martedì 15 dicembre 2009

Police Warming


Dopo gli accadimenti di questa notte a Cop.enaghen, è ormai chiaro: dobbiamo affrontare con serietà il problema del “Police Warming” che rischia di peggiorare la vita di tutti, non solo di coloro i quali, in questi giorni danesi, hanno conosciuto gabbie e manette.

Il Police Warming infatti, ha come caratteristica peculiare quella di essere confuso per qualcos'altro. Alcuni si concentrano sulla “dinamica” oggettiva dei fatti, chi ha fatto cosa, alcuni altri su ciò che manca, la “risposta”, l'organizzazione. Ma in realtà oggi noi dobbiamo guardare alla sostanza del problema: il Police Warming, che si caratterizza con vergognosi arresti di massa indiscriminati, trasformati poi in provocazioni mirate contro gli attivisti che parlano in pubblico, che tengono i contatti con legali e ambasciate, che partecipano come delegati delle proprie reti alle riunioni internazionali, è una tendenza pericolosissima che dal cuore dell'Europa ex socialdemocratica, rischia di avvelenare l'intero continente. Il police warming si sviluppa intanto come reazione: dove vi sono concentrazioni di dissenso, di disobbedienza, di non passività accondiscendente verso le istituzioni e i loro tribunati ufficialmente accreditati, allora, come retrovirus, il PW attacca. Ieri sera l'assemblea con Naomi Klein e Michael Hardt era stata partecipatissima. Un grande momento di dibattito per preparare la giornata di domani, il “disobedience day”.

La differenza tra il mercoledì 16 dicembre, a ridosso ormai della conclusione dei negoziati all'interno della conferenza onu sul clima, e gli altri giorni di mobilitazione, è palpabile. La differenza la fa il numero di realtà che sono coinvolte, che mano a mano si sono convinte in questi giorni della necessità di dare un segnale appunto di disobbedienza, di forte e attivo dissenso nei confronti dei “manovratori”, siano essi quelli storicamente affermati, le grandi potenze occidentali, o quelli che oggi, anche in questo contesto, si confermano come i candidati in ascesa nel borsino (capitalistico) dei leader del mondo: la Cina, l'India, il Brasile, i petrolieri di stato dell'America Latina, con buona pace dei veri “poveri”, africani o asiatici che siano. Non è quindi né un caso né una fatalità che ieri sera sia scattata l'ennesima operazione di rastrellamento. Mercoledì 16 è la giornata in cui la disobbedienza prende forma: si districa finalmente da tutte le sovrastrutture contenitive che l'hanno imbrigliata fino ad ora, rendendola affare di pochi e per pochi, e assume le caratteristiche che potenzialmente può avere. Quelle del linguaggio e della pratica multiforme della moltitudine, che nell'affermarsi determina anche la propria “indipendenza”.

Dall'Onu, dagli stati, dai governi, dalle diplomazie corrotte, dagli interessi delle multinazionali nere o verdi, dai presidenti bravi a parlare e da quelli arroganti, antipatici ed idioti. La disobbedienza quindi non imbroglia le carte promettendo di farli fuori tutti. Essa si costituisce come esodo, con la stessa forza con la quale ha saputo dieci anni fa, interpretare un mondo diverso da oggi che celebrava i fasti del neoliberismo e del mercato globale. Per questo il PW, che è uno strumento sempre al servizio del potere costituito che non può, materialmente, concedere l'indipendenza a nessuno, pena la dissoluzione del suo ruolo, si scatena a più non posso, cercando di passare da patologia ( l'eccesso di zelo del controllo sociale democratico ) a pandemia ( la democrazia dell'obbedienza ). Il potere in effetti che cosa è se non la trama infinita dei modi violenti o gentili di trattenere il comando sulla nostra vita?

La disobbedienza si esprime anche denunciando e svelando che cosa c'è dietro il Police Warming, quale è la sua causa, e questo diventa già una prima immunizzazione, produce anticorpi in grado di affrontare il venefico retrovirus che si muove con blindati e soldati. Nessuno deve rimanere solo quando è attaccato. Nessuno deve subire processi farsa senza difesa, senza testimoni che lo aiutino, che rivelino la caratteristica menzognera dei verbali di polizia.

L'elemento della gestione pubblica di ciò che accade è un atto di disobbedienza, perché mette in crisi i modelli precostituiti di gestione di stato già incardinati da tempo come preparazione alla negazione del dissenso. E dalla nostra abbiamo un elemento importante, che si aggiunge a quello oggettivo dello stato del pianeta: la disobbedienza ha carattere di efficacia e di diffusione rapida. Agisce come un anticorpo e si propaga. E' per questo che è tanto temuta.

Luca deve tornare libero, come noi tutti. Combattere il Police Warming è possibile e soprattutto, è il modo per rendere più naturale la nostra vita.

di Luca Casarini

COP.enhagen


Uno dei momenti indubbiamente più interessanti delle nostre giornate a COP15, è la nostra assemblea. Senza voler fare esercizio di autocelebrazione, ma come di un dato di fatto relativo al resto, ad altro che sta da altre parti, quelle straorganizzate e sponsorizzate del KlimaForum, come quelle tendenti al trash dei luoghi “radicali”.

Duecento attivisti, la stragrande maggioranza dei quali molto giovani, che provengono da tante realtà di lotta territoriale, metropolitana, urbana, dell’università, delle scuole medie superiori, che affrontano questo caos con la giusta leggerezza di chi sa di non poter essere risolutivo di tutti i problemi, grandi e piccoli, ma anche con la determinazione a guardare le cose per ciò che sono. E a fare di tutto perché possano cambiare. Mi sono chiesto in questi giorni che cosa avvertono questi compagni di tutto ciò che sta accadendo. C’è una bella differenza per me che ho vissuto Seattle, tra quei giorni americani e questi in Danimarca. Diciamo pure dal giorno alla notte. Sono un poco preoccupato in effetti per questi ventenni: a loro non tocca la fortuna, ad esempio, di trovare insieme ad una moltitudine come quella che disobbediva nella “no demostration area” nella downtown della città della Microsoft e della Boeing, un nemico ben definito, chiaro, e assolutamente in calo di popolarità e legittimità come il WTO.

Qui il primo grande nodo, che colpevolmente tutti coloro che hanno organizzato tutte le iniziative, dentro, fuori, in mezzo, grandi piccole, autistiche o spettacolari, hanno occultato: chi è il nemico? “The Sistem” rispondono radicali e moderati, ma è come dire giovanni o toni o mario. E’ come dire niente. Qualcuno dei nostri in qualche riunione l’ha anche chiesto ad un infervorato oratore che cos’era “The Sistem”. L’America di Obama, le corporations della green economy o la Cina, che qui alla Conferenza ufficiale è divenuta addirittura portavoce dei paesi poveri (!!!). La risposta è che the sistem è tutto. Nemmeno i fratelli Wachowski in Matrix si sono spinti in tanta banalità. La crisi globale che scuote le fondamenta del capitalismo, le implicazioni che essa, nel suo divenire e triturare mosse e contromosse di Stati Governi e Borse, è come fosse un dettaglio. Si passa dall’ineluttabilità della vittoria finale del Popolo, alla scontata possibilità di chi comanda di fare da sé.

In mezzo a tutto questo vi sono loro, i miei compagni e le altre decine di migliaia di persone che hanno marciato sabato per ore. La grande organizzazione del corteo infatti, non si è tradotta in una parata di blocchi sindacali o partitici, e addirittura la testa si scioglieva immediatamente in mille rivoli, gruppi, individui che davano un senso vero di partecipazione, trasformando a colpo d’occhio l’eterogeneità in una potenziale forza comune. Quello era forse il momento giusto, la composizione giusta per investire, anche in termini di disobbedienza, la conferenza ufficiale. Quello era il momento di interrompere i lavori, di far uscire i delegati che giustamente gridano indignati dei maneggi che stanno avvenendo sulla pelle loro e di altri milioni di persone.

Ma anche qui, la separatezza tra la testimonianza e la pratica politica di vita, è stata sapientemente cercata: da chi gestiva palchi e interventi programmati a chi, in coda, si è reso facile strumento di provocazioni da stato di polizia che rischia addirittura di trasformarsi in una cosa ridicola tanto è esagerata. Oggi ci siamo incontrati con alcuni compagni di napoli mentre giravamo con le biciclette che sono il nostro ottimo mezzo di trasporto con cui ci muoviamo da una parte all’altra. Un presidio di Via Campesina si era trasformato da piccolo gruppo di persone ferme con bandiere e comizio, in un corteo spontaneo, con la gente che si univa felice di avere una scusa per andare in mezzo a strade ed incroci, alla faccia degli ordini della “politi”. “E’ bello, le guardie stanno in panico, non sanno che fare” dicevano. Altri di noi erano andati al porto, per l’iniziativa annunciata di blocco delle attività. Trecento persone, di cui duecento stranieri, tutti circondati ancor prima di poter muovere un passo e arrestati. E poi rilasciati. Al KlimaForum è pieno di gente, sempre.

Duemila, tremila persone che ruotano intorno alla sala orange, blue, grey, red in un centro congressi che in mezzo ha pure un hotel e una piscina. Bovè, Vandana Shiva, il rappresentante dei Navaho, le ong dell’america latina. Ognuno si presenta, ognuno dice più o meno le stesse cose, giuste, ma anche altre assolutamente prive di grandi significati. E altre ancora che meriterebbero una discussione, minimo. Tipo la grande celebrazione dei governi “rivoluzionari e socialisti” dell’America Latina. E con il Venezuela di Chavez, che si regge sul Petrolio, e quindi sulla speranza di aumento delle emissioni di CO2 nel mondo, come la mettiamo? E con i biocombustibili brasiliani per cui si deforesta l’Amazzonia? Dettagli. Come lo sono gli indici di crescita capitalistica dell’India, che fanno impallidire i più feroci capitalisti occidentali, ma non sono oggetto di discussione nemmeno per Vandana Shiva, che è impegnata nella presentazione di un’iniziativa sponsorizzata dalla regione toscana e dall’Emilia Romagna. Quando ci ritroviamo la sera, in assemblea, ci si scambia le impressioni. Si confrontano valutazioni e opinioni. Arrivano anche quelli di noi che seguono le riunioni del CJA preparatorie delle manifestazioni quotidiane. “Quanti saremo domani nessuno lo sa. E sulle modalità non si è parlato”. Certo, le provocazioni poliziesche stanno facendo aprire un po’ gli occhi anche agli strateghi più affinati. “Oggi hanno iniziato l’assemblea dicendo: se c’è un poliziotto qui dentro lo preghiamo di andarsene”.

Fiducia nella onestà delle forze dell’ordine. Abbiamo la nostra assemblea, mangiamo insieme, stiamo attenti a quello che accade ad ognuno di noi. Cerchiamo di disobbedire anche al caos, al fatalismo e alla coglioneria. Come una comunità nomade quando si accampa in un territorio abitato da altri, che non conosce. “bisogna avere una casa per andare in giro per il mondo” – dicono gli Assalti. Noi anche qui ce la siamo costruita. Ma non li invidio i ventenni: il compito per tutti, ma soprattutto per loro, è cercare di dare un senso alla necessità di cambiare il mondo. Ma farlo dove radicalità, passione, intelligenza collettiva, indipendenza, moltitudine, sono tutte cose ancora separate e lontane l’una dall’altra, è veramente difficile. Anche se hai la bici.

Luca Casarini

Norreport Station, 13 dicembre notte, cop.enhagen

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!