Comunicato per in occasione del 40° anniversario dalla fondazione del PKK
Nel
40° anniversario dalla sua fondazione, il Partito dei Lavoratori del
Kurdistan – PKK è tornato all’attenzione dei media per via della
decisione degli USA di mettere una taglia su tre dirigenti e
co-fondatori del Partito.
Assai
meno attenzione ha ricevuto la sentenza della Corte di Giustizia
Europea di Lussemburgo che ha stabilito che il PKK negli anni dal 2014
al 2017 è stato inserito illeggittimamente nella lista UE delle
organizzazioni terroristiche.
È
ora che venga riconosciuto ufficialmente che è immotivata e arbitraria
la persecuzione di chi ha combattuto per la liberazione del proprio
popolo, la difesa della sua cultura e della sua lingua, per la sua
stessa sopravvivenza, come è avvenuto quando nel 2014 le forze della
guerriglia del PKK, insieme alle unità siriane delle YPG e YPJ, a
Shengal hanno sconfitto ISIS e salvato la popolazione ezida da un
genocidio.
Non è ammissibile perseverare nella criminalizzazione di un’organizzazione che i veri terroristi li ha combattuti e sconfitti.
Negli
ultimi 40 anni, le idee del PKK e del suo Presidente Abdullah Öcalan
hanno saputo trasformare il quadro politico del Kurdistan e del Medio
Oriente.
In
particolare dalla storica resistenza di Kobane e di Afrin nel nord
della Siria contro IS e altre bande di tagliagole islamisti, per un
numero sempre maggiore di persone in tutto il mondo il progetto di
democrazia di base, fondato sulla liberazione delle donne, l’ecologia e
la convivenza pacifica tra i popoli nel reciproco rispetto è diventato
fonte di ispirazione.
Invito alle celebrazioni del 25°Anniversario dell’Insurrezione Zapatista e ad un Incontro di Reti
ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO
17 novembre 2018
Alle/agli individui, gruppi, collettivi, e organizzazioni delle Reti di Appoggio al CIG: Alle reti di Resistenza e Ribellione o come si chiamano: Alla Sexta nazionale e internazionale:
Considerando che: È l’alba. Considerando che: Fa Freddo. Considerando che: In quello spazio di tempo, dove non è né giorno né notte, né dentro
né fuori, né ombra né luce, ti scopri senza sogno, in quella spiacevole
veglia che ti rende vulnerabile ai ricordi, alla memoria pungente di ciò
che è stato fatto e ciò che non è stato fatto, al lungo resoconto delle
mancanze, e a quello breve di quanto realizzato. Considerando che: Vi chiederete, certo non senza ragione, perché tutto questo… Perché state ancora cercando di assimilare quel “Tutto è impossibile il giorno prima”
che sentite e leggete in quello snervante nano-mini-micro
cortometraggio autoproclamato “cinema da leggere”. Un film (?) rimasto
per 30 anni in scatola (letteralmente: in una scatola di sardine) e
presentato al cinema impossibile, firmato da uno scarafaggio altrettanto
sconcertante con arie da cavaliere errante, il cui titolo (del film)
(?): “La 69a legge della dialettica” non è neanche molto razionale. Un
film senza immagine o suono e composto da una singola frase. Scaricando
tutto il peso sull'immaginazione di chi assiste alla proiezione? Insomma, qui tutto sembra assurdo… ma dove diavolo è qui? Ma non hai molto tempo per orientarti, perché ti mettono fretta: “Andiamo, dai” dice la bambina. Tu pensi che ormai ci si possa aspettare qualunque cosa… ma alla fine
esci dall’assurda sala di questo cinema impossibile, sempre tenendo la
mano della bambina. Anche se adesso ti circonda una banda di bambini in
cui, ovviamente, la maggior parte sono femmine, con le loro gonne e
camicie colorate ed i loro inutili ferma capelli, in quei capelli così
ribelli. Cominciate a camminare risalendo il pendio naturale della montagna. Sassi, un po’ di fango, nebbia, la strada, sempre la strada. Ora intuisci che, dai piedi del muro macchiato da manifesti e
graffiti logori, hai percorso una sorta di spirale. Come se il percorso
tracciato ti portasse dentro una chiocciola… o fuori. Ogni passo una
stazione. La stessa falsa felicità della felice famiglia felice, quella
della simulazione del Gran Finale, della provocazione dello schermo come
ponte impossibile. E il muro onnipresente, indistruttibile, indiscutibile, che insiste
che è vietato pensare. Che tutto è già fatto. Che non ti resta altro che
sistemarti come puoi in qualche modo. Che l’eternità è questo, eterna.
Il presente cambia, ma la sua logica frivola e superficiale resta. Altro
è impossibile. Ma non solo, è impossibile per te pensare, immaginare,
sognare che non sia impossibile altrimenti. Camminate. E tu ricordi: La ragazza ha chiesto se i film che nessuno guarda piangono, che non è
altro che un modo di interrogarsi sui dolori e le rabbie ignorate –
visto che il muro impone cecità e sordità nei confronti dell’altro. A
chi verrebbe in mente di chiederlo? Sì, questo ed altre cose. Ad
esempio, mettere in discussione l’esistenza del muro. Il muro. Lo guardi
attentamente. Fino a dove arriva la tua vista, o la tua lunga vista.
Così grande che non vale neanche la pena misurarlo, – per cosa? -. La
sua solida costruzione. Il suo aspetto impeccabile… beh, non poi così
tanto… Prendendo una po’ di distanza, il muro si riempie di graffiti e di
crepe. Il più delle volte senza che si possano distinguere gli uni dalle
altre. Come se la solidità del muro dipendesse dalla vista corta.
Perché per essere in grado di leggere quella magnifica scritta che
ferisce la ruvida facciata, bisogna allontanarsi un po’. “Anche se la strada sarà lunga… andremo avanti“, dice la
bambina che legge la scritta sul muro che non dice nulla, muto,
rassegnato al fatto che i prossimi amministratori manderanno squadre di
lavoratori contro quel graffito per cancellarlo, coprirlo, silenziarlo,
sterminarlo. “Non l’avevo visto“, ti scusi. “Certo, non ancora“, risponde la bambina, ed aggiunge: “ma andremo avanti“. “Quanta distanza ci vuole per vederlo?” Credi di averlo solo pensato, ma la bambina risponde: “Lontano“. “Ma quanto?” Insisti. “Più di 500 anni“, dice la bambina sorridendo con malizia. E senza volerlo, un rap ritma i passi di quella banda di bambini che l’accompagna:
Siamo venuti da così lontano
In tutti i sensi, così lontano
In silenzio portiamo una forza
Così lontano, ognuno porta il peso del proprio cammino.
Cantando la luce tra le rovine di un mondo bruciato. (*)
Questo suono viene da dentro o da fuori? È questa la colonna sonora di questo suo viaggio anacronistico, assurdo, irrimediabile?
-*-
Ora tu, un po’ per la vergogna e un bel po’ per curiosità, fai più attenzione a quei graffiti. Uno lì, si vede che è di recente fattura, indica, con lettere compatte e frettolose: “Lezioni elementari di Economia Politica: Uno.- Il capitale non sa leggere, non frequenta i social network,
la stampa, i sondaggi, i voti, le consultazioni, i video, i programmi
governativi, le buone o cattive intenzioni, le lezioni di morale, le
leggi, la ragione. Il capitale sa solo sommare, sottrarre, moltiplicare,
dividere, calcolare percentuali, tassi di interesse, probabilità. Due.- Il capitale si occupa solo del profitto, il più grande e il
più veloce possibile. Come i predatori, il capitale ha un buon olfatto
per il sangue e la distruzione, perché significano soldi, molti soldi.
La guerra è un business, il migliore. Tre.- Il capitale ha i suoi giudici, poliziotti ed esecutori. Nel mondo del muro questi inquisitori si chiamano “mercati”. Quattro.- I mercati sono i segugi del grande cacciatore: il
capitale. Nel mondo del muro, il capitale è dio e i mercati i suoi
apostoli. I suoi fedeli sono la polizia, gli eserciti, le prigioni, le
fosse comuni, il limbo delle sparizioni forzate. Cinque.- Il capitale non è domabile o educabile, non si può riformare né sottomettere. Bisogna ubbidirgli… o distruggerlo. Sei.- Ergo, ciò di cui questo mondo ha bisogno sono eretici,
streghe, maghi, stregoni. Con il pesante fardello del loro peccato
originale, la ribellione, il muro sarà distrutto. Sette.- Anche così, resterà in sospeso quanto segue: se, come
successore, si innalzerà un altro muro; o se, al suo posto, si apriranno
porte e finestre, che sono i ponti di cui il mondo ha bisogno e che
merita”. Continuano i graffiti, le crepe, e questa continuità sale e scende
dalle colline, dalle valli, dai ruscelli. La chiocciola si ritrae verso
il suo centro. Villaggi, piccoli, ancora più piccoli, qualche casa si
affacciano sulla strada. Un segnale avverte: “Sei in territorio zapatista. Qui il popolo governa e il governo obbedisce”. E ti chiedi: Cosa mantiene in vita queste persone se hanno avuto ed hanno tutto
contro? Non sono forse gli eterni perdenti, quelli che giacciono mentre
altri glorificano i propri governi, i musei, le statue, i “trionfi
storici”? Non sono le vittime di tutte le catastrofi, la carne da
macello di tutte le rivoluzioni fatte per “salvarli” da loro stessi? Gli
stranieri nella terra che li ha visti nascere? Oggetto di scherno,
disprezzo, elemosina, carità, programmi governativi, progetti
“sostenibili”, linee guida, proclami e programmi rivoluzionari? Non sono
gli incorreggibili analfabeti da educare, dirigere, ordinare,
comandare, soggiogare, sottomettere, dominare, c-i-v-i-l-i-z-z-a-r-e? Perché non obbediscono quando gli si dice cosa dire e come dirlo;
cosa devono guardare e come; cosa dovrebbero pensare o non pensare; cosa
dovrebbero essere e smettere di essere? E perché non abbassano lo sguardo di fronte a tutte queste minacce –
quelle che gli promettono l’annientamento o la salvezza, che sono la
stessa cosa? E perché sorridono? E perché a te danno, come guida, un gruppo di bambini indigeni? E dove ti portano adesso, dopo questo tortuoso viaggio lungo il muro?
Ti portano a quello che ha reso possibile queste risate infantili, e
cioè queste vite? Qualche scritta risponde: “Guarda cosa sono le
cose, per essere visti, ci siamo coperti il volto; per essere nominati,
ci siamo tolti il nome; abbiamo scommesso sul presente per avere un
futuro; e per vivere… siamo morti”. Cosa costruiscono qui? Dove è l’ansia, l’angoscia, la sconfitta, l’amarezza di sapersi inferiori? Perché questa ossessione per la terra, difenderla, curarla, preservarla? E perché le danze, il trambusto, la musica, i colori, il via vai di
sguardi, questo impegno nel campo della scienza e delle arti, questi
modi o non modi? Non vi rendete conto che avete perso? Aspetta, perso? Chi? Non queste persone, chiaramente. “Andiamo avanti” ratifica il graffito che la realtà incide sulla parete.
– * –
Ed eccoti qui, con un piede in una realtà e l’altro in un’altra, –
quella che si solleva nelle montagne del sud-est messicano con
l’inquietante bandiera della libertà -. Quella che costruiscono queste persone così piccole, così normali, così gente, come ogni altro, altra, altroa. Così senza prezzo e così inestimabili. “Comunità zapatiste”, si chiamano, si autodefiniscono, si conoscono. E poi, senza nemmeno rendertene conto, sei di fronte ad una insegna che sembra vecchia, o nuova, o senza tempo:
Benvenuti a La Realidad
-*-
Considerando quanto sopra esposto (cioè in questi ultimi 25 anni), si
invitano la Sexta Nazionale e Internazionale, il Congresso Nazionale
Indigeno, Il Consiglio Indigeno di Governo, chi ha appoggiato, appoggia e
appoggerà il CNI e il CIG a: Uno.- Un incontro di Reti per la Resistenza e Ribellione, di appoggio
al CIG, o come si chiamano. Da tenersi al Centro “Impronte della
Memoria. Subcomandante Insurgente Pedro cumplió”, (in terra
recuperata nelle vicinanza della comunità di Guadalupe Tepeyac, MAREZ
San Pedro de Michoacán) dal 26 al 30 dicembre di questo 2018. Con il
seguente programma
Risultato della consulta interna nata dall’incontro del mese di agosto 2018.
Analisi e valutazione della situazione attuale nel mondo.
Cosa seguirà?
Arrivo e registrazione: 26 dicembre 2018 Tavoli di analisi e discussione: 27, 28 e 29 dicembre 2018 Chiusura: 30 dicembre 2018 L’indirizzo mail per registrarsi e partecipare è:
Due.- La celebrazione del 25°anniversario dell’inizio della guerra
contro l’oblio: 31 dicembre 2018 e 1° gennaio 2019 a La Realidad
zapatista, sede del caracol “Madre de los caracoles del mar de nuestro sueños”, zona Selva Fronteriza. La mail per registrarsi come partecipante alla celebrazione del 25°anniversario dell’insurrezione zapatista è:
Una maratona
con ottanta film tra cortometraggi, lungometraggi, fiction, documentari,
cinema sperimentale ma anche tante chiacchierate e una grande festa
finale: quattromila tra donne, uomini e bambini hanno partecipato a modo
loro per una settimana al primo festival promosso dalle comunità
indigene zapatiste in Messico. La loro straordinaria lotta senza
prendere il potere e la loro ostinata voglia di costruire ogni giorno un
mondo che contenga tanti mondi hanno messo sottosopra l’idea
tradizionale di cinema e quella di festival: l’arte, come dimostrano gli
zapatisti, può essere un’alternativa al tempo di morte che viviamo,
occasione per ripensare il mondo con uno sguardo e un pensiero critico,
spazio per immaginare e creare altri mondi possibili. Cronaca di un
festival necessario e impossibile
Sono passati più di trentacinque anni da quando, come si racconta, un
gruppetto di sei persone fece un viaggio verso il sud est del Messico
ed arrivò in Chiapas. Erano partiti con una idea, comune a tanti in
quegli anni, di fare una rivoluzione. Avevano vicino ma non solo
geograficamente, la Cuba di Fidel e il Nicaragua Sandinista, il Fronte
di Liberazione Nazionale Farabundo Marti di El Salvador e la storica
guerriglia guatemalteca, avevano la prospettiva immaginata dai cento
fuochi di guerriglia, sparsi per l’America Latina, di Ernesto Che
Guevara. Nella Selva Lacandona entrarono in contatto con le comunità
indigene, con le loro pratiche e la loro cultura: gli ci vollero dieci
anni per cambiare la loro idea di rivoluzione ed arrivare a lottare per non prendere il potere, pensare di costruire un mondo che contenga altri mondi, e adesso dopo quasi venticinque anni dal levantamiento del primo gennaio del 1994per la prima volta nei Caracol è stato organizzato un festival del cinema;
la cosa non era per niente scontata né tanto meno usuale e rimanda alla
modernità di un pensiero che ha le sue radici profonde nell’incontro
con gli indigeni di tantissimi anni fa:
“Abbiamo realmente subito un processo di rieducazione, o
di rinnovamento. Come se ci avessero disarmato. Come se avessero
smantellato tutto ciò di cui noi eravamo fatti – marxismo, leninismo,
socialismo, cultura urbana, poesia, letteratura – tutto ciò che era
parte di noi e cose che non sapevamo neppure di avere. Ci hanno
disarmato e riarmato, ma in modo diverso”.
La cronaca di questi otto giorni ci racconta di un festival del
cinema senza red carpet, né party esclusivi e “paparazzi” a caccia di
star e divi; più che glamour ci sono state emozioni che si sono
concentrate davanti agli schermi all’interno del grande auditorio con il tetto di lamiera, dedicato alla Comandanta Ramona, e costruito apposta per questo festival chiamato Puy Ta Cuxlejaltic (Caracol della nostra vita, tradotto dallo tzotzil). Fin dal giorno dell’inaugurazione più che un festival questo evento
culturale nel Caracol di Oventic – Zona Altos de Chiapas – è parso una
maratona con i film e i documentari proposti senza soluzione di
continuità, alternati a presentazioni, chiacchierate o ringraziamenti ai
registi. Il noto, anche qui in Italia, regista Alfonso Cuarón, fresco vincitore del Leone di Venezia con il film Roma
e sicuro aspirante agli Oscar, insieme alla sua equipe ha messo a
disposizione, per una prima assoluta nazionale (il film non è ancora
nelle sale messicane) del suo lavoro, parte delle attrezzature super
professionali necessarie alle proiezioni, mentre le “poltrone”, dove si sono accomodati in questi giorni oltrequattromila zapatisti di
tutte le età, erano di duro legno – anche abbastanza scomode – ma che
non hanno impedito momenti di commozione, di sonore risate davanti a
qualche scena divertente e lacrime senza finzione durante i passaggi più
tristi delle proiezioni, come successo per due ragazze prese da un
pianto ininterrotto durante una scena di “Roma”.
Ma gli uomini, donne e bambini con passamontagna e paliacates rossi
riempiono anche la Multisala Emiliano Zapata – pavimento di terra
battuta, capace di accogliere altre due mila persone – e chiamato anche,
solennemente, Cine 3D per il fatto che dentro ci sono tre schermi. Ma non solo sale al chiuso,
nel Caracol di Oventic dove le giornate di sole cocente si alternano a
giorni di fitta nebbia, non poteva mancare un cinema all’aperto, un
drive-in senza auto, il Pie-Cinema Maya, accanto al campo di basket.
non è
un'esagerazione, non è una bugia quello che ti dico. Ti dico solo
le verità scomode, di
una società, che con noi, è ipocrita.
La rapper femminista Mare
Advertencia Lirika di origine zapoteca,
nata a Oaxaca, in Messico, è nota per essere stata una pioniera nel suo genere
in Messico per aver scritto canzoni con testi sovversivi sulla disuguaglianza
sociale e la violenza contro le donne.
Il suo primo approccio al
rap fu attraverso la poesia, che era uno strumento di protesta usato dal
movimento degli insegnanti di Oaxaca. Nel
2003, a dispetto del contesto culturale della sua città natale, decise di
registrare il suo primo album hip hop. "Vengo da un luogo in cui la musica, o la
tradizione, è elitaria perché solo alcune icone folcloristiche si consolidano",
dice Mare.
Quando parliamo di hip hop parliamo di un'intera cultura, che
riguarda non solo la musica, ma anche la conoscenza della nostra storia. L'industria
musicale ha tolto alla cultura hip pop la parte politica, dove fin dall’inizio c'erano
le donne, dove c'erano storie di resistenza fin dall'inizio, dove c'erano cose
dissenzienti che venivano ascoltate ma l'industria ha preso il sopravvento ed
ha convertito tutto in
prodotti.
Mare è conosciuta a livello
internazionale per i suoi testi sovversivi e l’impegno femminista. "Impegnarti
nell'arte, impegnarti con una posizione politica facendo arte, diventa anche scomodo",
afferma Mare.
“Vengo da un contesto
in cui il movimento sociale ha una storia intera in cui si riconosce la
resistenza dei popoli e il recupero dell'identità e tutto quello che si sta
facendo contro le transnazionali, però questi temi non vengono trattati”.
Nel
2014 Mare si dichiarò femminista, ammette che non è stato un processo facile, però
di fronte ai casi di femminicidio, sequestro di persona, stupro, le leggi
contro l'aborto e gli altri fatti di violenza verso le donne, ha cominciato a domandarsi
su cosa stava accadendo nell'ambito personale, trovando una relazione diretta
con il sociale, decise allora di usare la parola come strumento per denunciare
tutti questi fatti. Racconta
che attraverso la musica ha potuto decostruirsi come persona, recuperare la
parola e, quindi, scrivere la storia da un'altra prospettiva.
Afferma che il femminismo è un
privilegio per alcune donne, tuttavia, per altre è diventato una necessità,
quindi, "lo chiediamo come un
diritto". Una domanda che viene posta costantemente a Mare è: perché
il rap? Se è una scena misogina che
parla e perpetua comportamenti machisti? A cui Mare risponde: "Mi piace sempre mettere in
discussione, e quale parte della cultura non lo è?"
Mare Advertencia Lirika fa
parte della rete di donne che, attraverso le loro pratiche culturali,
denunciano vari problemi sociali, politici e culturali. Ha collaborato con
Krudas Cubensi, Alika, Cihuatl Ce, Guerrilla Queens, La Torita, Lucia Vargas,
Karen Pastrana, Mujeres del Viento Florido, Hechi MC, Dynamite, tra gli altri.
“Non stiamo inventando qualcosa di nuovo, ma stiamo solo
reinventando e costruendo ciò che già esisteva, ma stiamo anche cercando la
maniera per appropriarsi, ricostruire e trovare nuovi spazi, a partire da
quelli che già esistono, per la nostra stessa esistenza. Quindi penso che
questo sia il punto in cui si combina, o tiene significato, dichiararsi
femminista e fare rap”.
di: Karen Navarrete - tratto da Somoselmedio Traduzione Cooperazione Rebelde Napoli originale https://www.somoselmedio.com/2018/11/06/mare-advertencia-lirika-mujer-zapoteca-feminista-subversiva-y-rapera/
Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.