domenica 2 luglio 2017

Marocco - Le proteste del Rif si allargano a tutto il paese



Sono in sciopero della fame i portavoce della protesta del Rif, incarcerati dal Governo nelle scorse settimane per le manifestazioni che si susseguono dallo scorso dicembre dopo la morte di Mohssine Fikri, pescivendolo ambulante di Al Hoceima, triturato in un camion della spazzatura mentre cercava di recuperare i 500 chili di pesce spada confiscati dalla polizia.
La mobilitazione continua ad allargarsi come se il movimento della zona del Rif desse voce ad un malcontento che non riguarda solo le zone periferiche.
Come accade ovunque ed in particolare nel contesto mediorientale e nordafricano, le vicende sociali hanno molte sfaccettature. Per questo approfondire quel che accade è importante per non avere uno sgurado superficiale. 




Il Marocco è un paese in cui la monarchia ancora non è stata messa in discussione e il giovane sovrano Mohamed VI è riuscito fino ora a passare indenne, usando il bastone e la carota, attraverso l’onda delle cosiddette primavere arabe.
Ma corruzione, accentramento di ricchezze e poteri, squilibri sociali, mancanza di giustizia permangono esprimendosi in quel senso di insofferenza che viene chiamato “hogra” e che racchiude tutta la distanza e la mancanza di fiducia soprattutto dei giovani nel sistema. Esprimere il proprio dissenso, scendere in piazza oggi diventa ancora più difficile alla luce della crisi, della guerra, della percezione di paura che si vive in tutto il mondo e con le proprie particolarità in tutta la zona che va dal Marocco all’Iran.

Le proteste partite dal Rif, zona periferica del Marocco, sono state l’occasione per riprovare a scendere in piazza. Tutto non è lineare e facilmente leggibile, tanto è vero che numerosi articoli raccontano di come gruppi islamici radicali si siano inseriti dentro le proteste. Tutto questo in uno scenario in cui nelle scorse elezioni il partito dell’islam politico, Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, ha riottenuto la maggioranza trovando modo di convivere bellamente con la monarchia al di là della formale opposizione. Tanto è vero che oggi il paese è governato da una coalizione di sei partiti tra cui il Rassemblement national des indépendants, guidato da un uomo d’affari che i commentatori definiscono essere molto vicino al re.

Per approfondire quel che succede vi proponiamo alcuni articoli usciti negli ultimi mesi, nella convinzione che come sempre capire è importante anche per trovare le strade per sostenere chi realmente prova a cambiare le cose, e non chi lo fa strumentalmente per mantenere intatto il sistema, anche cambiandogli il vestito.


Il Rif

La protesta, partita all’indomani della morte del pescatore Mohssine Fikri, affonda le sue radici nella situazione del Rif: si tratta di una zona che ha sempre avuto dissensi col governo centrale, tanto è vero che il secolo scorso, durante la guerra coloniale con la Spagna, aveva proclamato una breve indipendenza sotto la guida berbera. È una zona dove più forti sono povertà ed emarginazione.
Il padre dell’attuale re Mohamed VI, Hassan II diceva che c’è un Marocco utile e un Marocco inutile. Ed è proprio a causa del suo passato secessionista che la regione del Rif non rientrava fra le zone territoriali che avevano il suo favore. Dopo i movimenti del 1984 lanciati dagli studenti, Hassan II aveva deciso di escludere la regione del paese dai piani di sviluppo.
Nelle montagne aride la popolazione vive soprattutto di coltivazione di cannabis. Dopo l’arrivo al potere, Mohamed VI aveva proclamato di voler avviare un piano di riconciliazione con gli abitanti di questa regione berbera, ma la realtà continua ad essere quella di una mancanza di risorse locali che fanno aumentare la frustrazione: il tasso di disoccupazione è del 21%, cioè il doppio di quello nazionale.


Cronaca

28 Ottobre 2016
Mohssine Fikri pescivendolo ambulante di Al Hoceima (città situata a Nord nella regione settentrionale del Rif), muore stritolato nel tritarifiuti del camion dell’immondizia mentre protestava contro la requisizione della sua merce confiscata ingiustamente dalla polizia. La tragica morte ripresa con un cellulare e postata sui social network, da il via ad una rivolta, le cui rivendicazioni affondano nella situazione di marginalità della regione, che si propaga viralmente nelle zone limitrofe, arrivando in pochi giorni ad attirare anche l’interesse della stampa internazionale.


10 Dicembre 2016
Durante la giornata internazionale per i diritti umani ad Al Hoceima si svolge una grande manifestazione che riempe le vie della città. Tra media locali, attivisti e manifestanti si calcola che ci fossero all’incirca 100 mila persone. Si protesta per chiedere autonomia, diritti e libertà reali.


Da dicembre ad aprile
Continuano presidi e iniziative in uno stato di mobilitazione continua. Il Governo risponde con lo stato d’emergenza e la militarizzazione della zona. La protesta trova appoggio in tutto il paese, diventando il simbolo della generale insoddisfazione. Nasser Zefzafi, un disoccupato della zona, viene descritto nei media come il portavoce della protesta ed in molte occasioni arringa la folla durante le iniziative, rilascia interviste non solo ai giornali nazionali. La sua immagine inizia a circolare anche all’estero.


7 Aprile 2017
Il tribunale di prima istanza di Al Hoceima condanna con pene tra i cinque e gli otto mesi sette persone coinvolte nella morte di Fikri, ovvero gli agenti intervenuti durante la morte del pescatore. E’ una sentenza che fa ulteriormente crescere la protesta: è come se lo stato si fosse assolto dalle colpe, alla base di quel che è successo. Gli organizzatori delle proteste reclamano soprattutto miglioramenti economici e sociali. Dopo la sentenza un attivista dichiara: “stiamo chiedendo da mesi la costruzione di un ospedale specializzato nella cura del cancro, la creazione di un’università e l’abolizione del decreto del 1958 con il quale si considera Al Hoceima una zona militarizzata”.


14 Maggio 2017
Sei partiti della maggioranza di governo, capeggiati dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo ( partito islamico al potere) pubblicano un comunicato nel quale accusano chi protesta di “promuovere idee distruttive che seminano discordie” e peggio ancora di essere “separatisti”. Tutto questo è parte di una generale campagna di diffamazione che cerca di screditare chi protesta e nasconderne le profonde ragioni.


18 Maggio 2017
Viene convocato uno sciopero generale e migliaia di persone scendono in piazza con lo slogan: “Siete una mafia, non un governo”. Sei mesi dopo l’inizio delle proteste, la tensione non si placa.




Fine maggio 2017
Di fronte al permanere della protesta. Il Governo cerca di mostrare un volto conciliante.Una delegazione di ministri ed esponenti di istituzioni pubbliche si recano al Rif annunciando progetti sociali, educativi e nuove infrastrutture ma nessuna concessione politica e culturale. Promettono l’apertura di una sede distaccata dell’università di Tangeri ad Al Hoicema, la riqualificazione delle scuole, l’assunzione di 500 professori, la ristrutturazione e l’acquisto di un centro oncologico e annunciano la scelta da parte dello Stato di investire 900 milioni di euro nella regione.

Mentre il Governo vuole apparire conciliante a rompere il clima di pseudo tregua ci pensa il Ministro degli Affari Islamici, Ahmed Taofiq, che impone per la preghiera del venerdì a tutti gli imam di rimproverare i giovani ribelli, accusandoli di fomentare la “fitna”, ossia lo scontro tra musulmani.
All’ordine del Ministro gli imam obbediscono.

A Hoceim Nasser Zefzafi interrompe l’imam durante la preghiera del venerdì nella principale moschea della cittadina, accusandolo di utilizzare la religione a fini politici. Dopo essere duramente intervenuto, accompagnato da molti giovani, ritorna a casa.
Contro di lui viene spiccato un mandato di arresto . I reati sono l’aver ostacolato la libertà di culto, impedito al imam di parlare e aver insultato la religione, perturbando la tranquillità e sacralità del culto.
Nasser scappa da casa per fuggire all’arresto e diffonde un video sui social network assicurando che sta bene e appellandosi ai giovani perchè continuino in modo pacifico le manifestazioni.
Di fronte alle provocatorie accuse contro il portavoce della protesta, la tensione sale e ci sono scontri con la polizia, durante i quali vengono arrestati una ventina di ragazzi.

Nasser Zefzafi viene arrestato il 29 maggio. L’accusa è di minaccia alla sicurezza nazionale per aver interrotto il sermone dell’imam. Nel momento dell’arresto molte persone cercano di difenderlo. “L’imam stava parlando contro il nostro movimento. Ci accusa di destabilizzare il paese, di causare divisione. E Nasser ha preso parola per dire che dovrebbe dedicarsi a parlare di religione e non di politica. Stavano cercando un pretesto per arrestarlo”, dicono i manifestanti.
Le manifestazioni dopo gli arresti si fanno più dure.“Nasser, ti difendiamo con la vita e con il sangue”, gridano i manifestanti. A prendere il posto di Nasser come portavoce e simbolo della protesta è Nawal Ben Aissa, una giovane donna. Durante le manifestazioni cresce il numero delle donne che partecipano.

3 Giugno
Nel fine settimana la procura di Al Hoceima ordina l’arresto di un’altra ventina di attivisti. L’accusa per tutti è di “attentare alla sicurezza interna dello Stato, incitare a commettere delitti e crimini, umiliare i funzionari pubblici durante lo svolgimento del loro lavoro e commettere ostilità contro i simboli del Regno nelle riunioni pubbliche”. Proteste contro la repressione e a sostegno degli attivisti del Rif si svolgono anche in altre città del paese. 




11 Giugno 2017
Più di 10 mila persone manifestano a Rabat. La protesta è convocata dal movimento islamico illegale ma tollerato “Giustizia e Spiritualità”, vi partecipano anche partiti di sinistra e forze islamiche interne alla coalizione di governo.
Come spesso accade in piazza si ritrovano tutti quelli che hanno motivi di risentimento e protesta contro il governo, al di là delle rispettive appartenenze. Cosa questa per certi versi naturale ma foriera di grandi contraddizioni visto che il vecchio slogan "chi è nemico del mio nemico è mio amico" non sempre porta a grandi risultati,. Per cui nella stessa piazza ci sono islamici radicali, sindacati di sinistra e organizzazioni civili. Ci sono anche esponenti del Movimento "20 febbraio", ovvero quello che ha dato vita in Marocco alle proteste del 2011 durante la primavera araba. Uno di loro afferma “Quello che succede nella regione del Rif è di una gravità eccezionale visto il decreto di militarizzazione della regione e il decreto di emergenza. Non siamo più nel momento delle promesse del re del 2011".


Da metà giugno ad oggi
Il 14 giugno arriva la condanna a 18 mesi di carcere per i primi 25 attivisti. Una condanna dura se comparata ai 5 o 8 mesi dati a chi a partecipato alla morte di Mohssine Fikri. Ne seguiranno altre. Gli avvocati che difendono i manifestanti dichiarano “ la maggior parte dei condannati è accusato di aver manifestato senza autorizzazione gli ultimi giorni di maggio, dopo l’ordine di arresto di Nasser."
In occasione della conferenza stampa davanti al Tribunale l’avvocato di Nasser denuncia che il suo assistito ha subito violenze fisiche e morali, come il fatto che al momento dell’arresto, in modo dispregiativo sia stato definito “figlio di spagnoli”.
La notte le manifestazioni a Al Hoceima diventano più dure e viene proclamato uno sciopero generale per il fine settimana.

Un gruppo di detenuti inizia lo sciopero della fame in segno di protesta. Tra loro oltre a Nasser anche Mohamed Jellou, scarcerato da poco, dopo cinque anni di carcere per aver partecipato alle proteste del 2011.
Mentre nel paese la tensione cresce si svolge la visita del neo presidente francese. A Macron le organizzazioni dei diritti umani francesi inviano un comunicato per chiedere che venga condannata la repressione attuata dal governo marocchino. Alla conclusione della visita ufficiale Macron dichiara di aver visto il re molto attento a quel che succede, Ovviamente nelle dichiarazioni ufficiali non c’è traccia dei temi collegati ai diritti umani.
Proteste sono previste per la fine di giugno ed è stato convocato un nuovo sciopero generale.


NASSER ZEFZAFI

Quasi otto mesi fa, quando iniziarono le proteste per la morte del pescivendolo triturato in un camion della spazzatura, nessuno in Marocco conosceva Nasser Zefzafi. Era semplicemente un disoccupato, dopo essere stato strozzato dai debiti del fallimento di una piccola attività di riparazione di computer e telefoni.
Presente fin da subito nelle proteste, ne diventa il portavoce. Viene intervistato soprattutto dalla stampa internazionale, i suoi discorsi vengono ascoltati in piazza. Viene definito il leader del movimento. Diventa ancora più famoso quando a fine maggio interrompe il sermone dell’imam per denunciare quel che sta accadendo e viene denunciato ed arrestato.
C'è chi lo definisce un semplice disoccupato salito alle cronache, chi ne parla come appartenente a gruppi islamici radicali, chi addirittura lo definisce un provocatore al soldo degli spagnoli, chi semplicemente ne parla come un pazzo o un esagitato.


Proviamo a vedere cosa dice lui stesso in una lunga intervista realizzata da Diagonal lo scorso 4 aprile.

L’intervista parte dall’episodio scatenante, la morte di Mohssine Fikri. Nasser afferma: “Quello che è successo a Mohssine non è la prima, né non sarà l’ultima volta che accadrà (…) Ripeto, Mohssine è la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha portato le persone a combattere contro la hogra (…) Dalle prime indagini emerse come un fatto senza molta importanza. Questo invita a pensare che ci sia qualcosa di più grande, che implica personaggi importanti (...) Noi siamo manifestanti e come tali chiediamo un’indagine corretta. La gente che scende in piazza esige verità e che le indagini siano pubbliche per vedere chi si è sporcato le mani.”
Riferendosi al movimento di cui è portavoce e alla situazione attuale dice: “Chiediamo servizi pubblici, lo sviluppo della nostra economia, la fine della corruzione, che se ne vadano soldati e polizia. Quello che chiediamo non è diverso da quello che si chiede nel resto dello Stato. In questa terra (Rif) non si ha nulla, nè sviluppo economico, politiche che lo incentivino, università e nemmeno ospedali specializzati nell trattamento del cancro causato dalle armi chimiche spagnole nella guerra del 1921. Chiediamo questo per il Rif perché è dove viviamo e non c’è nulla, manca tutto”.
L’intervista continua con un giudizio sul comportamento del governo, che a parole si mostra condiscendente: “lo fanno per cercare di dare un esempio positivo e di rispetto per i diritti umani. Non dimentichiamoci che le mobilitazioni che stanno avendo luogo ora sono seguite in tutto il mondo e per quello non possono fare nulla (... )".
L’intervista termina con propositi sul futuro: “..possono incarcerarci e farci qualsiasi cosa, a me come alle altre persone che scendono in strada. (...) Se moriamo, che sia per la nostra terra e i nostri diritti”.


Nawal Ben Aissa

Casalinga di 38 anni, moglie di un tassista, madre di quattro figli. Una donna comune, che dopo l’arresto di Nasser viene indicata dai media come la nuova portavoce del Movimento Popolare.
Venuta a conoscenza della tragedia del pescivendolo tramite Facebook e interessata dall’impatto sociale delle proteste, inizia a studiare la storia e le rivoluzioni che hanno avuto luogo ad Al Hoceima. Decisa ad ascoltare i problemi dei rifeños (popolazione del Rif), scende direttamente nelle strade. Fa la sua prima apparizione pubblica l’8 Marzo, al fianco di Nasser.


Riportiamo brevemente le sue dichiarazioni in un’intervista realizzata da El Mundo lo scorso 12 giugno.
Inizia raccontando che “al principio si trattava di un movimento tranquillo e familiare, portavo anche i miei bambini”.
Parlando della sua istruzione dice: "Non ho avuto la possibilità di poter scegliere se studiare o meno. Qui alle bambine è già tanto se si arriva a mandarle alla secondaria ...".
Sono chiari nella sua testa i motivi che spingono la protesta: " costruire un’università, e dei programmi di inserimento per i lavoratori”.

A proposito dell’atteggiamento del governo dice: "Quando abbiamo iniziato le proteste, il governo si è dimostrato a favore delle nostre domande e si è impegnato a prendere in considerazione le nostre richieste. Poco dopo, senza che sapessimo il perché, hanno iniziato a detenere le persone in modo indiscriminato anche se non avevano niente a che vedere con il movimento.”
La giovane donna è stata accusata di essere parte di un gruppo indipendentista finanziato dal Fronte Polisario e dall’Algeria. Lei risponde: "Non è vero. Siamo patrioti e amiamo il nostro re, Mohamed VI, abbiamo la speranza che venga qui e veda che le nostre proteste sono pacifiche e riguardano tutto il Marocco, non solo il Rif."
Uno degli aspetti che più la preoccupa è il drammatico stato della sanità nella regione del Rif, dove il numero di patologie oncologiche è elevato. Lee cause risalgono al 1921 quando l’esercito spagnolo ha usato nella regione armi chimiche. La Spagna non ha mai negato di averle utilizzate, ma non l’ha mai riconosciuto ufficialmente.
Ad Al Hoceima c’è un ospedale oncologico molto piccolo, insufficiente per far fronte al problema. Nawal lo conosce molto bene, ha intervistato i malati facendo dei video e divulgandoli sui social grazie ai quali molta gente ha fatto offerte anonime per aiutare i malati a pagare i trattamenti.
“Non chiediamo l’ospedale più grande del mondo, o con le migliori tecnologie, vogliamo solo una struttura sanitaria adeguata”.

Nel chiudere l’intervista Nawal denuncia il clima di controllo: “il livello di repressione e la mancanza di libertà di espressione sono estreme. La cosa peggiore è che stanno soffrendo anche i miei figli, non vogliono che esca di casa perché non sanno se ritornerò”. 

mercoledì 21 giugno 2017

Messico - Kurdistan - Lettera del Movimento delle Donne del Kurdistan

Lettera del Movimento delle Donne del Kurdistan (KOMALÊN JINÊN KURDISTAN) a María de Jesús Patricio Martínez - portavoce del Consiglio Indigeno di Governo


Alla compagna María de Jesús Patricio Martínez, rappresentante della volontà del popolo indigeno del Messico e del Congresso Nazionale Indigeno.

In primo luogo, vogliamo mandare alla nostra sorella messicana il nostro più profondo rispetto e il nostro saluto rivoluzionario dalle montagne del Kurdistan fino alle catene montuose della Sierra Madre oltreoceano. Nonostante i fiumi, le montagne, i deserti, le valli, i canyon e i mari che ci separano, siamo fratelli e sorelle indigene, non importa in che parte del mondo stiamo. La nostra lotta, la nostra resistenza contro l’occupazione e il colonialismo, il nostro sogno per una vita libera è comune e in questo senso, come Movimento di Liberazione del Kurdistan, dichiariamo che consideriamo la lotta per l’autodeterminazione, l’auto-amministrazione e l’autodifesa dei popoli indigeni del Messico organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI) come nostra e la sosteniamo basandoci sui principi della solidarietà rivoluzionaria. I popoli indigeni sono le vene attraverso le quali i principi e i valori culturali e sociali dell’umanità vengono trasmessi dai primi momenti della socializzazione fino ai giorni nostri. Senza dubbio nessun popolo è superiore ad un altro, ma in un momento in cui la modernità capitalista vuole distruggere ogni valore collettivo, i popoli indigeni sono la dimostrazione del tessuto sociale di tutta l’umanità. Migliaia di anni di memoria collettiva risorgono nelle nostre canzoni, nei nostri rituali, nelle nostre preghiere, nei nostri tatuaggi, nelle nostre danze e nelle nostre tradizioni. La lotta per un’identità propria, contro i tentativi della modernità capitalista di cancellare le radici e la memoria dei nostri popoli, si trasforma quindi nella più preziosa delle resistenze. Sia in America Latina che in Kurdistan, le donne guidano questa resistenza. Nei nostri paesi, che sono stati le culle di migliaia di anni di cultura della dea madre, la donna e la vita, la donna e la libertà, la donna e la terra, la donna e la natura sono indissolubilmente vincolate.

In Kurdistan esprimiamo questa realtà con il nostro motto “Jin Jîyan Azadî”, che significa “Donna Vita Libertà”. Il corpo e l’anima della donna sono il riflesso dell’universo sulla terra. Migliaia di anni fa, durante la Rivoluzione Neolitica, furono le donne tramite la loro organizzazione sociale a guidare tutti i cambiamenti che resero possibile lacoltivazione della terra e l’inizio di una vita sedentaria in armonia con la natura. Questa è la ragione per la quale la civilizzazione patriarcale dello stato, che si è manifestata sotto forma di una controrivoluzione basata sul dominio, sullo sfruttamento e l’occupazione, ha schiavizzato innanzitutto le donne. Parallelamente al dominio delle donne è andato accelerando il dominio della natura. È stato attraverso il dominio della prima natura che è nata la seconda, entrambe sono state trasformate nelle pinze che la modernità capitalista ha usato per spremere con forza la società storica e poterla così distruggere. Il dominio attuale esercitato contro i nostri popoli è il risultato di questa mentalità. La resistenza nata in nome dell’autogoverno, dell’autodeterminazione e dell’autodifesa, rappresenta quindi la lotta più importante che possa essere esercitata per la libertà.

Noi in Kurdistan abbiamo sviluppato la nostra difesa contro le forze capitaliste moderne e gli attacchi degli stati colonialisti che occupano il nostro territorio, illuminati dalle lotte dei popoli indigeni dell’America Latina. Vogliamo che sappiate che riceviamo un’ispirazione costante e speciale dalle vostre esperienze di autogoverno, di buon governo e di comunitarismo. Speriamo che le nostre esperienze e i nostri successi nella lotta rappresentino allo stesso modo, anche per voi, delle fonti d’ispirazione. Una delle principali conquiste del nostro movimento è l’uguaglianza di partecipazione e di rappresentanza delle donne. È il risultato di grandi sacrifici e lotte intense portate avanti dalle donne, ma alla fine abbiamo ottenuto la nostra partecipazione paritaria in tutti gli organi decisionali. Non come individui, ma come rappresentanti della volontà organizzata e collettiva del Movimento di Liberazione delle Donne del Kurdistan, stiamo prendendo il nostro posto in ogni aspetto della lotta. Con il nostro sistema di co-presidenze, stabilite dal basso verso l’alto, rappresentiamo la volontà delle donne in ogni decisione e sviluppiamo una politica democratica contro le forme centralizzate e patriarcali della politica tradizionale. Ma per questo è stato necessario diventare definitivamente una forza organizzata. Essere organizzate è il criterio più importante per raggiungere la vittoria. Nella misura in cui saremo organizzate, riusciremo a resistere contro il sistema colonialista e dominante e di costruire la nostra alternativa di governo. In tal senso, l’organizzazione è la nostra arma principale di autodifesa. In passato molti popoli e movimenti non sono riusciti ad ottenere i risultati sperati perché non erano sufficientementeorganizzati. Non è stato possibile trasformare alcuni momenti storici in grandi vittorie proprio per questa mancanza di organizzazione. Forse non è stato capito fino in fondo il significato di questo fatto, ma oggi siamo in un’altra epoca. Ci troviamo di fronte al dovere di moltiplicare i nostri sforzi per aumentare il livello di organizzazione di fronte a questa nuova opportunità di vittoria, in un momento in cui il sistema capitalista moderno sta attraversando una profonda crisi nei suoi aspetti più determinanti. La storia ci chiede questo. Voi come Congresso Nazionale Indigeno siete stati capaci di riconoscere questa realtà, dichiarando le elezioni presidenziali in Messico come un’istanza chiave nel processo che porterà a un aumento del vostro livello di organizzazione.

Come Movimento di Liberazione delle Donne del Kurdistan vogliamo esprimere il nostro sostegno a questa decisione, basandoci sulla convinzione che questo obiettivo sarà raggiunto e portato a un livello ancor più alto a partire da queste elezioni e dalle strategie sviluppate a tal proposito. Il nostro leader Abdullah Öcalan, che dal 1999 è incarcerato in durissime condizioni di isolamento dallo stato colonialista turco, ha fatto un’analisi molto importante rispetto a tutto ciò verso la fine del XX secolo. Il nostro leader Apo, ha previsto che il XXI secolo sarebbe stato il secolo della liberazione delle donne se noi come tali fossimo state capaci di crescere e determinare i nostri modi e meccanismi di organizzazione. La ragione di questa conclusione è l’evidente crisi strutturale del sistema patriarcale, basato sulla nostra schiavitù. Il sistema patriarcale pretende di superare questa crisi aumentando i suoi attacchi contro le donne fino a portarli al livello di una guerra sistematica. Concentrando i suoi attacchi contro le donne di tutto il mondo con mezzi e metodi diversi, il sistema cerca di spezzare il cammino che abbiamo inaugurato verso la liberazione. Gli assassinii delle donne nel vostro paese hanno raggiunto il livello di un genocidio e le uccisioni di leader donne in America Latina sono indicatori ancor più concreti di questa realtà.

Vogliamo che sappiate che consideriamo tutte le donne e le leader dei popoli indigeni che sono state assassinate dalle braccia che agiscono per il sistema dominante, come nostre martiri e lottiamo anche per far diventare realtà i loro sogni e le loro speranze. Per noi i martiri non muoiono. In loro troviamo la forza e loro rinascono in ogni lotta che iniziamo. In questo contesto, la decisione del popolo indigeno messicano di nominare una compagna come rappresentante della propria volontà e farne la propria candidata alle prossime elezioni presidenziali, è molto significativa. A tal proposito, la compagna Marichuy non è solo la portavoce degli indigeni del Messico, ma allo stesso tempo di tutte le donne del mondo. Consideriamo molto importante e preziosa la candidatura della compagna Marichuy come rappresentante dei popoli negati, delle donne schiavizzate e delle migliaia di anni di saggezza ancestrale che la modernità capitalista vuole far sparire.

Come Movimento di Liberazione delle Donne del Kurdistan dichiariamo tutto il nostro sostegno e la nostra solidarietà alla compagna e al Congresso Nazionale Indigeno, non solo in questo momento di congiuntura elettorale, ma per tutta la lotta che il suo Movimento sta portando avanti. Sappiamo che non è rilevante di per sé il risultato delle elezioni, visto che è solo uno dei sentieri che i popoli indigeni del Messico hanno aperto in questo processo e in questa fase particolare della lotta. In questo senso la vittoria è già data. Perché il sistema capitalista moderno si alimenta delle divisioni delle forze e della disorganizzazione dei popoli e della società che vuole dominare; voi però avete già costruito il terreno per il successo formando la vostra unità organizzata. D’ora in avanti è importante non perdere di vista questo obiettivo, che non è altro che quello di crescere organizzandosi. Il vostro successo sarà il nostro. La nostra lotta è la vostra. Siamo il popolo fratello delle montagne che sono nate dalle stesse acque profonde. Persino dalle nostre lingue diverse condividiamo gli stessi sogni, ci innamoriamo delle stesse utopie e resistiamo in onore dello stesso amore. Da qui vi mandiamo tutta la forza necessaria ad affrontare questa nuova tappa, vi salutiamo con i nostri sentimenti rivoluzionari più genuini e vi abbracciamo con tutta la nostra solidarietà e tutto il nostro cameratismo.

Viva la fratellanza dei Popoli!

Viva l’Internazionalismo Rivoluzionario!

Donna Vita Libertà! Jin Jîyan Azadî

Coordinamento del Movimento delle Donne del Kurdistan 
Komalên Jinên Kurdistan (KJK)

lunedì 19 giugno 2017

Messico - Il Festival CompArte si farà

San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico, 8 luglio 2016

A tutt@ le/gli artisti che partecipano e assistono al CompARTE:

Alla Sexta nazionale e internazionale:

Sorelle e fratelli:

Vi mandiamo un saluto fraterno da parte di tutte le persone che formano il CIDECI-Unitierra.

Nell’ambito della celebrazione del Festival CompArte convocato da@ nostr@ compagn@ dell’EZLN, ed anche noi convint@ che “le arti sono una speranza per l’umanità…, (e) che è nei momenti più difficili, quando è più forte la delusione e l’impotenza, che le Arti sono le uniche in grado di celebrare l’umanità” (Comunicato EZLN, 6/07/2016), vogliamo comunicarvi che abbiamo proseguito nei preparativi per potere celebrare questa condivisione nei giorni dal 23 al 30 luglio. La nostra comunità del CIDECI-Unitierra tiene le sue porte aperte per ricevere tutte le persone, popoli e collettivi che hanno accolto nel loro cuore l’invito a venire in queste terre a condividere esperienze di arte, lotta e speranza.

Fin dal momento della convocazione al CompArte abbiamo sentito la gioia di apportare il nostro granello di sabbia affinché questo si celebrasse. Contate su tutta la nostra volontà e capacità di accogliervi nel miglior modo possibile. Vi aspettiamo.

Coraggio!

CIDECI-Unitierra

P.S. (1) Le/I partecipanti ed assistenti già registrati, potranno ritirare gli accrediti presso il CIDECI-Unitierra a partire dal 18 luglio dalle ore 10:00 AM alle ore 8:00 PM.

(2) Le/Gli assistenti ancora non iscritti, potranno registrarsi direttamente sempre presso il CIDECI-Unitierra, sempre dalle ore 10:00 AM alle ore 8:00 PM.




Traduzione “Maribel” – Bergamo

lunedì 12 giugno 2017

Messico - L’offensiva di sopra dinanzi al movimento dal basso

L’offensiva di sopra dinanzi al movimento dal basso

Noi del Congresso Nazionale Indigeno: popoli, nazioni, tribù e quartieri indigeni di questo paese, facciamo appello ai popoli del Messico indigeni e non indigeni, alle organizzazioni oneste dei diritti umani, ai mezzi di comunicazione, alla comunità scientifica e intellettuale, per ripudiare l’escalation repressiva contro compagni e compagne dei nostri popoli in cui si stanno nominando consiglieri che faranno parte del Consiglio Indigeno di Governo per il Messico, cosa che per noi rappresenta un’aggressione contro il CNI e contro la nostra proposta lanciata a tutta la nazione; ragione per cui denunciamo e segnaliamo che:

In Chiapas, cresce l’ostilità e la grave tensione che i malgoverni hanno generato nell’ejido Tila, a opera di cacicchi legati a gruppi paramilitari, nel loro intento di far ritornare il malgoverno nella comunità, come il leader paramilitare di Paz y Justicia Arturo Sánchez Sánchez e suo figlio Francisco Arturo Sánchez Martínez, che hanno sparato e, accompagnati da altre persone appartenenti alla loro organizzazione, hanno chiuso l’accesso al villaggio di Tila; recentemente, il giorno 5 giugno di quest’anno, hanno bloccato la strada che va da Tila a Salto de Agua all’altezza dell’ospedale integrale di Tila e dall’altra parte, sulla strada da Tila a Yajalon, anche bloccando i sentieri nei terreni dell’ejido con persone incappucciate e armate. L’escalation di aggressioni si è acutizzata a partire da una mobilitazione, realizzata da questo gruppo lo scorso 2 giugno nella città di Tuxtla Gutiérrez, guidata da appartenenti ai partiti e da paramilitari di Paz y Justicia.

Attribuiamo la responsabilità al malgoverno nei suoi tre livelli per ciò che potrà succedere, e chiamiamo alla solidarietà con i nostri fratelli e sorelle dell’ejido Tila.

Nello stesso stato, i ricchi pretendono di sottrarre nuovamente la terra degnamente recuperata dai nostri fratelli della comunità San Francisco, municipio di Teopisca, membri del gruppo di lavoro Semilla Digna, come nel caso dell’aggressione realizzata dai ricchi Juan Hernández Molina, Pedro López Girón e Pedro Hernández Espinoza. Lo scorso 4 giugno del presente anno si è presentato il signor Pedro López Girón, accompagnato da un gruppo di circa 50 persone che hanno distrutto violentemente la sbarra, il filo spinato e il recinto dei cavalli che delimita le terre recuperate il 19 settembre 2016. In quel giorno hanno minacciato le compagne di violarle sessualmente e hanno minacciato di sgomberare di notte accompagnati dalla forza pubblica. Condanniamo questi vili attacchi, esigiamo il pieno rispetto del territorio recuperato dai nostri fratelli di San Francisco e la cancellazione definitiva dei sei ordini di cattura esistenti contro nostri compagni.

sabato 3 giugno 2017

Messico - La tenuta recintata da muri

La disputa elettorale in Messico si svolge fra coloro che aspirano a diventare capataz, maggiordomi o caporali. Nessuno di loro sarà un padrone. Resteranno agli ordini dei padroni nazionali e transnazionali, che hanno trasformato ciò che continuiamo ancora a chiamare “Stato” in una società anonima nella quale i partiti rappresentano gruppi di azionisti, non la gente. Si riuniscono periodicamente per eleggere un consiglio di amministrazione al servizio di un padrone, del capitale, che ha un carattere sempre più transnazionale. Cosa possiamo fare di fronte a un capitalismo che sta trasformando il mondo nella sua tenuta circondata da muraglie? La domanda del subcomandante dell’Ezln Moisés nel seminario di riflessione critica, I muri del capitale, le crepe della sinistra ha illuminato molti aspetti di una realtà complessa, sempre più violenta e cinica
di Gustavo Esteva
I nostri modi di comprendere quello che avviene divengono rapidamente obsoleti, di fronte ad avvenimenti privi di precedenti che non rientrano nel quadro mentale dominante. Lo stesso avviene per le forme di lotta convenzionali, che diventano inefficaci o addirittura controproducenti. Al medesimo tempo, poiché si stanno scuotendo fino alle fondamenta le anchilosate strutture dominanti ed entrano in crisi credenze ben radicate, compaiono reazioni fondamentaliste pericolose. La confusione cresce.
Abbiamo bisogno di luci che ci permettano di vedere in questa oscurità. Quelle accese nel seminario di riflessione critica, I muri del capitale, le crepe della sinistra, convocato in aprile dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, illuminano molti aspetti della complessa realtà che abbiamo di fronte, sempre più violenta e cinica. Il 12 aprile il subcomandante insurgente Moisés ha spiegato come e perché il mondo capitalista è una tenuta recintata dai muri“. Ha raccontato quello che gli avevano detto le nonne e i nonni, i bisnonni e le bisnonne. In tempi come questi, è necessario guardare il passato per poter scrutare il futuro.
Le une e gli altri gli avevano ricordato com’era lavorare nelle tenute, svolgere il compito assegnato, subire le punizioni dei caporali, dei maggiordomi [funzionari di fiducia del proprietario, ndt], dei capataz. Come il padrone – il proprietario della tenuta – a volte si travestisse da soldato. E come la resistenza a tutto questo non andasse molto lontano quando si cercava di affidarsi a qualcuno che facesse il capo, per questo si dovette imparare a condurre la resistenza in modo collettivo.
Di tutto questo ha parlato il subcomandante Moisés, perché le zapatiste e gli zapatisti vedono “che oggi stiamo tornando di nuovo a questo. Nel capitalismo di oggi non esistono paesi. […] Si sta trasformando il mondo in una tenuta. Si farà il mondo a pezzi, d’altronde è già così […]. Ci sarà solo un gruppo di padroni-governo. […] Quello che comanda, non è più chi comanda. Quello che comanda è il padrone capitalista. Questi governi […] sono solo capataz. I maggiordomi: i governatori. I presidenti dei municipi sono i caporali. Tutto è al servizio del capitalismo”. 

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!