mercoledì 8 luglio 2009

L'Aquila - Yes we camp!


Iniziativa nella zona del G8


Ore 8:30: cinque attivisti dei comitati aquilani hanno raggiunto il centro commerciale Aquilone da dove i giornalisti nazionali e stranieri prendono le navette per raggiungere il summit. Hanno installato lo striscione “YES WE CAMP but we don’t go away” presso la rotonda divenuta check point e distribuito ai giornalisti volantini con la piattaforma esplicativa Yes We camp riportata anche in questo sito.
Solo qualche problema iniziale con la polizia. In questo momento gli/le attivisti/e si trovano all’interno del centro commerciale a volantinare.
Ore 9:30: attivisti dei comitati iniziano a partire dal 3e32 direzione Roio. Con loro una tromba che emette note incoraggianti.
Ore 9:40: Una ventina di attivisti/e sono già arrivati nel campo presso la collina di Roio visibile dalla Caserma della guardia di Finanza, dall’autostrada e dal centro commerciale per dove passano tutti i giornalisti
ore 10:15: Sulla collina di Roio è stata completata la parola “Yes”. Gli/le attivist* sono una cinquantina. Ci sono anche molti giornalisti.

Yes, We Camp! è il grido di denuncia della gestione scellerata dell’emergenza post-sisma.
Per la prima volta nella storia recente dei terremoti dopo tre mesi la popolazione è ancora sotto le tende e ci dovrà stare, secondo i piani del Governo, ancora per molto.
Yes, We Camp! per smascherare le mancate promesse del presidente del consiglio. Dopo tante parole nessun fatto. I provvedimenti sono del tutto insufficienti, i soldi stanziati troppo pochi.
Yes, We Camp! per urlare tutti fuori dalle tende, ora! Si requisiscano le case sfitte o invendute, si installino container, roulotte, casette di legno.
Yes, We Camp! per affermare che tutti gli aquilani debbono tornare all’Aquila. Non si pensi a settembre di sistemare un solo abitante fuori dal proprio comune, in alberghi della regione. Ci opporremo a questa deportazione con ogni mezzo necessario.
Yes, We Camp! per constatare che si sono persi inutilmente tre mesi: nessuna opera di ricostruzione, solo lavori per il G8.
Yes, We Camp! per denunciare il processo di devastazione ambientale e sociale del nostro territorio perpetrato mediante la localizzazione del piano C.A.S.E. Non vogliamo una grande new town diffusa!
Yes, We Camp! per informare tutto il mondo del processo di militarizzazione e confisca degli elementari diritti costituzionali nei campi: di informazione, di riunione, di espressione.
Yes, We Camp! vuol dire 100% ricostruzione, trasparenza, partecipazione. Non accettiamo decisioni prese dall’alto che non hanno a cuore al bene del territorio ma vanno a beneficio delle solite clientele e speculazioni.
Yes, We Camp! è la nostra ironia per dire a tutti che siamo vivi e determinati a difendere e far rinascere la nostra Terra.
La targa all’ingresso del Castello dell’Aquila è ancora intatta.
La apposero i dominatori spagnoli nel cinquecento e recita:
“ad reprimendam audaciam aquilanorum"

Yes, we camp! It’s the cry to denounce the crazy conduct of the after earthquake emergency.
For the first time in the recent history of earthquakes, after three months, people are still living under tents and they will have to stay there for a long time, according to the Government’s plans.
Yes, we camp! To denounce the empty promise of the Prime Minister. After so many words, no facts. The measures are completely unsatisfactory, the money is very little.
Yes, we camp! To cry: everyone out of the tents, now! Vacant or unsold houses must be requisitioned. Containers, roulettes, wooden houses must be installed
Yes, we camp! To state that all the citizens must come back to L’Aquila. Don’t think to house just one inhabitant out of the municipal district in September! We’ll oppose this deportation with all our strength.
Yes, we camp! To observe that three months have been wasted: no reconstruction, only works for the G8.
Yes, we camp! To denounce the process of environmental and social devastation of our territory by the location of the C.A.S.E. plan. We don’t want a big, wide new town.
Yes, we camp! To inform all the world of the process of militarization, of the denial of the basic constitutional rights in the camps: information, assembly, speaking.
Yes, we camp! It means 100% reconstruction, transparency, participation. We don’t accept decisions from the top that don’t consider the good of the territory, but favour opportunism and
the usual hangers-on.
Yes we camp! It’s our ironic way to tell everybody that we are alive and determined to defend and help our territory to return to life.
The plate at the entrance of the fortress of L’Aquila is still intact, in the 16th century the Spanish rulers put it there. It says:“ to repress the boldness of the inhabitants of Aquila”.


Tratto da:
Coordinamento 3 e 32

lunedì 6 luglio 2009

Honduras - colpo di stato: 8° giorno...testimonianza e video


2 manifestanti uccisi, forse quattro

Salve, oggi Tegucigalpa ha assistito a qualcosa di storico, triste, frustrante e ingiusto. Un corteo mai visto in città, si parla di circa 400.000 persone, anziani, bambini, giovani che stanno lottando insieme per la democrazia, che, pur non avendo accesso alle informazioni, si sono organizzati dal basso per far valere i propri diritti. Coprifuochi senza garanzie costituzionali, la città militarizzata, i bambini reclutati quasi a forza dall'esercito, i lavoratori e le lavoratrici dipendenti delle fabbriche e di imprese private costretti a concentrarsi sulle piazze per sostenere il governo golpista, la repressione militare, questi alcuni dei mille motivi che hanno costretto migliaia di Honduregni e honduregne oggi a scendere in piazza ad aspettare il legittimo presidente del paese Mel Zelaya. La manifestazione più pacifica che ho vissuto, il cui scopo era quello di ribadire la necessità di democrazia, di diritti umani, si è conclusa nelle scene del video che si può vedere dal link qui sotto, uccidendo due persone, forse quattro, con gli spari dei soldati su persone inermi che esercitano un loro diritto. L'aeroporto, completamente militarizzata, ha impedito l’arrivo dell'aereo del legittimo presidente del paese Mel Zelaya con il presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite D'Escoto, il presidente del Nicaragua Daniel Ortega, tra l’altro riempiendo la pista di atterraggio di camion militari. La dimostrazione si è conclusa intorno alle 5,30 ora che le autorità hanno informato i media che il coprifuoco è stato anticipato a 6,30, ben sapendo che molte persone non avrebbero potuto sapere e che non avrebbero in alcun modo potuto essere a casa sua per tempo, il che significa che centinaia di persone sono stati arrestate senza motivo. Il secondo tentativo diplomatico di risolvere le cose nel paese è fallito, quante persone innocenti devono morire prima che la comunità internazionale ottenga risultati? questo è un governo golpista, tipico dell'era del fascismo, che ogni giorno agisce con completa irrazionalità e follia. http://www.facebook.com/ext/share.php?sid=126050071054&h=Pq7I9&u=8pun7&ref=nf

E la lotta continua domani, si prepara uno sciopero generale.
Vi racconterò ...
Francesca

giovedì 2 luglio 2009

Migliaia di bandiere al Dal Molin: yes, we can!



Evitiamo i giri di parole e le metafore che nascondono il significato vero delle frasi dietro alla loro interpretazione: sabato pomeriggio, con la manifestazione dell’indipendenza vicentina, vogliamo entrare al Dal Molin.
Sia chiaro: non perché ci piaccia l’idea di superare cancelli e recinzioni: avremmo preferito festeggiare la democrazia in piazza, con la musica e i balli, le nostre bandiere al vento e tante grasse risate. Ma, finora, democrazia non c’è stata e noi dobbiamo rinviare la festa che – ne può star certo il commissario Costa che avrebbe voluto vedere sradicato alla radice il dissenso locale - prima o poi organizzeremo.
Entrare al Dal Molin significa restituire la dignità calpestata alla città del Palladio; ma, anche, ristabilire con determinazione la differenza tra la condizione di cittadini – quali noi vogliamo essere – e sudditi del governo di turno. Perché quel che è in gioco a Vicenza, ancor prima della falda acquifera e del territorio, è la possibilità reale di noi donne e uomini di poter incidere sul futuro dei nostri borghi, dei nostri quartieri, delle nostre città.
É sufficiente dare uno sguardo ai 36 mesi di mobilitazione trascorsi per rendersene conto; una città che ha espresso la contrarietà con mille forme e tanti colori è stata svilita, calpestata, umiliata. Inascoltata quando è scesa in piazza; insultata quando ha chiesto di potersi esprimere, attraverso una consultazione popolare, ed è stata posta di fronte a un divieto; sbeffeggiata quando ha rivendicato il diritto di conoscere e le è stata negata anche la Valutazione d’Impatto Ambientale.
Petizioni, manifestazioni che hanno visto la partecipazione di una moltitudine di donne e uomini, studi, azioni simboliche, ricorsi giudiziari: tutto ciò è stato ignorato, ostacolato, criminalizzato da chi ha deciso a tavolino che a Vicenza si deve fare una nuova base militare. La democrazia è stata trasformata da pratica partecipativa ad atto burocratico, dove basta il timbro di un governo compiacente per rendere lecita la costruzione di una base di guerra in un territorio fragile e dall’equilibrio delicato.
Dunque, voler entrare al Dal Molin vuol dire alzare la testa; significa affermare che una pratica di governo che si fonda sull’imposizione e sull’esclusione non ha cittadinanza nella nostra comunità e ristabilire un diritto che, per tornare indietro di alcuni secoli, riconosceva già Spinoza laddove scriveva che, di fronte a una legge ingiusta, è legittimo che il popolo si ribelli al sovrano.
Sabato proveremo a entrare all’interno dell’area che gli statunitensi vorrebbero trasformare in base di guerra per piantare migliaia di bandiere NoDalMolin; lo faremo, come sempre, con le pratiche e le forme che hanno caratterizzato la mobilitazione vicentina: trasversalità, pluralità, creatività. Ma, anche, con tanta determinazione, consapevoli che praticare quest’obiettivo rappresenta la volontà di ristabilire democrazia laddove c’è soltanto imposizione.
Quel che è certo è che nel lungo corteo che si snoderà da via M.T. Di Calcutta ci sarà spazio per tutte e tutti: perché quel che più conta, al di là delle pratiche di ognuno, è condividere un percorso che fonda la nostra indipendenza dalle servitù militari. È il coraggio di esserci ancora una volta, anche se loro ci vorrebbero chiusi nelle nostre case, impassibili e passivi a quanto accade sotto le nostre finestre.
Siamo tanti piccoli sognatori e sabato torniamo in strada: indipendenza, dignità partecipazione. La terra si ribella alle basi di guerra.

Honduras - Estamos en la calles


L'approvazione delle misure restrittive non ferma la protesta


Mentre Roberto Micheletti, presidente del "gobierno de facto", continua a sostenere che " non c'é stato un golpe", il Congresso ha approvato un decreto che restringe le garanzie istituzionali come il diritto a manifestare.
Intanto l'Organizzazione degli Stati Americani ha dato 72 ore di tempo per ridare la carica a Zelaya. L'ultimatum scade sabato.
La strategia nel paese è quella di creare una "paura collettiva" per frenare la protesta accompagnata, come denunciano le organizzazioni dei diritti umani dall'arruolamento forzato di giovani delle campagne nell'esercito.
Dal sito del C.I.G.A vi proponiamo un' intervista a Berta Caceres del COPINIH realizzata nella mattinata di giovedi 2 luglio.

Honduras - Donne contro il "Gobierno de facto"




Il popolo non si ferma e il mondo è al suo fianco

Ancora una giornata di scontri e proteste in Honduras: i manifestanti non si fermano nonostante le decine di arresti e il presidente legittimo Manuel Zelaya dichiara: "Giovedì farò ritorno a Tegucigalpa da presidente quale sono". Nella notte sono state lanciate delle granate contro l'edificio della Corte suprema, che però sono rimaste inesplose fino all'arrivo della polizia che le ha fatte esplodere intenzonalmente lontano dall'edificio.
Ieri a Roma si è tenuta una manifestazione di solidarietà davanti all'ambasciata honduregna, così come in molte altre città del mondo.
Berta Caceres, corrispondente di COPINH : "Nonostante la repressione brutale di ieri, il popolo Honduregno è intenzionato a continuare a lottare, e ne sono la prova le varie azioni e mobilitazioni in tutto il territorio nazionale."


BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!