mercoledì 22 aprile 2009

Cifre della Banca Mondiale: ogni israeliano consuma acqua come quattro palestinesi

Si chiama sete l'ultima tortura per la Palestina


La distribuzione dell'acqua tra israeliani e palestinesi, decisa con gli accordi di Oslo II del 1995, deve essere modificata immediatamente se si vuole mettere fine ad una discriminazione che sta per provocare una catastrofe nei Territori occupati. A raccomandarlo con forza è la Banca mondiale che in un rapporto diffuso ieri riferisce che un israeliano ha a disposizione una quantità d'acqua quattro volte superiore a quella di un palestinese. L'accordo siglato dalle due parti ha messo in ginocchio i palestinesi, vittime di intese di 14 anni fa, frutto delle imposizioni della parte più forte, Israele, sulla debole Anp dello scomparso Arafat. E' la prima volta che la Banca mondiale produce un rapporto sulla distribuzione dell'acqua tra israeliani e palestinesi. Lo studio sottolinea che la divisione ineguale delle risorse idriche e la mancanza di informazioni precise sulle riserve di acqua, ha impedito ai palestinesi di poter accedere a nuove fonti. I palestinesi hanno diritto soltanto a un quinto delle riserve dell'acqua potabile. Il resto finisce nel sistema di distribuzione israeliano senza che il comitato congiunto incaricato dagli accordi di Oslo abbia la possibilità di riconsiderare l'assegnazione delle quote. In sostanza Tel Aviv si preoccupa di tenere la quantità d'acqua per la sua popolazione sugli standard stabiliti internazionalmente, senza preoccuparsi delle conseguenze per i palestinesi. E' da considerare anche il fatto che i rari nuovi pozzi che i palestinesi hanno potuto scavare nei 42 anni di occupazione, hanno garantito modeste quantità di acqua a differenza degli israeliani che, grazie alla loro tecnologia, possono arrivare a profondità maggiori. I problemi sono resi più acuti dall'inefficienza delle istituzioni dell'Anp. Israele ha respinto il rapporto sostenendo che il suo apparato industriale, ampiamente superiore a quello palestinese, richiede maggiore quantità d'acqua. Dopo l'occupazione di Cisgiordania e Gaza nel 1967, l'esercito israeliano trasferì il controllo delle risorse idriche palestinesi alla società Mekorot. Da allora i palestinesi hanno un controllo molto limitato delle proprie risorse idriche che, in buona parte, finiscono in Israele. Diversi villaggi della Cisgiordania inoltre non hanno acqua potabile per gran parte dell'anno e gli abitanti, paradossalmente, sono costretti in non pochi casi a comprarla dai coloni israeliani che occupano la loro terra.
Michele Giorgio

martedì 21 aprile 2009

Azione anti-nucleare a Scanzano Jonico

Scanzano Jonico rischia di ospitare il deposito delle scorie nucleari. Siamo andati sul sito dei pozzi aperti. In una notte li abbiamo cementati e trasformati in un parco giochi. Perché con il futuro dei nostri figli non si può giocare!
Questa notte circa quindici attivisti sono entrati nel sito, hanno ’chiuso’ i pozzi con tappi di cemento e hanno steso striscioni con i messaggi "Stop follia nucleare", "Niente scorie nucleari a Scanzano", "Non giochiamo con il futuro dei nostri figli".
La storia del sito per il deposito nucleare di Scanzano Jonico è lunga. Il sottosuolo dell’intera zona è caratterizzato dalla presenza di 15 miliardi di tonnellate di salgemma. Ma non è la miniera di sale a destare interesse quanto piuttosto il progetto di buttare a mare il salgemma e utilizzare le caverne come deposito.
Nel 2003 il governo indicò il sito di Scanzano come deposito nazionale per tutti i rifiuti radioattivi italiani. Dopo un mese, in seguito a una mobilitazione popolare senza precedenti, il governo decide di rimuovere il riferimento a Scanzano Jonico per le scorie e di affidare la decisione della scelta del deposito a una Commissione mai costituita. Insomma, la gestione delle scorie radioattive in Italia rimane un problema ancora irrisolto.
Oggi il governo – nella follia della riapertura del nucleare nel nostro paese - sta proponendo al Parlamento una strategia ‘sovietica’ basata su un approccio autoritario e ’militare’ alle scelte di localizzazione dei siti e gestione delle scorie, contraria alle direttive europee.
Con l’azione di oggi chiediamo che il sito di Scanzano Jonico venga ripristinato. I pozzi vanno chiusi al più presto e la Regione Basilicata deve annunciare pubblicamente che non è disponibile a subire nessun deposito nucleare sul proprio territorio.
Chiediamo che la gestione ‘militare’ del nucleare finisca e si apra una discussione democratica e partecipata sul futuro energetico del Paese. Dopo 60 anni di ricerca, tutti i problemi del nucleare rimangono ancora irrisolti: dalla gestione delle scorie alla sicurezza degli impianti, dalla limitatezza delle risorse di Uranio agli altissimi costi di costruzione.
Gli obiettivi europei per le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica al 2020 valgono il triplo del piano nucleare del governo e occuperebbero almeno 200 mila persone. 10-15 volte l’occupazione indotta dal nucleare.
Articolo pubblicato sul sito di Greenpeace

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!