giovedì 16 aprile 2009

I retroscena della caccia ai pirati somali

Gli aspetti meno noti della guerra navale nel Golfo di Aden
Una nuova ondata di sequestri di navi e petroliere, circa trecento marinai nelle mani dei pirati, gli inseguimenti da parte di una cinquantina di imbarcazioni militari provenienti da Europa, Asia, Africa e Nord America, le prime cinque vittime, quattro pirati e un ostaggio, dopo la controffensive delle unità da guerra francesi e statunitensi. La campagna internazionale contro la pirateria che imperversa nelle acque del Golfo di Aden ha subito una drammatica escalation.
La USNS Lewis and Clark I Navy Seals e la ’Guantanamo galleggiante’. L’evento più emblematico, seguito in diretta da centinaia di milioni di telespettatori, è avvenuto la domenica di Pasqua, quando i tiratori scelti dei Navy Seals , il corpo d’élite della marina Usa imbarcati sulla fregata lanciamissili ’Bainbridge’, hanno ucciso tre pirati che navigavano a bordo di una scialuppa a largo delle coste somale. Nell’imbarcazione era tenuto prigioniero il capitano Richard Philipps, sequestrato dopo il fallito arrembaggio alla nave cargo ’Maersk-Alabama’. Un quarto sequestratore è stato fatto prigioniero dai marines e condotto sull’unità navale Usns Lewis and Clark, trasformata in vero e proprio carcere galleggiante per la detenzione ’provvisoria’ delle persone sospettate di atti di pirateria. I militari Usa decideranno nei prossimi giorni se deportare il prigioniero in Kenya, paese con cui è stato sottoscritto un accordo che ricorda le ’extraordinary renditions’ post 11 settembre, o se processarlo invece direttamente negli Stati Uniti.
Il cargo Usa MaerskUn cargo ’di riguardo’. Lo show può iniziare. Il sanguinoso blitz dei Navy Seals era un atto dovuto: la compagnia di navigazione statunitense Maersk Line Ltd. è infatti una delle più strenue sostenitrici di Africom, il nuovo comando istituito dalle forze armate Usa per le operazioni di guerra nel continente africano. Il 27 novembre 2007, questa società privata aveva organizzato un convegno dal titolo ’Africom: anticipare le richieste logistiche’, invitando come relatore Dan Pike, direttore del team per gli affari africani del Dipartimento della Difesa Usa. La liberazione del capitano Richard Philipps è stata anche l’occasione perché il Pentagono portasse a termine la trattativa con la rete televisiva Spike Tv (legata a Mtv di Viacom), che si è aggiudicata l’esclusiva delle operazioni anti-pirateria della marina statunitense nel Golfo di Aden. Sarà così realizzato un vero e proprio reality show che si chiamerà ’Pirate Hunters: USN’ (Cacciatori di pirati: la Us Navy") e che sarà seguito da due troupe che opereranno a bordo della nave anfibia San Antonio e della portaelicotteri lanciamissili Uss Boxer, nave ammiraglia della Combined Task Force 151 che presidia le acque del Corno d’Africa.
Verso una vera e propria guerra. Con l’acutizzarsi della crociata anti-pirateria, l’ammiraglio Mike Mullen che guida la flotta Usa anti-pirati, ha preannunciato che le forze armate rivedranno "globalmente e profondamente" le loro strategie operative. In discussione c’è l’ipotesi di estendere le azioni armate direttamente in territorio somalo, forti dell’autorizzazione deliberata recentemente dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Gli esperti del Pentagono e della Nato suggeriscono poi l’uso di forze aeronavali ’miste’, composte da portaelicotteri, fregate, unità più piccole e veloci per l’inseguimento delle imbarcazioni dei pirati, più un ampio dispositivo di forze aree, elicotteri e velivoli senza pilota. Verrebbe auspicato inoltre l’intervento diretto dei contractor privati nella prevenzione degli assalti e l’ampliamento delle ’difese passive e attive’ delle navi cargo e delle petroliere, grazie all’installazione di armi ’non letali’ come cannoni ad acqua, fili elettrici e apparecchiature laser ed acustiche che generano rumori dolorosi a lungo raggio.
L’Italia in campo con una fregata e i Consubin. Dallo scorso 6 aprile le acque del Corno d’Africa sono perlustrate dalla fregata italiana ’Maestrale’ con un equipaggio di 220 marinai, più gli incursori-subacquei del Comsubin e due elicotteri lanciamissili Ab-212. Nei piani originari del ministero della Difesa, la ’Maestrale’ avrebbe dovuto operare nell’ambito dell’operazione navale dell’Unione europea ’Atalanta’, sotto il comando dell’ammiraglio britannico Philip Jones. Dopo il sequestro del rimorchiatore italiano ’Buccaneer’ con 16 membri di equipaggio, è stato però deciso che la fregata resterà sotto comando nazionale, mantenendo così massima autonomia d’azione nel caso in cui si decida un blitz per liberare gli ostaggi. Pare infatti che il comando della flotta europea volesse dislocare la ’Maestrale’ all’imbocco del Golfo di Aden, allontanandola dal porto somalo di Lasqorei, nella regione autonoma del Puntland, dove la ’Buccaneer’ è stata ormeggiata dai pirati. Sembra comunque che sia in corso una trattativa per il rilascio degli ostaggi della nave italiana in cambio di un riscatto.
L’ombra dei rifiuti tossici sulla ’Buccaneer’. Yusuf Bari Bari, ambasciatore della Somalia a Ginevra, ha dichiarato alla Bbc che "la gente del Puntland teme che le chiatte rimorchiate dalla Buccaneer trasportino rifiuti tossici". Ipotesi fermamente smentita da Silvio Bartolotti, manager della ditta di Micoperi di Ravenna, proprietaria del rimorchiatore sequestrato dai pirati.
Scritto per PeaceReporter da Antonio Mazzeo

TURCHIA: ARRESTI DI MASSA E REPRESSIONE DOPO LA VITTORIA ELETTORALE DEL DTP (Partito della Società Democratica) NEL KURDISTAN TURCO.

Continua la repressione turca in Kurdistan! Il 14 aprile la polizia ha avviato simultaneamente in 13 province del sud est della Turchia una massiccia operazione contro il DTP (Partito della Società democratica). Nell’ambito di una vasta operazione di polizia, ancora in corso e per la quale non si riesce a prevedere la conclusione, più di 70 esponenti, dirigenti e attivisti, compresi i tre vice-presidenti del DTP sono in stato di detenzione. Anche un canale televisivo, Gun TV, e la sede dell’Unione delle Municipalità del sud-est sono stati bersaglio della polizia e perquisite. L’operazione, condotta dalle forze di sicurezza turche contro il DTP all’indomani della sua clamorosa vittoria elettorale affermandosi come primo partito nelle 10 province del sud-est della Turchia, rappresenta un duro colpo alle aspirazioni di pace e di democrazia della popolazione kurda e non solo. Come ha sottolineato Il parlamentare del DTP Selahattin Demirtas “…gli arresti sono una reazione al successo del DTP alle elezioni locali, ed è chiaro che non è una coincidenza che l’operazione arrivi a cosi breve distanza dal voto”. Gli arresti e le intimidazioni contro gli esponenti del DTP e di molti attivisti seguono di pochi giorni l’uccisione di due giovani studenti ad Amara (Omerli) nel corso di una pacifica manifestazione per il presidente Ocalan, e la feroce repressione, ancora in atto, ad Agri, teatro di brogli elettorali a discapito del DTP, come testimoniato anche dai numerosi osservatori internazionali presenti in Kurdistan, lo scorso mese di marzo - compresi quelli appartenenti alla delegazione italiana promossa dalla Rete di solidarietà con il popolo kurdo.

Azadya te azadya me ye - La tua libertà è la nostra libertà - è lo slogan del popolo kurdo gridato nei Newroz e durante le manifestazioni pacifiche di cui siamo stati testimoni.

Il simbolo della lotta e dell’unità kurda, Abdullah Ocalan, è rinchiuso nel carcere di Imrali – la Guantanamo europea – in uno stato di totale isolamento dal febbraio del 1999 nell’indifferenza di tutti. Il popolo kurdo, che ne chiede la liberazione, cerca il dialogo e si batte in ogni luogo per una soluzione pacifica del conflitto, ma la Turchia continua a rispondere solo con l’uso di violenza e spietatezza. Solo due giorni fa, in segno di buona volontà e a favore della soluzione pacifica della questione kurda, con un comunicato circolato anche in Europa, il movimento kurdo ha dichiarato il prolungamento del cessate il fuoco unilaterale fino al 1 giugno 2009. Gli stessi esponenti politici del DTP all’indomani delle elezioni hanno fissato tra i punti da rivolgere al governo centrale di rivedere le leggi antiterrorismo e le procedure per la chiusura dei partiti, ma anche di riconoscere il PKK e il suo leader Ocalan come interlocutori legittimi per affrontare e risolvere la questione kurda. Nella sua dichiarazione ad Ankara il DTP ha sottolineato anche che “le elezioni amministrative (del 29 marzo scorso, ndr) hanno mostrato con forza che questa situazione non può essere risolta senza prendere in considerazione il DTP, il PKK e Ocalan” e che “adesso ci sono grosse aspettative per una soluzione del problema kurdo con politiche nuove”. Noi tutti europei, che conosciamo ed amiamo il popolo kurdo, speravamo che con i negoziati per l’entrata nell’Unione europea la Turchia attuasse le leggi per il rispetto dei diritti umani delle minoranze, ed abolisse il famigerato articolo 301 del Codice penale, che tiene in carcere migliaia di persone, violando ogni forma di libertà di espressione ed associazione vigente in Europa. A distanza di anni non è cambiato nulla! Il Governo italiano e l’UE continuano a dimostrare disinteresse per il popolo kurdo e per il leader Abdullah Ocalan, al quale l’Italia ha riconosciuto l’asilo politico nell’ottobre del 1999; continuano ad avallare la repressione turca con la vendita di armi e con il finanziamento di megadighe che porteranno solo distruzione e povertà in Kurdistan. Le incursioni militari continuano quotidiane così come le uccisioni e gli arresti anche di minori. Ne siamo stati testimoni quest’anno, come negli anni scorsi, durante le nostre visite alle organizzazioni politiche e associative kurde nel sud-est della Turchia, che si battono senza sosta per la democrazia e l’affermazione dello stato di diritto.La Rete italiana di solidarietà con il popolo kurdo si appella affinché:le Commissioni Esteri di Camera e Senato chiedano al Governo di riferire immediatamente sugli arresti che in Turchia hanno subito politici, avvocati e militanti del DTP; e la società civile italiana ed europea prenda posizione contro questo ennesimo attacco antidemocratico nei confronti del DTP, riconosciuto come suo rappresentante politico dal popolo kurdo, e a tutte le istituzione democratiche della Turchia.

Azadya te azadya me ye - La tua libertà è la nostra libertà

Questo è lo slogan che facciamo nostro, sosteniamo e rilanciamo! Esprimiamo solidarietà al popolo kurdo, sottolineando come la violazione sistematica dei diritti umani allontani la Turchia dall’Europa e chiediamo di ricercare una soluzione politica del conflitto sin da ora, per fermare la guerra strisciante che da più di vent’anni insanguina il destino dei popoli kurdo e turco. La pace e la democrazia in Medio Oriente rappresentano l’affermazione dei diritti universali per tutti!

Rete italiana di solidarietà con il popolo kurdo

mercoledì 15 aprile 2009

L’Italia ripudia la guerra, ma vende armi a go-go

Boom nel settore (+220%) nel 2008 autorizzate vendite per 4,3 mld - la Turchia il cliente migliore, ma non mancano Cina, Nigeria e anche nei Balcani…L'Italia ripudia la guerra, è scritto nella Costituzione. Eppure, di armi italiane, è pieno il mondo. L'Italia vende un po' a tutti. Paesi belligeranti compresi. Un comparto che non conosce crisi, flessioni. Nel 2008 il volume d'affari è cresciuto del 222% rispetto all'anno precedente, con le transazioni bancarie schizzate da 1.329.810.000 a 4.285.010.000. Scrive la Presidenza del Consiglio nel suo ultimo rapporto sulle esportazioni, importazioni e transito dei materiali d'armamento: «Tale comparto rappresenta un patrimonio tecnologico, produttivo e occupazionale non trascurabile per l'economia del Paese». L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, è anche scritto nella Costituzione. Il maggior acquirente di armi italiane è la Turchia, programmi intergovernativi eslcusi. Le imprese italiane hanno ottenuto dal governo 11 autorizzazioni a stringere affari con Ankara. Si tratta del 35,86% del totale, per un valore di 1092 milioni di euro (quattro volte il Regno Unito, al secondo posto con 254 milioni). Il primato della Turchia è dovuto all'acquisto di elicotteri da combattimento dell'Augusta che saranno utilizzati, secondo il ministro della Difesa turco, per «ricognizione tattica e attacco bellico». La Turchia non rientra nell'elenco dei Paesi per cui vige un embargo Onu o Ue. Non è considerato Paese in conflitto o dove si verificano gravi violazioni dei diritti umani. Eppure, per Amnesty International, non è così. A dicembre 2007 le forze armate turche hanno effettuato operazioni militari nell'Iraq settentrionale alla ricerca di basi del Pkk. Attentati a Smirne, nel distretto di Ulus ad Ankara e a Sirnak hanno provocato numerosi morti. Condanne e omicidi per chi parla di «Kurdistan» o «denigra l'identità turca». Una guerra a bassa intensità, che va avanti da anni. Esclusa dalla lista nera anche la Cina, a cui l'Italia ha venduto apparecchiature elettroniche per 147.000 euro. Le sentenze di morte emesse quell'anno da Pechino sono state 1860, di cui 470 eseguite. La repressione di tibetani, uiguri e mongoli non si è allentata. Fuori lista anche l'India che da 50 anni combatte con il Pakistan per il controllo del Kashmir. Passati sotto silenzio i 179 morti dell'attentato a Mumbai e i movimenti di decine di migliaia di uomini sul confine, Delhi risulta il miglior partner economico per l'industria armiera italiana tra i Paesi non Ue. Armi di grosso calibro, munizioni, bombe, missili, apparecchiature per la direzione del tiro, navi da guerra, aerei, apparecchiature elettroniche, software e tecnologia: in tutto sono state autorizzate esportazioni per quasi 173 milioni di euro. Ma se la guerra non c'è, perché non vendere armi anche al «rivale»? Il Pakistan ha così acquistato da noi apparecchiature per la direzione del tiro, veicoli terrestri, navi da guerra, aerei e apparecchiature elettroniche per 30 milioni.Anche Israele è «esente» da conflitti. Vendiamo così a Tel Aviv aerei, sistemi d'arma a energia diretta, software e tecnologia per 1,9 milioni. Fra i clienti non abbiamo Palestina, Iraq o Iran, ma la Siria compra da noi i suoi sistemi di puntamento per 2,8 milioni. Trovare nuovi clienti non sembra difficile. A febbraio 2008 una fiammata investe i Balcani. Il premier Hashim Thaci proclama l'indipendenza del Kosovo. Il Capo di Stato serbo Boris Tadic dichiara: «La Serbia non riconoscerà mai l'indipendenza del Kosovo». Quell'anno l'Italia vende al neonato Stato balcanico agenti tossici, chimici o biologici, gas lacrimogeni e materiali radioattivi. Alla Serbia apparecchiature elettroniche per quasi 7 milioni di euro. Altre zone calde dove sono presenti armi italiane sono la Nigeria (aerei e tecnologia, 60 milioni di euro), il Kenia delle violenze elettorali tra Pnu e Odm (navi da guerra e apparecchiature elettroniche, 21 milioni), il Messico dei 2500 morti all'anno delle organizzazioni criminali (armi leggere e armi pesanti, 10 milioni), il Vietnam (apparecchiature elettroniche, 108 mila euro). Un mercato che tira e non solo nelle aree del mondo a rischio. I programm i intergovernativi hanno registrato un incremento del 45% tra il 2007 e il 2008 passando da un valore di 1846 a 2689 milioni di euro. Il segmento copre ormai il 65% dell'intero comparto italiano ed è sempre più difficile da controllare. Quest'anno, dal rapporto, è sparito l'elenco delle banche attraverso cui passavano le transazioni finanziarie per la compravendita di armamenti.
di Raphaël Zanotti per "La Stampa"

Una pericolosa operazione contro il DTP!

Alle cinque di questa mattina la polizia ha avviato in 13 province una grossa operazione contro il nostro partito, il DTP. Più di 70 esponenti, dirigenti e attivisti, compresi i tre vice-presidenti del nostro partito sono in stato di detenzione. Anche un canale televisivo e la sede dell’Unione delle Municipalità del sud-est sono stati bersaglio della polizia. L’operazione è ancora in corso, e non sappiamo quando si concluderà.
Tutti concordano con noi che alle ultime elezioni del 29 marzo 2009 la nostra è stata una vittoria schiacciante. Nonostante le numerose violazioni, le pressioni e i brogli, abbiamo quasi raddoppiato il numero di amministrazioni locali (da 56 a 98), siamo stati il primo partito nelle 10 province del sud-est della Turchia. Avremmo potuto vincere molte più province se ci fossero state delle elezioni democratiche e giuste.
Dopo questi risultati molta gente in Turchia ha cominciato a discutere della questione kurda e a chiedere al governo di avviare un dialogo con il DTP per una soluzione pacifica. Quando il Sig. Obama ha visitato la Turchia, ha avuto un incontro con il leader del nostro partito il Sig. Hamet Turk, e ha detto che dovrebbe trovarsi una soluzione pacifica alla questione kurda in Turchia.
Dall’altra parte, abbiamo ascoltato dichiarazioni molto pericolose da parte di funzionari dello stato a seguito del nostro successo alle elezioni. Il Primo Ministro Sig. Erdogan ha detto che questi risultati dimostrano che le politiche basate sull’offerta di servizi ed opportunità economiche non hanno ottenuto successo, mentre le politiche basate sull’etnia hanno ottenuto voti! Il vice premier Cemil Cicek ha detto, in una delle sue dichiarazioni, “il DTP ha esteso il suo successo fino ai bordi dell’Anatolia, questa è una grande minaccia per l’unità nazionale. Lo stato deve valutare questo e dovrebbe prendere le precauzioni necessarie!” Il Capo di stato maggiore ha poi dichiarato che stanno valutando i risultati delle elezioni amministrative e i risultati del sud-est sono motivo di preoccupazione!
Guardando a queste dichiarazioni, possiamo facilmente dire che questa operazione è un’operazione di carattere politico, e rappresenta un colpo alla nostra lotta pacifica e democratica. Non sarà soltanto un colpo alla nostra lotta, ma alla democrazia, ai diritti umani e alla libertà di organizzazione in Turchia. Non servirà in nessuno modo all’adesione della Turchia all’Unione europea.
Facciamo appello all’opinione pubblica internazionale e nazionale di prendere una chiara posizione contro questo pericolo, questo attacco anti-democratico al nostro partito e alle istituzioni democratiche in Turchia.
Distinti saluti,
Fayik YAGIZAY Rappresentante europeo del DTP

Il Sudafrica a qualche giorno delle elezioni

Jacob Zuma sarà il nuovo presidente
Vittoria annunciata per Jacob Zuma alle prossime elezioni presidenziali che si terranno il 22 aprile. Il suo partito è accreditato al 64% delle preferenze. Un margine enorme nei confronti dei partiti di opposizione. Sono cadute da pochissimo, dopo otto lunghi anni di indagine, i sedici capi d’accusa che gravavano sulla testa dello stesso Jacob Zuma per corruzione, frode, racket e riciclaggio di denaro.Oltre alle accuse di corruzione, stralciate e riprese dalle autorità più volte negli ultimi anni, Zuma è uscito indenne anche da un processo per stupro, nel quale suscitò lo scandalo di mezzo mondo raccontando di essersi “fatto una doccia” per minimizzare il rischio di Aids dopo aver fatto sesso con una donna sieropositiva. In un paese che in cui la diffusione dell’aids raggiunge livelli preoccupanti le dichiarazioni del leader dell’African National Congress sono drammaticamente preoccupanti.I partiti di opposizione in questi mesi hanno più volte contestato lo stop al processo: dal Cope di Mosiuoa Lekota alla Democratic Alliance di Hellen Zille hanno infatti gridato allo scandalo, accusando l’Anc di aver fatto pressioni sulla National Prosecuting Authority per affossare il caso.
Abbiamo raggiunto Serena Corsi, collaboratrice del quotidiano Il Manifesto. [ audio ]
Vedi anche:Innocente. O no? di Marco Fagotto

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!