martedì 27 marzo 2018

Brasile - Perché hanno deciso di uccidere Marielle

La profonda indignazione popolare, in Brasile e nel mondo, ha impedito la manovra dei media nazionali volta puntualmente a far annegare l’esecuzione di Marielle Franco nel generico pantano dell’insicurezza. Alcuni giorni prima dell’assassinio della femminista, una sua consulente era stata avvicinata da un uomo che le aveva chiesto in tono minaccioso se lavorasse con la consigliera Franco, quella che aveva denunciato il comportamento del battaglione della Polizia Militare di Río de Janeiro nel quartiere di Acarí, considerato il più letale dello Stato. L’esecuzione di Marielle, così come la totale consegna degli enormi problemi della sicurezza della città Río de Janeiro nelle mani dei militari, è allo stesso tempo un laboratorio, che serve a misurare la reazione popolare alla repressione, e una minaccia per intimidire chi resiste alle nuove politiche

Foto tratta da Kaos en la Red

di Silvia Adoue*

I passi precedenti

A questo punto, in tutto il mondo si sa che Marielle Franco aveva 38 anni. Che era nera. Che era nata nella favela di Maré. Che era femminista. Che aveva una figlia adolescente e una moglie. Che si era laureata in sociologia. Che aveva terminato il suo master facendo una ricerca sulla politica di installazione nelle favelas delle Unità di Polizia Pacificatrice. Che per molti anni era stata consulente del deputato Marcelo Freixo, del Partito Socialismo e Libertà, colui che aveva indagato il modo di agire delle “milizie” che controllano e lucrano su quei territori e agiscono come sicari. Che, candidata per il medesimo partito, divenne la quinta consigliera più votata della città di Río de Janeiro con più di 46 mila voti, dei quali 16 mila erano del suo quartiere. Che tanto lei come Marcelo Freixo si occupavano specialmente della sicurezza pubblica, e della violenza della polizia.



Nella sua dissertazione del master, Marielle scrisse che le Unità di Polizia Pacificatrice, distaccamenti installati nei territori a partire dal 2008, ben lontane dal combattere la criminalità, rafforzano il modello di “Stato Penale”: “Il segno più emblematico di questo quadro è l’assedio militarista nelle favelas e il crescente processo di incarceramento, nel suo senso più ampio”. Per lei, quella politica:

“per il discorso della ‘insicurezza sociale’, applica una politica diretta alla repressione e al controllo dei poveri [… per] contenere gli insoddisfatti o ‘esclusi’ dal processo […] sempre più collocati nei ghetti delle città e nelle prigioni.”

Il mese passato, il governo federale è intervenuto militarmente nello stato di Río de Janeiro, nel settore della sicurezza pubblica, con la giustificazione di mettere fine al narcotraffico. L’argomento non sembrava convincente, giacché altri stati presentavano una maggiore incidenza di azioni di organizzazioni dedite a quella pratica. Il contesto è di bancarotta delle casse dello stato di Río, con impiegati pubblici che da mesi non ricevono il salario. Durante il carnevale, c’è stata una proliferazione di murghe di quartiere e di Scuole di Samba ufficiali che hanno criticato il governo, per la sua controriforma del lavoro, e i grandi mezzi di comunicazione poiché manipolano l’opinione pubblica. Il governo aveva bisogno di una “agenda” che gli permettesse di guadagnare tempo per approvare la controriforma della previdenza, regolata, come le altre controriforme, per tutti i paesi della nostra regione.

Ricordiamo il ruolo da protagonista che ebbe l’Esercito brasiliano nell’intervento militare ad Haiti, agendo nella repressione delle aree urbane. La rete di organizzazioni comunitarie dello stato temeva che, così come era avvenuto nel passato, invece di combattere il narcotraffico, l’intervento straripasse in maggiore truculenza contro la popolazione della periferia. Il governo annunciò di istituire ordini di perquisizione collettivi, che abbracciassero grandi aree delle favelas. Dovette retrocedere, la proposta non ha consistenza legale. Il comandante dell’Esercito, generale Eduardo Villas Bôas, giunse a dire che era necessario che i militari avessero una garanzia che in futuro non sorgesse una “nuova commissione della verità”, che indagasse il loro modo di agire durante questa azione a Río de Janeiro.

Durante le settimane che precedettero la sua esecuzione, Marielle, come era affettuosamente chiamata la consigliera, stava denunciando le pratiche del 41° Battaglione della Polizia Militare di Río de Janeiro nel quartiere di Acarí, considerato il più letale dello stato. Dopo l’assassinio, molti dirigenti comunitari di Acarí e di altri quartieri hanno dovuto cautelarsi, perché sono minacciati. A Río de Janeiro, solo nel primo trimestre del 2017, ci sono stati 577 casi di morte di civili in “atti di resistenza”, qualcosa come “scontri” creati, figura che è considerata un eufemismo per “esecuzioni”. È il crimine che è più cresciuto nello stato relativamente al primo semestre dell’anno precedente: 45%. Marielle era diventata anche relatrice della Commissione della Camera Municipale che sarebbe servita come osservatorio dell’intervento militare.



Alcuni giorni prima della sua esecuzione, una consulente della consigliera era stata avvicinata da un uomo che le chiese con tono minaccioso se lavorasse con Marielle Franco. La settimana precedente, un consigliere che aveva avuto il suo mandato annullato, poiché apparteneva alle “milizie”, entrò nella Camera Municipale senza autorizzazione né con un consistente motivo. E la notte di mercoledì scorso l’attuale marito dell’ex-moglie di questo consigliere fu giustiziato in un ristorante. Nessuno darebbe molta importanza a questi episodi se la medesima notte di mercoledì non avessero giustiziato Marielle.

La rotta delle munizioni

mercoledì 21 marzo 2018

Messico - Convocazione al Conversatorio (o semenzaio) "Sguardi, Ascolti e Parole: Proibito Pensare

CONVERSATORIO (o semenzaio): “Sguardi, Ascolti e Parole: Proibito Pensare?” 

Marzo 2018

Alle persone, gruppi, collettivi ed organizzazioni che, in tutto il mondo, hanno compreso e fatto propria l’iniziativa del Consiglio Indigeno di Governo e della sua portavoce:

Alla Sexta nazionale e internazionale:

A chi ha firmato per la portavoce del Consiglio Indigeno di Governo:

CONSIDERANDO CHE:

Primo ed unico:


La Famiglia Felice.

Un villaggio, o città, o come si chiami. Un luogo del mondo. Un muro. Incollato alla rugosa superficie del grande muro, un poster, cartellone, o una cosa così. Nell'immagine, un uomo e una donna sorridono ad una tavola traboccante di cibo. Accanto alla coppia, una bambina sorride; di lato, un bambino mostra la sua brillante dentatura. Su di essi, a lettere grandi e intimidatorie, si legge “LA FAMIGLIA FELICE”. Il cartellone è ormai vecchio, con la patina del tempo a spegnere i colori che, supponiamo, una volta fossero brillanti e, si potrebbe dire, felici. Mani anonime hanno aggiunto su dei foglietti di carta: “La famiglia felice è felice solo con la benedizione del divino”; “No alla famiglia omosessuale, a morte i froci e le lesbiche!”; “È la maternità a rendere felice la donna”; “Si stappano tubi. Preventivi senza impegno”; “Si affitta casa felice per famiglia felice. Astenersi famiglie infelici”.

Di fronte, sul marciapiede ai piedi del muro, la gente va e viene senza prestare attenzione all’immagine sbiadita. Ogni tanto, qualcuno sembra schiacciato da un pezzo caduto dal muro decrepito. Vero, questi crolli parziali si verificano con sempre più frequenza. Pezzi di muro si staccano e schiacciano a volte una sola persona o un piccolo gruppo, a volte comunità intere. La commozione tra la moltitudine dura solo pochi istanti, poi riprende la sua strada sotto lo sguardo pallido della famiglia felice.

Catastrofi grandi e piccole che non devono distrarci dall’essenziale: ad un certo intervallo di tempo, il supremo artefice di “famiglie felici” annuncia l’elezione, libera e democratica, del custode del poster. E proprio adesso, il felice calendario, di cui ora ti accorgi, che si vede dietro la famiglia felice segna che è tempo di scegliere. In queste date, un’attività febbrile percorre la folla che, senza fermarsi, pensa, discute e litiga sulle diverse opzioni offerte per custodire il gigantesco cartellone.

C’è chi segnala il pericolo che l’imperizia manifesta dei suoi rivali metta a rischio la malconcia immagine, simbolo di identità del villaggio, città, o cose così. Una persona si offre di rimodernarlo e restituirgli la lucentezza ed il colore di una volta (in realtà, nessuno ricorda quel tempo, quindi non si può nemmeno dire che una volta sia realmente esistito – certo, solo nell’indubbio caso che si possa attribuire esistenza al tempo -). Un altro dice che le amministrazioni precedenti hanno trascurato l’immagine e a questo si deve il suo visibile deterioramento.

Le diverse proposte infiammano le discussioni tra i passanti. Si incrociano accuse, calunnie, menzogne, argomenti con la solidità dell’effimero, condanne e sentenze apocalittiche. Si riflette sull’importanza e trascendenza del momento, sulla necessità della partecipazione cosciente. Non si è lottato tanti anni invano per poter scegliere chi custodisca la felice immagine della famiglia felice.

Si formano bande: là quella di chi insiste in un rinnovamento prudente; un’altra insiste nel postulato scientifico che “meglio il cattivo che si conosce, che il buono che non si conosce”; un’altra banda riunisce chi offre probità, buon gusto, modernità. Gli uni e gli altri gridano: “Non pensare! Vota!”. Uno striscione che ostacola l’andirivieni della gente, recita “Qualunque appello a ragionare sul voto, è un invito all’astensione. Non è il momento di pensare, ma di prendere partito”.

Le discussioni non sempre sono misurate. È così importante scegliere il responsabile dell’immagine, che non poche volte le bande arrivano alla violenza.

C’è chi parla di abbondante quantità di felicità per chi risulti vincitore, ma, lungi dagli interessi mondani, sui volti austeri dei contendenti si avverte la serietà della questione: è un dovere storico, il futuro è nelle mani titubanti di chi dovrà scegliere, è una grave responsabilità che pesa sulle spalle della gente; peso che, felicemente, sarà alleviato quando si saprà chi sarà il vincitore e procurerà felicità alla felice immagine della famiglia felice.

È tale la frenesia che tutti si dimenticano completamente dell’immagine ritratta. Ma la famiglia felice, nella solitudine del muro, indossa il suo perenne e inutile sorriso.

Ai piedi della lunga e alta parete, una bambina alza la mano chiedendo di parlare. Le bande non la vedono nemmeno, ma non manca qualcuno che dice: “poverina, è una bimba e vuole parlare, lasciamola parlare”. “No”, dice un’altra banda, “è un trucco della banda avversaria, è per dividere il voto, è una distrazione affinché non riflettiamo sulla gravità del momento, è un chiaro invito all’astensione”. La banda più in là, obietta: “Che capacità può avere una bambina di opinare sul cartellone? Le mancano studi, deve crescere, maturare”. E da quella parte: “non perdiamo tempo ad ascoltare una bambina, dobbiamo concentrarci sulla cosa importante: decidere chi è il migliore per custodire il cartellone”.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!