle varie leggi ambientali riguardanti l’acqua potabile, l’aria incontaminata e il controllo delle sostanze tossiche. Si specializzò sulla chimica delle sostanze inquinanti, nonostante la chimica non fosse mai stata il suo punto forte.
“Ho imparato come lavorano queste aziende, come funzionano le leggi, come difendere questi diritti”, disse. Divenne il perfetto insider.
Bilott era fiero del lavoro che conduceva. L’incarico principale che gli era stato affidato, era quello di aiutare i clienti ad attenersi alle nuove norme. Molti dei suoi clienti, inclusi Thiokol e Bee Chemical, disperdevano rifiuti pericolosi da prima che la pratica diventasse così strettamente controllata.
Un collega della squadra ambientale della Taft, lo presentò ad un’amica d’infanzia, Sarah Barrage, anche lei avvocato. Lavorava presso un’altra società del centro di Cincinnati, nella quale difendeva le imprese contro le richieste di risarcimento dei lavoratori. Bilott invitò i due amici per pranzo. Fin da subito Sarah pensò che Bilott non fosse come gli altri ragazzi. “Io sono abbastanza chiacchierona. Lui è più tranquillo. Ci completiamo a vicenda.”
Si sposarono nel 1996. Il primo dei loro tre figli nacque due anni dopo. Il lavoro alla Taft era così tranquillo che la moglie abbandonò il lavoro per crescere i figli a tempo pieno. Terp, il suo supervisore lo ricorda come “uno straordinario avvocato: incredibilmente brillante, energico, tenace e molto, molto scrupoloso.” Era un modello per gli avvocati della Taft”. Poi arrivò Wilbur Tennant.
Il caso Tennant mise la Taft in una posizione scomoda. Lo studio legale lavorava per rappresentare le industrie chimiche non per farle causa.
“L’idea di far causa alla Dupont ci costrinse a prendere una pausa” dice Terp, ”ma in realtà non fu così difficile prendere tale decisione. Sono fermamente convinto che il nostro lavoro dalla parte del querelante ci renda degli avvocati difensori migliori.”
Bilott chiese aiuto per il caso Tennant ad un avvocato del West-Virginia chiamato Larry Winter. Per molti anni Winter fu partner presso la Spilman,Thomas &C; Battle, una delle ditte che rappresentava la DuPont nel West- Virginia. Era sorpreso che Bilott citasse in giudizio la DuPont mentre rimaneva alla Taft.
Bilott, dal canto suo è riluttante a discutere le motivazioni che l’hanno portato ad assumere il caso. Dice d’aver elaborato la sua scelta come un’occasione “di fare la differenza” nel mondo, dopo i dubbi che gli erano venuti sul percorso che stava prendendo la sua carriera.
“C’era una ragione se ero interessato ad aiutare i Tennant” dice dopo una pausa “era una grande opportunità quella di usare la mia formazione per persone che ne avevano bisogno.”
Bilott presentò la causa federale contro la DuPont nell'estate del 1999 nel distretto del Sud-West della Virginia. 
In risposta, l’avvocato della DuPont, Bernard Reilly, lo informò che la DuPont e l’E.P.A avrebbero condotto uno studio sulla proprietà, seguito da tre veterinari scelti dalla DuPont e tre scelti dall’E.P.A.
Il report si concluse affermando che la DuPont non era colpevole dei problemi di salute del bestiame. Il responsabile, invece, era l’allevamento: “scarsa nutrizione, inadeguate cure veterinarie, mancanza di funzionalità”. In altre parole i Tennant non sapevano come far crescere il proprio bestiame. Se le mucche stavano morendo, era solo colpa loro.
Fattoria Tennant
La decisione non andava certo bene per i Tennant, i quali iniziarono a subirne le conseguenze. Si inimicarono gli impiegati di Parkersburg. Chi lavorava alla DuPont, anche se prima erano loro amici, adesso li ignoravano, uscivano dai ristoranti quando loro entravano. “Non sono autorizzato a parlare con te” dicevano, quando si incrociavano. Per quattro volte i Tennant cambiarono chiesa.
Wilbur chiamò l’ufficio vicino ogni giorno, ma Bilott aveva poco da dirgli. Stava facendo per i Tennant ciò che avrebbe fatto per qualsiasi altro cliente aziendale – ritirare permessi, studiare gli atti del territorio e richiedere alla DuPont tutta la documentazione relativa alla discarica “Dry Run” ma non poteva trovare alcuna prova che spiegasse che cosa stesse succedendo al bestiame. “Eravamo frustati” dicee Bilott ”non potevo biasimare i Tennant per essersi arrabbiati”.
Con il processo imminente, Bilott si imbatté in una lettera che la DuPont aveva mandato all’E.P.A, nella quale menzionava la presenza di una sostanza nella discarica con un nome criptato: PFOA. 
In tutti i suoi anni di lavoro con le industrie chimiche, Bilott non aveva mai sentito parlare del PFOA. Non appariva in nessuna lista di materiali regolamentati, né si poteva trovare nella libreria della Taft. L’esperto chimico assunto per il caso, riprese un articolo di una rivista riguardante un simile composto: PFOS, un agente-detergente usato dalla tecnologia conglomerata 3M nella fabbricazione di protezione spray. Bilott cercò attraverso i suoi file altri riferimenti al PFOA, che scoprì essere una sintesi di acido perfluoroottanoico. Ma non trovò nulla. Allora chiese alla DuPont di mostrare tutta la documentazione riguardante la sostanza. La DuPont si rifiutò.
Nell'autunno del 2000, Bilott richiese un’ingiunzione per forzarli.
L’ordine fu concesso nonostante le proteste della DuPont.
Iniziarono ad arrivare dozzine di scatole contenenti migliaia di documenti al quartier generale della Taft: corrispondenze private interne, resoconti medici e sanitari oltre che studi segreti condotti dagli specialisti della DuPont. 
C’erano più di 110.000 pagine in tutto, di cui alcune risalenti a cinquant'anni prima. Bilott trascorse i mesi successivi sul pavimento del suo ufficio, revisionando i documenti e ordinandoli cronologicamente.
Si fermava unicamente per rispondere al telefono.
“Ho cominciato a ricostruire la cronologia degli eventi” dice Bilott.
“Avrei davvero potuto essere il primo a imbattermi in tutto questo. Diventò evidente ciò che stava venendo a galla: sapevano già da molto tempo che quella sostanza era dannosa".
Bilott non poteva credere alla portata di materiale incriminante che la DuPont gli aveva spedito. La compagnia sembrava non aver realizzato ciò che gli era stato consegnato. “Non riuscivo a credere a ciò che stavo leggendo” dice “È davvero stato messo per iscritto. E’ il genere di situazione di cui si sente sempre parlare, ma non si immagina mai che possa accadere veramente.”
La storia comincia nel 1951, quando la DuPont iniziò ad acquistare PFOA (che la compagnia descrisse come C8) da 3M per utilizzarlo nella fabbricazione di Teflon. 
3M aveva inventato il PFOA soltanto 4 anni prima; veniva utilizzato per fabbricare rivestimenti come il Teflon. Nonostante il PFOA non fosse classificato dal governo come una sostanza pericolosa, 3M inviò alcune raccomandazioni alla DuPont su come disporre di esso.
Le istruzioni della stessa DuPont specificavano che il PFOA non poteva essere scaricato sulla superficie delle acque o nelle fogne. 
Ma nei decenni che seguirono, la DuPont scaricò tonnellate di polveri di PFOA attraverso le bocche di scarico delle tubazioni di Parkersburg, nel fiume Ohio. 
La compagnia sversò 7.100 tonnellate di PFOA liquido negli “stagni digestivi”: pozzi aperti di proprietà della Washington Works, da cui le sostanze chimiche filtravano direttamente nel terreno. La PFOA entrò direttamente nella falda acquifera locale, che forniva acqua potabile alle comunità di Parkersburg, Vienna, Little Hocking e Lubeck – più di 100.000 persone in tutto.
Bilott apprese dai documenti che la 3M e la DuPont avevano condotto studi medici segreti sul PFOA per più di quarant'anni. 
Nel 1961, i ricercatori della DuPont avevano scoperto che le sostanze chimiche potevano aumentare le dimensioni dei fegati nei ratti e nei conigli. Un anno dopo riconfermarono i medesimi risultati negli studi con i cani. La struttura chimica peculiare del PFOA lo rende misteriosamente resistente alla decomposizione. Esso si lega anche alle proteine plasmatiche nel sangue, circolando così attraverso ogni organo del corpo.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!