lunedì 5 novembre 2012

Desinformémonos del lunedì


Reportajes

Entrevista de Marcela Salas Cassani
Manuel Fuentes Muñiz
Jaime Quintana Guerrero
Desinformémonos
Isaac Sánchez y Mónica Montalvo Méndez
Elvira Madrid Romero de la Brigada Callejera de Apoyo a la Mujer “Elisa Martínez”
Carlos M. Álvarez
Foto: Alejandro Ramírez Anderson
Atenecalling.
Traducción: Daniele Fini
Frente Nacional por la Defensa de los Derechos Económicos y Sociales
ELCOR

Imagina en Resistencia

Katerina Girich

Fotoreportaje

Fotos: Recopilación de páginas de movimientos
Música: "No morirá la flor de la palabra", Subcomandante Marcos
Texto: Desinformémonos
Producción: Desinformémonos

Audio


Realización: Sergio Adrián Castro Bibriesca

martedì 30 ottobre 2012

Siria - Soffiano venti di guerra

Qui, in Siria, la Primavera araba ha perso, più che mai, l’alone sociale e romantico del riscatto sociale, di lotta per le libertà, ed è stata trasfigurata in guerra per il potere interno e sull’intero quadrante medio orientale.

Le elezioni negli USA e il conflitto sociale in Europa possono essere discriminanti.

Le elezioni negli USA e il conflitto sociale in Europa possono essere discriminanti.
La Siria, già da un anno, compare quotidianamente nei notiziari con un elenco di vittime, civili e militari, con distruzioni a catena, in questa o quella città. Le informazioni sulla carneficina che ci giungono sono viziate dalla propaganda delle parti in conflitto: oltre 25.000 vittime e 100.000 profughi in Turchia, Libano e Giordania secondo i ribelli; 7.000 morti e 20.000 sfollati a detta dei governativi. Aldilà dell’aspetto quantitativo sconcertante, in Siria è in corso una guerra civile su cui tutti gli Stati di peso glissano e tengono un profilo basso, all’ONU e nelle sedi istituzionali deputate gli schieramenti politici internazionali sono formali e altalenanti; in Siria gli Stati chiave dell’area medio orientale si sfidano per interposte fazioni di combattenti, dove, non è difficile immaginare, sono all’opera i top gun  dei servizi di intelligence di mezzo mondo.
Per districarci nel ginepraio siriano, dobbiamo, quantomeno, fare una carrellata su quanto è avvenuto nell’area mediterranea e medio orientale, in questi ultimi tempi. La Primavera Araba ha determinato un ricambio nella gestione delle Istituzioni dall’Egitto al Marocco, in alcuni Stati in maniera significativa e sostanziale [Libia], altrove superficialmente [Tunisia], in altri solo di facciata [Marocco]. Questo a livello istituzionale, nella gestione del potere economico-politico, se si esclude – per alcuni versi – la Libia, tutto è rimasto nelle mani delle lobby locali e internazionali consolidate. Un cambiamento, profondo invece, è  avvenuto a livello sociale, in particolare negli strati urbani, acculturati, giovanili, femminili della popolazione, dove l’aspetto insurrezionale, di piazza, comunicativo - con o senza social network -, del vogliamo tutto e subito, ha connotato i comportamenti politici dei moti in tutto il bacino mediterraneo e non solo. Una mutazione sociale antropologica, nel dna di quelle popolazioni urbane, che non ha avuto – per ora – sbocco, ne politico ne istituzionale ma che cova sotto la cenere e il sale che i vincitori stanno spargendo su quelle società, che è capace di riemergere quando il Potere prova – spudoratamente - a mettere il burka alle conquiste sociali [diritti civili] date per acquisite.
Quello che è mancato alle giovani generazioni ribelli arabe, non è tanto diverso da quello che si fa sentire anche nei movimenti occidentali, è un orizzonte ideale chiaro e condiviso. Una spinta alla rivolta che non ha uno skyline definito, a cui tendere, a cui ispirarsi, se non la sperimentazione, qui e ora, di una modello di vita, spesso, ha la durata effimera di una rivolta, è destinata ad afflosciarsi su se stessa.
Di fronte a questo buco nero e disperato ecco che riemergono tutti i dogmatismi, che, in quanto tali, per definizione, non abbisognano di concretezza quotidiana e sociale: la grande presa del fondamentalismo coranico nei paesi della Primavera araba trova qui la sua ripartenza, così come le varie sfaccettature religiose, mistiche o settarie, la trovano in Occidente.
In Siria la Primavera araba ha fatto capolino in ritardo e si ha la netta impressione che vi sia stata importata e/o sospinta da forze, da orientamenti esterni che hanno fatto leva su quelle latenti problematiche etnico-religiose, sempre controllate o soffocate, dal potere familistico, tribale, religioso degli Assad. A chi dava e da fastidio un solido e stabile Regime bahatista [di ispirazione socialista e panarabo, simile a quello realizzato nell’IRAQ di Saddam] siriano, che esercita, da sempre una sorta di protettorato sul Libano e, di conseguenza, anche una forte influenza nelle vicende palestinesi? Certamente ad Israele, agli Emirati Arabi, ma anche alla Turchia per una questione di acque e di Kurdi: dietro a questi attori di prima linea, ritroviamo tutto lo schieramento occidentale, implicato più o meno intensamente. A sostegno del Regime degli Assad apertamente si sono schierati l’IRAN, la Russia e, in maniera un po’ defilata, la stessa Cina. Nella geopolitica internazionale, tanto più in Medio Oriente, ciascuno fa il suo sporco gioco di interessi palesi e nascosti, diretti o incrociati, senza badare a spese e, soprattutto, incurante del numero delle vittime civili [sicuramente oltre 20 mila] e militari. Qui, in Siria, la Primavera araba ha perso, più che mai, l’alone sociale e romantico del riscatto sociale, di lotta per le libertà, ed è stata trasfigurata in guerra per il potere interno e sull’intero quadrante medio orientale.
Lo possiamo  evincere da episodi riportati marginalmente dalle cronache: un drone iraniano intercettato ed abbattuto, forniture militari russe bloccate, responsabili dei servizi di sicurezza siriani e libanesi saltati per aria, attentati ed uccisioni nei quartieri wahabiti, cristiani e drusi nelle città siriane e, ora, anche in Libano, cannoneggiamenti oltre confine in Libano e, ripetutamente, in Turchia: sono tutti episodi - quest’ultimo di gran lunga quello più significativo - che ci segnalano la possibilità, dietro l’angolo, di una internazionalizzazione del conflitto siriano, nato come appendice della Primavera Araba.
Erdogan, infatti, subitamente, ha fatto votare, dal suo Parlamento, il via libera per una risposta anche offensiva agli sconfinamenti e ai bombardamenti dell’esercito siriano, ma soprattutto ha invocato l’art. 4 dello Statuto della NATO, di cui la Turchia è parte integrante, quale bastione orientale nei confronti della Russia e dei nemici asiatici; articolo 4 che implica una solidarietà attiva per tutti gli Stati membri dell’Alleanza Atlantica, a cui è connesso il 5, che obbliga gli Alleati, in solido, alla partecipazione diretta alla difesa/offesa del Paese soggetto ad un attacco[quello usato per la missione in Afghanistan, tanto per capirci]. È di questi giorni il giro di ricognizione per le capitali arabo-mediterranee della Clinton che si concluderà nei Balkani.
Purtroppo le premesse per un allargamento del conflitto ci sono tutte; probabilmente, sono solo questioni di opportunità politiche ed economiche, che frenano o rallentano il precipitare della guerra civile siriana in una resa dei conti medio orientale.
La prossima rielezione di Obama o quella di Romney, in questo contesto, non è indifferente:  Obama ha sempre dichiarato di aver subito, mai di aver condiviso, l’impegno bellico USA, deciso da Bush, ma che ne avrebbe e ne ha onorato gli impegni; altra cosa è l’esposizione muscolare di Romney, espressione, anche, dell’apparato militare e del gotha degli armamenti. Così come non è indifferente il dipanarsi  della crisi economico-finanziaria e del conflitto sociale che attanagliano gli Stati europei: l’essere, attraverso la Nato, impegnanti in un nuovo conflitto, con il corollario di dispendio economico, con una lotta sociale montante, può essere un ulteriore motivo di instabilità politica e di perdita potere contrattuale tra Istituzioni internazionali.

lunedì 29 ottobre 2012

Desinformémonos del lunedì


Reportajes México 

SOFÍA SÁNCHEZ
                     
AMARANTA CORNEJO HERNÁNDEZ Y SERGIO CASTRO BIBRIESCA

GLORIA MUÑOZ RAMÍREZ

JAIME QUINTANA GUERRERO
FOTO: IVÁN CASTANEIRA Y PROMETEO LUCERO

Reportajes Internacional 

SPENSY PIMENTEL
TRADUCCIÓN: WALDO LAO

SOFÍA SÁNCHEZ

SERGIO ADRIÁN CASTRO BIBRIESCA

JAIME QUINTANA GUERRERO

Los Nadies

TESTIMONIO RECOGIDO POR ADAZAHIRA CHÁVEZ EN LA CIUDAD DE MÉXICO

Imagina en Resistencia

ELIANA COSTA, GABRIEL CALVO, PABLO SIZMAN, SERGIO SIZMAN Y GABRIEL SERULNICOFF

Fotoreportaje

FOTOS: SARAIRUA, LAURA TÁRRAGA, PERIODISMO HUMANO, COORDINADORA 25S
MÚSICA: “LA DANZA DE LOS NADIE”, DE HECHOS CONTRA EL DECORO
TEXTO Y PRODUCCIÓN: DESINFORMÉMONOS

Video

REALIZACIÓN Y ENTREVISTAS: SERGIO ADRIÁN CASTRO BIBRIESCA

domenica 28 ottobre 2012

Spagna - Madrid. In migliaia contro il “bilancio del debito”

Ieri si è svolta a Madrid la manifestazione promossa dal Coordinamento 25-S contro il bilancio dello Stato.
La finanziaria 2013 spagnola destinerà al pagamento del debito più di 38 miliardi di euro, ricavati dai tagli alle spese sociali e la distruzione di posti di lavoro. Quest’ultima ha innalzato il tasso di disoccupazione oltre il 25%, più di 5,7 milioni.
Migliaia di persone arrivate da diverse regioni dello stato hanno partecipato ieri alla manifestazione contro il bilancio dello Stato, la cui approvazione ha discusso questa settimana la Camera dei Deputati spagnola. La votazione definitiva si terrà a dicembre, dopo che alla finanziaria venga dato l’ok anche dal Senato.
Il corteo si è svolto senza incidenti, nonostante l’allarme lanciato settimana scorsa dal Sindacato Unificato di Polizia. Secondo una comunicazione di questo sindacato, l’arrivo di “gruppi radicali” dalla Catalogna, dai Paesi Baschi e dalla Castiglia e Leon sarebbe stato una minaccia per il normale svolgimento della manifestazione e per la sicurezza dell’intera città. Madrid si è svegliata con uno schieramento di 1.500 poliziotti che hanno “protetto” il Congreso bloccando il centro, perquisendo i pullman arrivati da altre regioni e identificando i passeggeri. Oltre a questo, oggi 300 persone sono state denunciate per manifestazione non autorizzata.
 Da oggi ripartono le assemblee per discuttere come organizzare le prossime mobilitazioni contro le misure di austerità del governo Rajoy e l’approvazione della finanziaria 2013 nel Congreso de los Diputados, nei primi giorni di dicembre.

mercoledì 24 ottobre 2012

Italia - Nuova portaerei di Israele


di Ernesto MilanesiSebastiano Canetta
In meno di dieci anni, un tassello alla volta, si completa il disegno del puzzle. Strategico, militare, commerciale e politico. Basta avere la pazienza di intrecciare notizie, protocolli, fotografie. Oppure seguire le scie degli aerei, degli appalti e della diplomazia formato Finmeccanica. Tutto funzionale alla guerra all'Iran?Caccia israeliani in volo radente sulla Sardegna. Tornado italiani nel deserto del Negev. Scambi di "carte" tra mercanti d'armi, benedetti dalla Nato e dai governi (più o meno tecnici). Ecco l'alleanza «a contratto» fra Roma e Tel Aviv. Commesse a «somma zero»
Un preliminare «blindato», previsto dalla legge, affidato ai militari. Chiude il cerchio della «collaborazione» avviata dall'ex ministro della difesa Antonio Martino. Sacheon, Corea del Sud, gennaio 2012. I vertici di Korean Aerospace Industries inoltrano l'ultima offerta ai militari israeliani: 25-30 addestratori Golden Eagle in cambio dei droni con la stella di David. È un affare da 1,6 miliardi di dollari. Per di più fa contenti anche gli americani: gli aerei sono firmati Lockheed-Martin e i robot-volanti servono a spiare la Corea del Nord. Ilsoo Kim, ambasciatore sudcoreano in Israele, ha reso noto attraverso le colonne del Jerusalem Post: «Spendiamo 30 miliardi di dollari all'anno nel settore della difesa». Il governo di Seul sarebbe disposto a dirottarne almeno 5 in radar e sistemi anti-missile made in Israel. È quanto provano a spiegare i contractors locali: da mesi giocano di sponda con i lobbisti al ministero della difesa. Tuttavia, sono manovre "acrobatiche". L'aeronautica militare israeliana (Iaf) ha diffuso una nota che tecnicamente chiude la partita. Contiene la raccomandazione d'acquisto al proprio general staff di 30 addestratori Aermacchi M-346 Master prodotti da Finmeccanica già selezionati da Emirati Arabi e Singapore. Non è una specifica vincolante per il governo Netanyahu, ma nel quartier generale di Alenia a Venegono Superiore (Varese) stappano le bottiglie. Il 17 febbraio il ministero della difesa israeliano ufficializza il preliminary agreement con gli italiani. Valore: non meno di 1 miliardo di dollari. Per Aermacchi è fatta, con relativo ritorno d'immagine buono per altri due mega-appalti all'orizzonte (Usaf e forze aeree polacche). Il concorrente da battere è sempre Kai.Diventa di pubblico domino il prezzo del "successo" di Finmeccanica, l'altra faccia della medaglia della maxi-commessa bellica vinta dalla holding controllata dal ministero dell'economia. In cambio degli M-346, l'Italia dovrebbe acquistare uno stock di prodotti dalle aziende militari dello Stato ebraico. Per un miliardo di dollari. È una partita a somma zero. L'affare di Alenia lo pagano i contribuenti.
Emerge il controvalore: l'Italia avrebbe nel mirino due aerei-radar, ma all'Aeronautica militare fanno gola anche sofisticati sistemi satellitari, segnalano i quotidiani a Tel Aviv. Particolari tecnici, per addetti ai lavori, tutt'altro che secondari.Un passo indietroEpoca Berlusconi, con il ministero degli esteri affidato a Franco Frattini. Già nel 2003 scatta la sintonia: il ministro Martino e il collega israeliano (generale di corpo d'armata) Shaul Mofaz firmano a Parigi l'accordo di cooperazione Italia-Israele nel settore della difesa. Scenari integrati tra i due Paesi e piena collaborazione su tutti i fronti: da licenze, royalties e informazioni tecniche scambiate «con le rispettive industrie nella ricerca di progetti e materiali di interesse per le parti» normate dalla legge 94/2005, all'«importazione, esportazione e transito di materiali militari e di difesa» con lo scambio di informazioni e hardware. Gli effetti vengono letteralmente fotografati nell'autunno 2011. A Decimomannu (Cagliari) gli spotter immortalano l'atterraggio di F-16 e Gulfstream con la stella di David. Ufficialmente, manovre nell'ambito dell'esercitazione «Vega» condotta con piloti italiani e della Nato. Missioni non sempre regolari, come risulta dal resoconto stenografico della seduta della Camera dei deputati del 18 novembre. All'ordine del giorno, plana l'interdizione al volo comminata da un tribunale militare israeliano a un pilota Iaf per aver effettuato tonneau a bassa quota. Sulle coste della Sardegna. La segnala il deputato Augusto Di Stanislao (Idv) con un'interrogazione al ministero della difesa che giusto in quelle ore, cambia: Ignazio La Russa cede il posto all'ammiraglio Giampaolo Di Paola. La vicenda è coperta dal programma di cooperazione individuale con Israele ratificato dalla Nato nel 2008. Di Stanislao però, ricorda che «l'unica potenza nucleare della regione» rifiuta di firmare il trattato di non-proliferazione.
Negli stessi giorni, dal sito internet dell'Iaf decollano altri segni dell'«amicizia» tra Italia e Israele. A disposizione, la cronaca degli «Hawk over Sardinia» insieme alle dichiarazioni del maggiore Baruch Shushan, comandante dell'Aerial maintenance formation («Ci siamo preparati per questo cinque mesi»).Dopo i sigilli di Erdogan allo spazio aereo turco, le sessioni congiunte Israele-Nato in Italia sono imprescindibili. Necessarie, anche per lo stato maggiore dell'Aeronautica; in cambio, partecipa all'esercitazione «Desert dusk» (5-15 dicembre 2011) facendo decollare dalle basi di Grosseto, Gioia del Colle e Piacenza 25 caccia che compiono un centinaio di missioni di volo nei poligoni della base di Ovda, nel deserto del Negev. Un altro corollario a somma zero.Convergenze armateResta da capire se gli indirizzi strategici che palazzo Chigi impartisce all'Aeronautica corrispondono ai notam inviati dal governo israeliano ai suoi piloti. In Sardegna si vola in funzione di obiettivi reali: l'orografia si presta a missioni precise, l'addestramento risulta sempre allineato agli scenari «prossimi». Si simula un'operazione militare alle installazioni nucleari iraniane? Il governo Monti ne è tecnicamente al corrente?Un altro dettaglio alimenta i dubbi. Nelle esercitazioni congiunte gli aerei militari italiani provano i sonic-boom a bassa quota con lo stesso intento degli alleati israeliani, che lo utilizzano contro la popolazione palestinese a Gaza?Comunque, per testare l'inossidabilità del «patto d'acciaio» con Israele conviene girare nuovamente il binocolo. In parallelo alle manovre militari, dal 6 ottobre 2009 è operativo un altro fondamentale corridoio. È il Gruppo di collaborazione parlamentare presieduto dalla vicepresidente della commissione esteri Fiamma Nirenstein, con Luca Barbareschi (Pdl), Emanuele Fiano (Pd) e Massimo Polledri (Lega Nord). Lavori articolati su piani di interscambio finalizzati a solidificare relazioni bilaterali in campo culturale e scientifico. Un ponte diplomatico permanente, tra «democrazie occidentali», politicamente a tutto campo. La cornice istituzionale perfetta per tenere insieme il quadro affrescato da Finmeccanica.L'aprile scorso il presidente Monti ha trascorso le vacanze di Pasqua tra Ramallah e Cesarea, ribadendo il sostegno italiano al piano dei due popoli in due Stati. Ad Abu Mazen come a Netanyahu ha ricordato la necessità di superare lo stallo negoziale «facendo il possibile per scongiurare il ritorno della violenza». Corrisponde al mandato Onu affidato al generale degli alpini Paolo Serra, che dal 2 gennaio è il comandante dei 10.988 caschi blu (di 36 Paesi) della missione Unifil nel sud del Libano.E qui scatta il cortocircuito: la piena esecutività di accordi, obblighi e contratti stipulati con Israele compromette di fatto l'«interposizione» nelle operazioni di peacekeeping. D'ora in poi, sarà più difficile per i governi, non solo arabi, chiudere un occhio sulla "cobelligeranza" italiana. Con tutte le conseguenze del caso.
Pubblicato ne Il Manifesto 24 ottobre 2012

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!