sabato 23 gennaio 2016

Tunisia - Oltre il fumo dei copertoni in fiamme


Ultima ora: venerdì 22 gennaio è stato proclamato il coprifuoco dalle 20.00 di sera alle 5.00 della mattina in tutto il paese.
Dallo scorso fine settimana la Tunisia è teatro di forti proteste, che hanno come centro la regione di Kasserine, una delle più povere dell’intero paese e zona vicina ai monti Chambi base dei gruppi integralisti, ma che in breve si sono estese nel resto del paese.
Sabato scorso un giovane Ridha Yahyaoui è morto fulminato dopo essere salito su un palo durante un sit-in di protesta. Stava contestando la sua, come di altri ragazzi, esclusione dalle lista per l’occupazione, avvenuta arbitrariamente, come spesso succede.
Dopo la sua morte le proteste non si sono fermate. A Kassirine si è cominciato a scendere in piazza contro la "rete di corruzione e nepotismo istituzionalizzato dal potere", come racconta il portale Nawat.
Scontri con la polizia, intervenuta su ordine del governo, che ha anche imposto il coprifuoco. Ma la rabbia, l’esasperazione non si è fermata, lo slogan "Travail ! Liberté et dignité !", gridato nel sud della Tunisia ha iniziato a riecheggiare anche in altre città dal sud al nord.
In particolare il 19 gennaio ci sono state manifestazioni nella capitale e in altre zone. Una giornata in cui non sono scesi in piazza solo i "diplomeur chomeur" (disoccupati diplomati) organizzati nella rete UDC ma anche il sindacato UGT, reti ed organizzazioni della società civile, come racconta nel suo articolo la blogger Lina Ben Mhenni.
A quasi una settimana dall'inizio della protesta un ragazzo si è dato fuoco a Sfax, un poliziotto è morto nella regione di Kasserine, molti giovani sono finiti in ospedale ed il governo usa la strategia del "bastone e la carota": mentre continua con il coprifuoco ha dichiarato di voler offrire più di 5000 posti di lavoro ai disoccupati solo per la regione di Kasserine (mossa che di certo non risolve il problema strutturale ma anzi ha rafforzato peraltro la protesta in altre regioni).
Al di là di quel che succederà nei prossimi giorni qualcosa è già successo.
E’ il portato dell’esperienza vissuta in questi 5 anni dalla cacciata nel gennaio 2011 di Ben Ali. Già perchè proprio pochi giorni prima di Kasserine c’è stato il 14 gennaio, anniversario della rivoluzione. 
Due immagini racchiudono l’evento.
Da un lato l’anniversario ufficiale con il vecchio presidente, contornato da esponenti di Nidaa Tunes e di Ennadah che fa il suo discorso ufficiale. Dall'altro in piazza una manifestazione con UGTT ed altri, tra cui i parenti dei "martiri" della rivoluzione che non smettono di denunciare l’impunità delle forze dell’ordine, la criminalizzazione di chi è stato ed è protagonista delle proteste.
Quel che è successo in Tunisia è che in questi 5 anni, tra difficoltà, contraddizioni, speranze spezzate e alti e bassi, in ogni caso si è resistito.
Ci si è confrontati con la difficoltà di comprendere che non basta mandare via un dittatore per cambiare.Le aspirazioni profonde non solo di giustizia economica, ma di libertà vera, di diritti per tutti sono state al centro di una miriade di piccole e grandi iniziative.
Dalle proteste delle donne, alla contestazione delle politiche del governo di Ennadah, alle mobilitazioni per gli omicidi come quello di Chokri Belaid, alle costanti campagne per le libertà individuali, alla denuncia delle devastazioni ambientali fino alle iniziative contro il terrore integralista ed anche l’autoritarismo del governo con la legislazione d’emergenza, applicata dopo gli ultimi attentati.
Quello che si è mosso, in maniera certo a volte poco visibile, ma costante, a volte contraddittorio, come nel momento dei processi elettorali, ha mantenuta aperta una vitalità, una possibilità di azione e discussione pubblica.
E’ questo che ha fatto sì che le proteste di Kassirine finora non restassero solo come episodi di rabbia di giovani ed emarginati che a volte esplode, non solo in Tunisia, in "riot" che non disegnano un futuro, ma che anche altri ed altre, quella che viene chiamata per comodità "società civile" sia scesa in piazza.
E’ questa capacità, lo ripetiamo a volte caotica, contraddittoria, ma che cerca un comune spazio d’espressione di molti e diversi che rende ancora la Tunisia un paese vivo.
La ricerca dietro ogni singola vicenda che sale alle cronache di costruire un caleidoscopio possibile per intravedere una alternativa sociale complessiva, dalle proteste di questi giorni alle mobilitazioni contro le politiche securitarie, alle iniziative della scena culturale, al dibattito in rete, alle piccole ma puntuali campagne sui diritti civili, sulla libertà d’espressione, sui migranti morti nel mediterraneo.
Oltre il fumo dei copertoni, lo slogan "Travail ! Liberté et dignité !", l’interrogarsi e non accontentarsi, fa capire come il paese dei gelsomini, ancor più per la situazione geopolitica dell’intera area, sia un piccolo laboratorio che va sostenuto nella sua complessità d’espressione, sola strada possibile per intraprendere il cammino del cambiamento sociale.

lunedì 18 gennaio 2016

Messico - Le vene aperte del Messico e la borsa canadese



Nel 1971 Eduardo Galeano 
pubblico "Le vene aperte dell’America Latina" un indimenticabile libro, censurato dalle dittature degli anni settanta, che racconta come nei cinque secoli, dalla conquista al colonialismo, il saccheggio delle risorse abbia prosciugato le ricchezze di una terra ricca e rigogliosa, lasciandola in condizioni di estrema povertà. Oggi l’estrattivismo, legato ai perversi meccanismi finanziari ed intrecciato con 
forme "legali ed illegali" di potere, è la moderna forma in cui il saccheggio continua.
Raccontare il Messico contemporaneo è uno specchio di quel che accade non solo in questo pezzo di mondo.

DI COSA STIAMO PARLANDO?
Si calcola che il 70% del territorio messicano abbia potenziale minerario, disseminato nelle Sierre. In particolare il paese è secondo al mondo per produzione di argento, ai primi posti per il rame, quinto per il piombo, sesto per lo zinco, ottavo per oro e via dicendo fino ad arrivare alle "terras raras", ora tanto richieste per l’industria aerospaziale.

Siamo di fronte non più alle vecchie miniere, scavate nella rocce dai minatori raccontati dalle foto di Salgado, basate sullo sfruttamento della mano d’opera, destinate a chiudere quando il filone si esaurisce.
Le moderne e tecnologiche miniere a cielo aperto comportano un danno ambientale ampio ed esteso. Si tratta di attività industriali che consistono nel rimuovere grandi quantità di suolo e sottosuolo e processarle per estrarne il minerale. Da tonnellate di terra "lavorata" si estraggono poche "once" (oncia troy che si usa nel commercio dei metalli preziosi è circa 31 grammi). Per questo c’è bisogno di vaste quantità di terreno: ettari di ampiezza, metri di profondità. Crateri creati con esplosivi, macchine trituratrici al lavoro e poi si il cianuro, sostanza altamente inquinante, che permette di recuperare i metalli dal materiale rimosso. Nella lavorazione si usano ampie quantità d’acqua. L’inquinamento è garantito, con danni che arrivano a decine di chilometri dalla miniera, Nelle vicinanze e non solo non cresce niente. Senza dimenticare le tonnellate di terra "lavorata", che si trasformano in rifiuti inquinanti in molti casi abbandonati.


CHI COMANDA IL GIOCO: LA BORSA DI TORONTO E VANCOUVER
"Il 75% delle società minerarie mondiali (diamanti, oro, rame, cobalto, uranio…) sceglie il Canada come sede legale, e il 60% di quelle quotate in borsa è iscritta al Toronto Stock Exchange (Tsx). Oltre metà dei progetti minerari quotati in borsa al Tsx si trovano fuori dal Canada, e molte società registrate a Toronto non hanno alcuna concessione all'intero del paese. Il Canada si presenta come attento alle questioni ambientali a casa propria salvo poi offrire comodo approdo alle company che non esitano a perpetrare abusi, quando non crimini.
"L’industria mineraria, regina del Canada" da Le Monde Diplomatique

Il caso del Messico è emblematico.

Fin dall’inizio degli anni novanta si sono avviate profonde modificazioni legislative, volte a permettere una diversa gestione del territorio messicano: la modifica dell’articolo 27, frutto della Rivoluzione dell’inizio del novecento, che collegava la proprietà delle terra agli Ejidos comunali e degli articoli che riguardavano gli investimenti stranieri nel paese. A questo lungo percorso di cambiamenti legislativi si aggiunge nel 1994 il Nafta (North American Free Trade Agreement - Accordo nordamericano per il libero scambio).
Dal 1990 al 2000 si costruiscono le condizioni politiche ed economiche perché le corporation, scatole cinesi a marchio canadese, create con capitali americani (spostatesi dagli Usa dove le estrazioni con miniere a cielo aperto proprio in quegli anni vengono sottoposte a restrizioni), canadesi (un ruolo importante giocano nell'accumulo di capitali i fondi pensioni) ed anche messicani (non mancano all'appello i magnati come Slim) e non solo, possano spiccare il volo ed iniziare a acquisire i diritti di concessione per il territorio del Messico.
Dall’inizio del secolo ad oggi le concessioni, normalmente di circa 90 anni, crescono.
Ad oggi è concessionato il 19% del Messico, con stati come Colima e Sonora che arrivano a picchi di circa il 40%. Il governo di Pena Nieto non si tira indietro: negli ultimi tre anni sono state date più concessioni che nei sei anni del precedente governo Calderon.

Ma come vengono quotate in borsa e crescono le corporation dell’estrattivismo?

Il tuo "valore" non è dato da quanto estrai, ora, nella realtà. Ma la quotazione delle tue azioni è data dalle proiezioni di quello che potrai estrarre, al prezzo attuale dei metalli, dal territorio su cui hai le concessioni.
Siti specializzati come BNamericas, ovviamente a pagamento, prospettano miniera per miniera, concessione per concessione i futuribili guadagni indicando agli operatori dove investire.
E’ questo gioco perverso tra in situ ed ex situ, tra estrazione reale e speculazione, che è alla base della finanziarizzazione dell’estrattivismo. Chi ha più concessioni, al di là dell’operatività degli impianti, vince nel tavolo del "denaro che produce denaro" del capitalismo finanziario. E il Messico, ma l’America Latina tutta diventano il tavolo da gioco di chi opera nella borsa canadese. Stiamo parlando di giri enormi di capitali che ovviamente si intrecciano anche con gli interessi sia di investimento sia di riciclaggio di denaro del crimine organizzato. Due facce della stessa medaglia.

Campagna contro la Goldcorp
JPEG - 584.9 KbCOME IMPORRE L’ESTRATTIVISMO
Chiaramente prima di avere una concessione in Messico si deve presentare come prima mossa la richiesta e uno studio di impatto ambientale. Ma questa prima tappa, con il livello di "corruzione" e di infiltrazione della delinquenza organizzata, ovvero della forma strutturale della governance in Messico, non pare presentare grandi problemi.
Formalmente si passa poi alla seconda mossa: avere il parere positivo della comunità locale. E qui si procede con una duplice forma: o con le buone o con le cattive.
Con le buone: comunità, gia segnate dall'emigrazione e dall'allontanamento dal lavoro agricolo (dovuto alle politiche di agrobusiness globale che hanno portato il paese ad importare il 45% degli alimenti dagli Stati Uniti), cedono in cambio di pochi pesos il loro diritto sul territorio. E’ cosi che migliaia di ettari vengono affittati non comprati. Tra l’altro i contratti d’affito non hanno la stessa referenzialità legale delle compravendite, per cui questa realtà resta quanto mai opaca.


Quando la carota non funziona si usa il bastone.
La cronaca è ricca di episodi drammatici di repressione, di violenze perpetrate dalle "forze dell’ordine" e/o dalla criminalità organizzata, contro chi protesta o perché non vuole le miniere o perché dopo aver accettato si rende conto dell’imbroglio. 

La realtà è che per ora le concessioni stanno crescendo, accompagnate dove le miniere sono attive da un’incalcolabile devastazione ambientale.
Non è solo un problema messicano. Le lotte in Perù proprio negli ultimi mesi hanno portato anche nel paese andino a porre il tema nell’agenda politica a partire da casi emblematici come la miniera Tia Maria, peraltro gestita dalla Southern Copper del Grupo Mexico.

In Messico sono soprattutto le zone dei popoli indigeni a fare le spese di questa scelta devastante, che si accompagna in molti casi alle grandi opere, utili più a far circolare capitali leciti ed illeciti insieme all'industria del turismo.

LA DEVASTANTE AVANZATA DELL’ECONOMIA MESSICANA
Nel suo discorso alla nazione Pena Nieto all'inizio del 2016 si riferiva anche a questa forma di saccheggio quando in diretta televisiva, con lo sguardo fisso sul testo preparato, elencava le magnifiche e progressive sorti del paese che "sta crescendo e guidando l’economia dell’America Latina". Oltre a riferirsi al fatto che il Messico, sottoposto alle riforme strutturali, alla privatizzazione di risorse (vedi il caso Pemex e la lo sfruttamento delle fonti idriche), con le nuove forme di produzione stile maquilladoras (pezzi da assembleare oltreconfine) è in testa alla produzione di schermi digitali, quarto per auto (Mazda e Toyota). Dimenticandosi, però, di citare anche il fatto che il Messico è terzo al mondo per esportazioni di capitali illegali dopo la Russia e la Cina.

L’estrattivismo in Messico, si innerva, come in tutta l’America Latina con la forma della speculazione, potente motore del capitalismo finanziario nel mercato unico globale.
A questo si oppone chi resiste e combatte gridando "No alla mina, sì alla vida".

DATI DEGLI INVESTIMENTI STRANIERI IN MESSICO 

Secondo i dati presentati dalla Secretaría de Economía (SE) attualmente esistono in Messico 902 progetti minerari in mano a capitali stranieri. 97 sono in fase di produzione, 42 di sviluppo, 632 di esplorazione, 129 di rinvio e 2 di promozione. La maggioranza dei capitali provengono dal Canada, le cui imprese partecipano a più del 70 % dei progetti. Delle 293 imprese registrate 205 sono canadesi, 46 americane, 10 cinesi, 6 australiane, 6 guapponesi, 5 inglesi, 4 coreane, 2 cilene, 2 indianeed una a testa per Spagna, Italia, Belgio, Lussemburgo, Brasile, Argentina-Italia e Perú.
Lo stato del Messico in cui ci sono più progetti minerari è Sonora con 217, segue Chihuahua (120), Durango (99), Sinaloa (93), Zacatecas (69), Jalisco (60), Guerrero (37), Oaxaca (35), Michoacán (23), Colima (23), Nayarit (22), Guanajuato (20), San Luis Potosí (18), Coahuila (13), Baja California (12), Puebla (10), Estado de México (9), Baja California Sur (7), Chiapas (7), Querétaro (6), Hidalgo (4), Veracruz (4), Morelos (3), Tamaulipas (2), Nuevo León (1).
Tratto da Grieta Medio para armar


Informazioni in:
M4 Movimiento Mesoamericano contro el Modelo neo extractivo Minero
REMA - Red Mexicana de Afectados por la Minería

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!