venerdì 18 maggio 2018

Messico - Falta lo que falta. C’è molto da fare ancora.


















  
Falta lo que falta. C’è molto da fare ancora. 

Aprile 2018.

Alle Reti di Appoggio al CIG ed a Marichuy:

A coloro che hanno partecipato alla Associazione Civile “Llegó la hora del florecimiento de los pueblos”:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Al popolo del Messico:

Ai media liberi, autonomi, alternativi, indipendenti:

Alla stampa nazionale e internazionale:

Di fronte all’acutizzarsi della guerra, la depredazione e la repressione che invadono le nostre comunità con l’avanzare del processo elettorale e secondo i passi percorsi per le geografie di questo paese dalla nostra portavoce Marichuy insieme ai consiglieri e consigliere, ci rivolgiamo rispettosamente al popolo del Messico per dire che:
Sentiamo il dolore di tutti i colori che siamo, noi il Messico del basso.

Col pretesto del periodo di raccolta delle firme, abbiamo percorso i territori indigeni del nostro paese dove insieme, abbiamo fatto crescere la nostra proposta politica dal basso, da dove si è resa visibile la lotta di molti popoli originari, i loro problemi e le loro proposte.
Con la nostra partecipazione in questo processo elettorale, ribadiamo ai popoli indigeni e non indigeni del Messico che non resteremo inermi mentre ci distruggono e ci strappano la terra che abbiamo ereditato dai nostri nonni e che la dobbiamo ai nostri nipoti, mentre inquinano i fiumi e perforano le montagne per estrarre minerali, non rimarremo fermi mentre convertono la pace e la vita che costruiamo quotidianamente, in guerra e morte attraverso i gruppi armati che proteggono i loro interessi. La nostra risposta, non abbiate dubbio, sarà la resistenza organizzata e la ribellione per sanare il paese.

Con la grande mobilitazione di migliaia e migliaia di compagne e compagni delle reti di appoggio in tutto il paese, abbiamo realizzato ed è diventato sfacciatamente evidente che per apparire sulla scheda elettorale si deve garantire che noi siamo uguali o peggiori di loro, che se presentiamo delle firme, queste devono essere false o non valide, se spendiamo denaro deve essere di oscura provenienza, se diciamo qualcosa deve essere una bugia, se concordiamo qualcosa di serio, deve essere coi politici corrotti, con le imprese estrattive, coi banchieri, coi cartelli della droga, ma mai, mai, col popolo del Messico.

Essere sulla scheda elettorale è solo per chi vuole amministrare il potere di sopra opprimendo quelli di sotto, perché il potere che vogliono è marcio in tutte le sue parti.

Quindi, è una contesa che si può vincere solo con trappole, denaro e potere, come la merce che sono le elezioni della classe politica nella quale non c’è né ci sarà mai posto per la parola di quelli di sotto, di quelli che essendo indigeni o che non sono parte di un popolo originario, disprezzano il potere e costruiscono la democrazia prendendo decisioni collettivamente, che poi si fanno governo per strada, in un quartiere, in una comunità, un ejido, un collettivo, una città o uno stato.

Il processo elettorale è una porcilaia in cui sguazza chi è riuscito a falsificare migliaia di firme e chi ha le migliaia di milioni di pesos che gli permettono di comprare il voto, mentre la maggior parte del popolo del Messico si dibatte tra povertà e miseria.

Per questo la nostra proposta non è uguale, per questo non facciamo campagna elettorale, per questo non falsifichiamo le firme, né cercare e spendere soldi che il popolo del Messico adopera per rispondere alle sue necessità vitali, per questo non ci preoccupiamo di vincere nessuna elezione né mischiarci con la classe politica, ma è il potere dal basso che perseguiamo, che nasce dalle sofferenze dei popoli e per questo cerchiamo il dolore di tutti i colori che siamo, noi il popolo del Messico, perché lì c’è la speranza che nasca un buon governo che comandi obbedendo e che solo potrà sorgere dalla dignità organizzata.

Non è solo il razzismo della struttura politica che non ha permesso che la nostra proposta figurasse sulla scheda elettorale, perché se chi si oppone alla distruzione capitalista del mondo avesse anche occhi diversi, azzurri o rossi, le politiche pubbliche e la presunta democrazia sarebbero fatte per escluderli. Noi, popoli originari e chi cammina in basso e a sinistra non stiamo al loro gioco; non per il nostro colore, la nostra razza, la nostra classe, la nostra età, la nostra cultura, il nostro genere, il nostro pensiero, il nostro cuore, bensì perché siamo una cosa sola con la madre terra e la nostra lotta è perché tutto non si trasformi in merce, perché sarebbe la distruzione di tutto, cominciando dalla nostra, di noi come popoli.

Per questo lottiamo, per questo ci organizziamo, per questo non solo non stiamo nella struttura dello stato capitalista, ma ogni giorno di più sentiamo ripugnanza per il potere di sopra che ogni giorno di più dimostra il profondo disprezzo contro tutte e tutti i messicani. La grave situazione in cui vivono i nostri popoli e che si è acutizzata gravemente nelle ultime settimane per la repressione e la depredazione, ha solo meritato il silenzio complice di tutti i candidati.

Di conseguenza, per accordo della seconda sessione di lavoro del Consiglio Indigeno di Governo, svoltasi i giorni 28 e 29 aprile a Città del Messico, né il CIG né la nostra portavoce cercheranno né accetteranno alcuna alleanza con nessun partito politico o candidato, né inviteranno a votare o ad astenersi, ma continueremo a cercare tutti quelli in basso per smontare il pestilente potere di sopra. Che andiate a votare o no, comunque organizzatevi.

Andremo avanti nella realizzazione delle chiavi per sanare il mondo.

Tra i popoli originari di questo paese, dove è presente il Consiglio Indigeno di Governo, e dove la nostra portavoce è passata tessendo, secondo il mandato dell’assemblea generale del CNI, ci sono le resistenze e le ribellioni che danno forma alla nostra proposta per tutta la nazione, per questo insieme a consiglieri e consigliere di ogni stato e regione abbiamo percorso le sue geografie, dove la guerra e l’invasione del mostro capitalista vive giorno per giorno. Dove la terra viene depredata affinché non sia più collettiva e resti nelle mani dei ricchi, affinché i territori siano occupati e distrutti dalle imprese minerarie, le sorgenti devastate per l’estrazione di idrocarburi, i fiumi inquinati, l’acqua privatizzata in dighe e acquedotti, il mare e l’aria privatizzati dai parchi eolici e dall’aviazione, i semi nativi contaminati dagli OGM e dalle sostanze chimiche tossiche, le culture rese folclore, i territori configurati per il funzionamento del narcotraffico transnazionale, l’organizzazione dal basso sottomessa dalla violenza terroristica dei gruppi narco paramilitari che sono al servizio dei malgoverni.

Abbiamo visto anche le strade che si illuminano nei mondi che conservano le proprie culture, quando in essi si scorge la proposta e la parola degli altri popoli indigeni, e dalla loro lotta e dalla loro lingua sorgono i fondamenti che sono la ragion d’essere del Consiglio Indigeno di Governo.

È lì dove splende la speranza che siamo usciti a cercare, come lo è anche la società civile organizzata nelle città con la Sesta, coi gruppi e le Reti di appoggio al CIG che non solo sono usciti a dimostrare la loro solidarietà e fare un’agenda in tutto il paese, ma sono usciti a costruire dal basso, dalle stesse rovine capitaliste, un paese migliore ed un mondo migliore. A tutt@ loro la nostra ammirazione e il nostro rispetto.

martedì 15 maggio 2018

Argentina - Il ritorno dei corsari della finanza



di Francesco Gesualdi*

Sentiamo spesso parlare di finanziarizzazione dell’economia senza capirne a fondo il significato. Ma ciò che sta attraversando l’Argentina è un tipico esempio di economia sacrificata sull’altare della finanza che dà ragione delle parole scritte da Papa Francesco nel libro curato da Zanzucchi: «Quando si verifica il crollo di una finanza staccata dall’economia reale, tanti pagano le conseguenze e tra i tanti soprattutto i poveri e quanti poveri diventano, mentre i ricchi in un modo o nell’altro spesso se la cavano.»

L’Argentina è tornata all’onore delle cronache perché la sua situazione economica  sembra averla  riportata al 2001 quando si trovò con un tale debito estero da dover dichiarare fallimento. Allora come oggi, i segnali erano un pesos in caduta libera, la crescita del debito pubblico, un’alta inflazione, un forte debito commerciale e finanziario verso l’estero. Per uscire dalla crisi, Nestor Kirchner, che rimase al potere dal 2003 al 2010, aveva puntato su una politica articolata che comprendeva la ristrutturazione del debito pubblico,  la limitazione del movimento dei capitali, una politica monetaria e creditizia che favorisse gli investimenti produttivi da parte dell’imprenditoria nazionale. E benché molti gli abbiano contestato di non avere fatto abbastanza per fare aumentare i salari e per ridurre la povertà, tutti gli riconoscono il merito di avere saputo condurre l’Argentina fuori dalla palude. 
Ma la corsa cominciò a frenare nel 2008, allorché la crisi mondiale impattò negativamente anche sull’Argentina che gradatamente tornò a confrontarsi con i suoi demoni storici: inflazione, debito pubblico e disavanzo estero. Per di più nel 2012 arrivò la tegola dei fondi avvoltoi che non riconoscendo la ristrutturazione effettuata nel 2001 pretendevano la restituzione piena del valore nominale dei titoli con l’aggiunta degli interessi e delle more. 

Una partita che è stata chiusa nel 2016 dal governo successivo con un esborso di 9 miliardi dollari a danno degli argentini.



Nel 2015, quando cessò l’era Kirchner, prima gestita dal marito, poi dalla moglie, l’Argentina non navigava in ottime acque, ma disponeva di meccanismi per evitare la totale disfatta sociale ed economica. Poi arrivò Mauricio Macrì, convinto sostenitore della teoria neoliberista secondo la quale il sereno torna da solo se si libera il mercato da tasse, lacci e lacciuoli. Detto fatto, per prima cosa tolse ogni meccanismo di difesa del pesos e lasciò che si attestasse sul valore deciso dal mercato tramite il libero incontro fra offerta e domanda. 

Era il dicembre 2015 e il pesos, in un solo giorno, si svalutò del 30 per cento per la gioia delle multinazionali dell’agroindustria e dell’industria estrattiva che essendo al tempo stessi produttori e acquirenti, hanno tutto l’interesse a fare uscire dal paese prodotti a basso prezzo che poi generano guadagni nelle fasi di rivendita successiva sotto forma di dollari riparabili nei paradisi fiscali. E per non lasciare le cose a metà, Macri tolse anche tutti i limiti alle esportazioni creando una situazione concorrenziale fra la domanda interna e quella internazionale che ebbe la peggio per la domanda interna. Il prezzo interno di soia e cereali crebbe addirittura del 150% mettendo in crisi non solo i consumatori finali, ma anche l’industria intermedia della carne. Contemporaneamente anche le importazioni vennero rimesse in totale libertà e nonostante la svalutazione del pesos, i manufatti stranieri invasero l’Argentina mettendo in crisi settori chiave del paese come l’industria tessile, meccanica e calzaturiera. La conclusione è stata che fra il 2016 e il 2017 le importazioni hanno superato di gran lunga le esportazioni generando un deficit commerciale verso l’estero per 14 miliardi di euro.

Ma le cose sono andate di male in peggio anche sul piano sociale e finanziario. Sul piano sociale il paese sta registrando una crescita della disoccupazione per licenziamenti non solo in ambito  privato, ma anche pubblico come conseguenza del dogma neoliberista che impone allo stato di ridurre la sua presenza in tutti gli ambiti, sia quello dei servizi che del sostegno sociale. E’ del dicembre 2017 una sforbiciata alle pensioni di anzianità e ai contributi a favore delle categorie svantaggiate con contemporanea soppressione delle integrazioni a luce, acqua e gas che hanno rappresentato una vera mazzata per i salari già bassi e taglieggiati da un inflazione che fra il 2016 e il 2017 è stata del 65 per cento.



La giustificazione del governo è che deve risparmiare per riportare i conti pubblici in pareggio considerato che nel 2016 ha registrato un deficit di 32 miliardi di dollari, 6,3 per cento del Pil. Un male non casuale considerato il minor gettito fiscale dovuto ai tagli di imposta sulle esportazioni e sui redditi più alti e il maggior esborso per interessi su un debito pubblico che sta crescendo, non per finanziare servizi e opere pubbliche a vantaggio della collettività, ma per ripristinare riserve in dollari che si stanno prosciugando a causa della possibilità data alle classi agiate di accumulare dollari all’estero. Un film già visto al tempo della giunta militare.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!