Dopo la straordinaria due giorni di Marghera, potremmo lasciarci cullare dalla soddisfazione collettiva che ha invaso i luoghi del meeting, e che ha accompagnato ognuno nel viaggio di ritorno verso casa. Non è mica una cosa da niente, di questi tempi, poter essere soddisfatti di una scommessa politica e culturale che per noi si chiama “uniticontrolacrisi”.
Ma indugiare troppo su “quanto è stato bello” non ci è concesso: sarebbe come premere il tasto della pausa e trasformare un film appena iniziato in una fotografia: bellissima, ma ferma. Sia chiaro, non foss’altro per tutti quelli che si sono dannati per far riuscire tutto al meglio, la prima cosa è essere contenti, felici, di come è andata. Il numero delle persone che sono state “attratte”, e non cooptate o obbligate, a partecipare, è un fatto importante. La qualità di questa presenza, espressa non solo attraverso quasi duecento interventi, ma anche e soprattutto in un modo di stare insieme fondato più sulla pazienza che sulle pretese, animato dalla disponibilità e non sul pregiudizio, ha creato il “clima”. E’ opera di tutti quello che è potuto succedere: di un modo di pensarla, prima, questa occasione di incontro, e di come di essa ci si è collettivamente appropriati poi. Se la “pratica del comune” è innanzitutto “esemplarità” e non linea o modello, va da sé che Marghera segna una tappa di riferimento fondamentale.