martedì 18 settembre 2012

Desinformémonos del lunedì


Reportajes México
GLORIA MUÑOZ RAMÍREZ
FOTOGRAFÍA: PROMETEO LUCERO

FRANCISCO LÓPEZ BÁRCENAS, EDGAR MENDOZA Y JAIME GARCÍA
EDGAR MENDOZA GARCÍA
JAIME GARCÍA LEYVA

MARCELA SALAS CASSANI

ENTREVISTA DE ADAZAHIRA CHÁVEZ

Reportajes Internacional
AUGUSTO ALCALDE

ALEXANDRE BEAUDOIN DUQUETTE

LAURA CARLSEN

COMPPA

LOLA SEPÚLVEDA

AMIG@S DE MUMIA DE MÉXICO

HOWARD RYAN
TRADUCCIÓN: PAULINA SANTIBÁÑEZ


Los Nadies
TESTIMONIO RECOGIDO POR SERGIO ADRIÁN CASTRO BIBRIESCA EN LA CIUDAD DE MÉXICO

Imagina en Resistencia
SERGIO CASTRO BIBRIESCA 

Fotoreportaje
FOTOS: COORDINADORA DE LA OTRA DE CHALCO
TEXTO: DESINFORMÉMONOS
MÚSICA: TO CUIC LIBRE COW “GRITO PROGRESO”
PRODUCCIÓN: DESINFORMÉMONOS

Video
SAMIRA MAKHMALBAF

Audio
COMPPA

giovedì 13 settembre 2012

Libia - Ombre sull'attacco di Bengasi


di Luca Salerno
Una fonte anonima dell'intelligence USA ha definito l'attacco "troppo cordinato e professionale per essere spontaneo". Funzionari americani ed europei ha dichiarato che mentre molti dettagli circa l'attacco sono tutt'ora poco chiari, gli assalitori sembravano organizzati, ben addestrati e pesantemente armati, e sembravano avere almeno un certo livello di pianificazione anticipata. I funzionari hanno detto che vi erano indicazioni che i membri di una fazione militante che si fa chiamare Ansar al Sharia - Sostenitori della Legge Islamica - sono state coinvolti nell'organizzazione l'attacco al Consolato degli Stati Uniti. "È raro che un RPG7 (un'arma portatile anticarro, ndr) sia presente in una protesta pacifica" hanno affermato fonti ufficiali americani. Ma i funzionari ritengono che sia troppo presto per dire se l'attacco fosse collegato all'anniversario dell'attacco alle Twin Towers, anche se questa ricostruzione sembra non convincere gli esperti.

martedì 11 settembre 2012

Medio Oriente - Lavoro e sfruttamento nel Golfo


I lavoratori stranieri costituiscono nel Golfo la maggioranza della popolazione. Nelle terre dei petrodollari i loro diritti negati li portano, a volte, alla morte. 

di Giorgia Grifoni

A morire di lavoro in Medio Oriente, soprattutto nei paesi del Golfo, si fa presto. Sono storie già sentite e raccontate: narrano di colf filippine picchiate per aver chiesto la debita paga, di cameriere etiopi suicide per le troppe umiliazioni subite, di collaboratrici domestiche immediatamente espatriate perché sospettate di essere uomini. Ma la vicenda accaduta la scorsa primavera a Doha, capitale del Qatar, è una novità: un'agenzia di collocamento ha pubblicato un annuncio in cui si richiedeva una colf di origine qatariota, come riporta Globalist, e si è scatenato il finimondo. Accuse di oltraggio, di attentato alla dignità della persona, appelli di professori, editorialisti e persino di una candidata alle elezioni politiche perché venga avviata un'inchiesta sull'accaduto. L'annuncio, spiegano, va contro i valori e le tradizioni del Qatar. "Se mai una donna dovesse rispondere all'inserzione - ha dichiarato Abdul Aziz al-Mulla, professore nel piccolo emirato - dovremmo indagare sulle ragioni che l'hanno spinta a farlo e darle tutto il supporto finanziario di cui ha bisogno".

Cittadini di serie A.
Che nella penisola arabica, come in altre parti del Medio Oriente, ci fossero cittadini di serie a e di serie b non era un mistero. A quella spicciolata di nativi degli Emirati Arabi, del Qatar, del Bahrain e dell'Arabia Saudita spettano condizioni di vita a dir poco principesche. Dalla scoperta del petrolio e del gas nella prima metà del secolo scorso, queste distese di sabbia si sono trasformate in moderni paradisi capitalisti: non a caso, secondo la rivista Forbes, in testa c'è il piccolo Qatar, che con il suo Pil pro capite di 88.000 dollari è il paese più ricco del mondo. Al sesto posto, con 47.500 dollari, troviamo gli Emirati Arabi Uniti, mentre il Kuwait si ferma al dodicesimo gradino.

Il Golfo e la crisi.
Una situazione che non risente della crisi economica che ha colpito il mondo occidentale, anzi: secondo le stime di Les Cahiers, trimestrale d'informazione di Fashion Marketing, nel 2011 il Pil del Qatar è cresciuto del 20%, quello dell'Arabia Saudita del 7,5%, in Kuwait del 5,3% e negli Emirati del 3,3%. Un successo dovuto essenzialmente all'iniziativa privata, veicolo della famiglia reale e figlia di una classe media che cinquant'anni fa, tra tribù e sceicchi, ancora non esisteva. Parte del merito va anche ai mercati internazionali, che hanno visto enormi quantità di finanziamenti provenire dagli emirati del Golfo. Con le rivoluzioni arabe alle porte e - in alcuni Paesi - anche in casa, l'iniziativa privata sembra destinata a ridimensionarsi, almeno in primo momento, per favorire l'impiego pubblico e placare qualsiasi forma covata di malcontento. Così, nei paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo verranno creati due milioni di posti di lavoro nel settore pubblico, che vanno ad aggiungersi ai circa 7 milioni creati tra il 2000 e il 2010.

Honduras - Le città private


Nel tempo in cui la crisi sembra giustificare ogni forzatura, si arriva adirittura ad andare oltre le privatizzazioni ed ha immaginare la nascita di città private.
E' il progetto di cui si sta parlando in uno dei paesi più poveri dell'America centrale: l'Honduras. Quella che viene definita la "prima metropoli modello" dovrebbe sorgere grazie all'accordo tra il governo honduregno e la Mkg, una società immobiliare nordamericana.
Di fronte all'accordo un gruppo di giuristi hanno chiesto che la Corte suprema bocci il progetto. Il pronunciamento è atteso a giorni.
La città avrà proprie leggi, una propria polizia ed una propria giustizia. Come al solito la promessa è quella di nuovi posti di lavoro e cioè 5000 posti diretti e 15.000 indiretti per la costruzione.
Chi ha proposto il ricorso alla Corte suprema punta a mettere sotto accusa la legge quadro costituzionale che è servita da riferimento per questa operazione che va oltre la privatizzazione di una parte di territorio e mette in discussione il controllo statale su materie che dovrebbero essere di sua competenza.
A favore del progetto, che dopo la costruzione della prima città-private, ne prevede altre due, sono anche i coreani che hanno già reso noto di voler investire nel progetto.

Egitto - La Rivoluzione è viva.

Intervista al collettivo hip hop alessandrino Revolution Records

L'autore dell'intervista è Lorenzo Fe autore di "In ogni strada. Voci di rivoluzione dal Cairo."
L'Egitto post-rivoluzionario è stretto nel braccio di ferro tra il Consiglio Supremo delle Forze Armate (Scaf) e il movimento islamista moderato dei Fratelli Musulmani (Fm), che è riuscito a ritagliarsi sostanziali spazi di autonomia all'interno dello stato. Tramite questo conflittuale matrimonio di convenienza, l'Egitto sembra aver evitato l'Algeria, ovvero una sanguinosa guerra civile tra militari e islamisti, per avviarsi verso la Turchia, cioè un regime semi-democratico con forti tratti autoritari in cui la destra conservatrice scende a compromessi con il potere extra-elettorale delle gerarchie militari.
Il vero sconfitto della transizione è la gioventù rivoluzionaria, in particolare le sue componenti liberali o di sinistra, represse dall'intesa tra esercito e islamisti configuratasi nei mesi immediatamente successivi alle dimissioni di Mubarak. Non resta che chiedersi come, dati gli attuali rapporti di forza, la gioventù rivoluzionaria possa mantenere ed espandere gli spazi di libertà finora conquistati. Ne parliamo con Revolution Records, il collettivo di produttori e MC hip hop raccolti attorno all'omonima etichetta, esponenti di spicco del rap politico egiziano, noti soprattutto per il loro singolo Kazeboon [Bugiardi], in cui denunciano le stragi di stato perpetrate dall'esercito ai danni del movimento rivoluzionario. Hanno partecipato all'intervista Ahmed Rock, TeMraz, Czar e Rooney.
Domanda: Come vi siete avvicinati alla cultura hip hop?
Revolution Records: Eravamo semplicemente dei ragazzi appassionati di musica, all'inizio ascoltavamo pop arabo, non c'era altro a portata d'orecchio. Ma non sopportavamo che l'unico tema fossero le storie d'amore, così ci avvicinammo alla musica straniera, e arrivammo all'hip hop. Era un genere sconosciuto in Egitto, ma parlava delle lotte della vita vera, ci innamorammo del suo realismo.
D: Come nasce Revolution Records?
RR: Nel 2001 Ahmed Rock e TeMraz si incontrarono alle superiori e cominciarono a rappare. Registrarono il primo pezzo solo nel 2005 e da lì nacque l'idea di formare un collettivo di MC e produttori ribelli nell'anima. L'etichetta esordì ufficialmente nel 2006, tutto autoprodotto. Parlavamo già di politica, ma dopo la rivoluzione la libertà d'espressione è aumentata significativamente e noi abbiamo potuto urlare più forte. Ora i nostri pezzi sono in TV e siamo in grado di fare arrivare il nostro messaggio a testate locali e internazionali.

D: Come esprimevate la vostra opposizione al regime prima della rivolta del 25 Gennaio 2011?
RR: Cercavamo di motivare la gente, e di diffondere un pensiero e uno stile di vita rivoluzionari. Come molti altri egiziani, consideravamo inaccettabile il regime di Mubarak. Dovevamo alzare la testa contro l'oppressione e le canzoni erano il nostro canale per farlo, per esempio Waqt Al Thawrageya [Il tempo dei ribelli] e Mamnu' men El taghyeer [Proibito cambiare]. Ma non era facile fare delle critiche esplicite e dirette, saremmo stati arrestati.

D: Cosa avete fatto tra il 25 Gennaio e il giorno delle dimissioni di Mubarak?
RR: Siamo stati nelle piazze e nelle strade dal primo giorno della rivoluzione, come tutta la gioventù in lotta del paese. Sentimmo che il tempo delle canzoni era finito, era ora di passare ai fatti.

D: Come giudicate la condotta di Scaf e Fm dopo le dimissioni di Mubarak?
RR: Lo Scaf ovviamente ha tentato di uccidere la rivoluzione e di proteggere i simboli del vecchio regime fin dall'inizio. Dopo Mubarak, i vari gruppi politici, e gli egiziani in generale, hanno cominciato a dividersi sulla direzione da prendere e ci sono state varie campagne diffamatorie intestine. Questo ha contribuito alla vittoria degli islamisti alle parlamentari e alle presidenziali. Gli islamisti hanno tradito la vera anima della rivoluzione, portando avanti una politica del compromesso estremo. Hanno indebolito la volontà di lottare della gente e la loro vittoria è stata una profonda ferita allo spirito della rivoluzione.

D: Il ballottaggio delle presidenziali ha visto Morsy, candidato Fm, contro Shafik, di fatto l'uomo dei militari. Ne è risultato un forte dibattito interno alla gioventù rivoluzionaria per decidere se sostenere il male minore dei Fm o opporsi indiscriminatamente a islamisti tanto quanto a esercito. Quali sono le vostre posizioni?
RR: La questione era inevitabile e decisiva, e ha creato innumerevoli divisioni interne. Gli uni sostenevano il boicottaggio delle elezioni come l'unico modo per continuare la rivoluzione, perché essendo state organizzate e influenzate dall'esercito ne sancivano la posizione dominante e perché i Fm si erano dimostrati una forza contro-rivoluzionaria. Gli altri erano a favore dell'appoggio a Morsy, perché i Fm si erano comunque schierati dalla parte dei ribelli prima delle dimissioni di Mubarak e perché la vittoria di un candidato del vecchio regime sarebbe stata la fine più rovinosa per la rivoluzione. Nemmeno noi abbiamo potuto mantenere una posizione unitaria, alcuni della RR hanno boicottato, altri hanno votato.

D: Come può la gioventù rivoluzionaria continuare la lotta per i diritti nel modo più efficace?
RR: Che piaccia o no a Scaf, Fm e rimasugli del vecchio regime, la rivoluzione è viva. Tutti coloro che si sono trovati faccia a faccia con la morte o che hanno perso dei cari non abbandoneranno mai il loro diritto alla libertà. Probabilmente la strategia migliore sarebbe quella di raccogliersi attorno a un partito o una coalizione rivoluzionaria in grado di opporsi ai partiti che cercano solo il potere per se stessi. Unità è la parola chiave per recuperare lo spirito e gli obiettivi della rivoluzione.

D: In che modo la vostra musica si inserisce in queste lotte?
RR: Manterremo viva la coscienza dei nostri diritti e la memoria della rivoluzione, dei martiri e di tutte le ingiustizie. Il nostro unico scopo è questo: la rivoluzione deve continuare finché tutti i suoi obiettivi saranno stati raggiunti.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!