giovedì 30 giugno 2022

Kurdistan - "Svezia e Finlandia ci hanno traditi in cambio della Nato"

Intervista a Yilmaz Orkan (UIKI-ONLUS): “Il memorandum tra Turchia, Svezia e Finlandia è stato firmato sulla pelle di migliaia di attivisti, avvocati, giornalisti e cittadini curdi. Che verranno consegnati al loro massacratore, Erdogan”.


“Non abbiamo amici, solo le montagne”. Recita così un antico proverbio curdo, sintetizzando in poche parole una lunga storia fatta di delusioni, massacri e tradimenti. Come quello di Svezia e Finlandia, Paesi finora “amici” dei curdi che due giorni fa hanno firmato un memorandum trilaterale che – in cambio del via libera della Turchia al loro ingresso nella Nato – accetta incondizionatamente le richieste di Erdogan, non propriamente un leader democratico.

Tra le altre, l’abbandono del sostegno – in ogni sua forma – al popolo curdo e la fine dell’embargo sulle armi imposto nel 2019 da Stoccolma e Helsinki in risposta all’offensiva proprio contro i curdi in Siria del Nord. Tradotto: Svezia e Finlandia dovranno consegnare alla Turchia tutti i rifugiati politici curdi che Ankara richiederà e accettare senza battere ciglio i bombardamenti turchi nel Rojava, la regione autonoma de facto nel nord e nord-est della Siria protagonista da anni di un esperimento unico in Medio Oriente, quello del confederalismo democratico.

Sono bastate tre pagine e dieci punti per cancellare la solidarietà che da decenni i governi e i popoli svedese e finlandese avevano garantito ai curdi. Fanpage.it ne ha parlato con Yilmaz Orkan, responsabile di UIKI-ONLUS (Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia).

Cosa pensate dell’accordo tra Svezia, Finlandia e Turchia?

L’accordo che Finlandia e Svezia hanno firmato con la Turchia ha dell’incredibile: Ankara ha scritto un documento che Stoccolma e Helsinki si sono limitate a firmare senza fiatare né apportare modifiche. Peccato che quel memorandum sia stato firmato sulla pelle di migliaia di attivisti, avvocati, giornalisti e cittadini curdi.

Perché dite che quell’accordo è stato firmato sulla vostra pelle?

Perché Erdogan è un dittatore che pratica già il massacro dei curdi. Quegli accordi però sono estremamente problematici anche per le democrazie occidentali e per la stessa Nato: quando l’Alleanza negli anni ’50 venne costituita l’idea di fondo era quella di difendere le democrazie liberali dalla minaccia dell’Unione Sovietica. Nel frattempo i tempi sono cambiati, l’URSS non esiste più e con l’ultimo memorandum di due giorni fa la Nato si trasforma in uno strumento nelle mani della Turchia, cioè nel bastone che il tiranno Erdogan potrà utilizzare a piacimento contro i popoli. Attenzione, vi ricordo che anche il Presidente del Consiglio Draghi in passato ha parlato di quello turco come di un regime dittatoriale.

Credete che la Nato parteciperà alla guerra contro i curdi?

Erdogan vuole il massacro dei curdi ovunque essi si trovino, dalla Turchia al nord della Siria, dall’Iraq all’Armenia. Ovunque. Ricordo che nel 2013 tre militanti curde del PKK sono state assassinate nel centro da Parigi da uomini dei servizi segreti turchi. Le autorità francesi sanno chi sono i killer, eppure nessuno hanno mai indagato per quel triplice omicidio. Ma torniamo a noi. Lo scopo del leader turco è fare sì che la Nato condivida questa strategia, altrimenti non avrebbe posto a Finlandia e Svezia condizioni così vincolanti. Il memorandum firmato due giorni fa costituisce un precedente molto pericoloso. In futuro i Paesi della Nato potranno avvalersi della potenza militare dell’Alleanza per dichiarare guerra ad altri popoli che, come noi, lottano per la loro libertà.

Perché molti curdi si erano rifugiati in Svezia e Finlandia?

È una lunga storia. Da decenni i Paesi scandinavi e i loro avanzati sistemi democratici garantiscono protezione ai rifugiati politici di tutto il mondo. Questo è valso per le persone in fuga dalle guerre civili in America Latina, Vietnam e in particolare per noi curdi, che dagli anni ’70 abbiamo trovato in questi Paesi dei luoghi sicuri in cui vivere rispettandone le leggi e le tradizioni. Oggi in Svezia esiste una comunità curda di oltre 200mila persone, 50mila delle quali arrivate dal nord della Siria negli ultimi anni a causa della guerra. Siamo una delle comunità più numerose di quel Paese tanto che oggi esprimiamo anche dei membri in Parlamento. Non comprendiamo come mai i governi di Stoccolma e Helsinki abbiano deciso improvvisamente di bollare i curdi come “terroristi” e rispedire nelle mani di un dittatore, Erdogan, molti rifugiati politici, giornalisti, avvocati, attivisti: è un fatto estremamente preoccupante.

Nel memorandum firmato dalla Svezia e dalla Finlandia la Turchia chiede, in cambio dell’ingresso nella Nato, che questi due Paesi non accolgano rifugiati delle YPG e YPJ.

Sì, e le YPG e YPJ (Unità di Protezione Popolare e Unità di Protezione delle Donne, ndr) hanno combattuto la guerra all’Isis. Sono state loro, al prezzo di 12mila martiri, a sconfiggere lo Stato Islamico a Raqqa, Kobane e altre città della Siria. Ci meraviglia non solo che Svezia e dalla Finlandia abbiano deciso che quei combattenti sono terroristi, ma che anche altri membri della Nato non abbiano avuto niente da dire al riguardo. Italia, Stati Uniti, Germania, Francia e Inghilterra non avrebbero mai dovuto accettare l’imposizione da parte della Turchia di una condizione del genere. Ma se tutti sono rimasti in silenzio, vuol dire che sono tutti d’accordo con Erdogan.

Cosa sta accadendo in questi mesi in Turchia?

Il consenso di Erdogan si sta sgretolando perché la situazione politica ed economica è disastrosa: un anno fa un chilo di zucchero costava 7 lire, oggi ne servono 30. Il rischio che nei prossimi mesi esploda una bomba sociale è alto, e il Governo usa la guerra ai curdi e la retorica dell’emergenza come strumenti per giustificare le difficoltà che i cittadini vivono: Erdogan bombarda il Kurdistan meridionale, minaccia il Rojava e spedisce jihadisti e mercenari turchi in Libia. È perennemente in guerra, la Turchia è costantemente in stato di crisi, un vero inferno.

Credete che Erdogan intensificherà gli attacchi ai territori curdi?

Sì. Lo farà. Nell’ottobre del 2023 si celebrerà il centesimo anniversario della Repubblica di Turchia e quell’anno scadranno anche i vincoli imposti dal Trattato di Losanna, che determinò nel 1923 la fine di ogni pretesa turca su Cipro, Iraq e Siria per 100 anni. Ora che Siria e Iraq sono Paesi distrutti e incapaci di difendersi, credete che Erdogan non tenterà di prendere il controllo di pezzi di quei territori? Lo sta già facendo: per questo attacca il Kurdistan meridionale, ha 38 basi militari in Iraq e vuole espandersi nel Rojava, anch’esso controllato dai curdi.

Il Rojava è il territorio in cui state sviluppando il modello del confederalismo democratico. Di cosa si tratta?

Un nuovo paradigma sviluppato dal leader del PKK Abdullah Öcalan. Nel XX secolo le lotte per l’autodeterminazione dei popoli si sono fuse con quelle per l’ottenimento di uno stato nazione: dopo aver analizzato la storia degli ultimi 100 anni abbiamo però compreso che i valori legati al nazionalismo, e i massacri che ne sono derivati ovunque, nel XXI secolo sono inaccettabili. Per questo abbiamo lavorato a un nuovo progetto che chiamiamo confederalismo democratico: vogliamo convivere con gli altri popoli, con tutte le religioni e le culture ma non chiediamo uno stato nazione, non vogliamo frontiere né confini. Nel nostro modello i cittadini autogestiscono le città, i villaggi e i quartieri.

Sembra un’utopia…

Eppure non lo è. Stiamo già mettendo in pratica questo paradigma in Rojava, nel nord della Siria: in questo territorio i curdi convivono con assiri, arabi, ceceni, armeni, combattono contro il patriarcato e si ispirano ai principi della solidarietà, dell’ecologismo, dell’economia sostenibile e dell’uguaglianza di genere. Si tratta di un modello molto forte, di una novità soprattutto per gli altri regimi del Medio Oriente. Quello di Ergogan è uno di essi: massacrando i curdi, vuole distruggere anche l’idea che esista un altro modo di convivere. Ed è grave che la Nato lo supporti.

A cura di Davide Falcioni per Fanpage

giovedì 21 aprile 2022

Kurdistan - Siria del Nord Est, una guerra mai finita.

Il Confederalismo democratico, però, resiste!


La situazione che si profila nel Nord Est della Siria (NES) è un quadro complesso. Gli eventi che si sono succeduti dal 2011 in poi, hanno distrutto molto del patrimonio culturale ed etnico della Siria.

Parlando del NES-Nord est della Siria (più conosciuta come Rojava) non si può fare a meno di parlare di due fazioni interconnesse tra loro, che agiscono tuttora sul territorio dell’Amministrazione Autonoma, una è l’ISIS (Daesh) e l’altra la Turchia, guidata dal dittatore Recep Tayyip Erdogan.

Il conflitto in Siria è una delle guerre più lunghe mai esistite nella storia di questo secolo. Nel 2013, in seguito alla Guerra Civile Siriana, si fa strada all’interno del paese l’organizzazione dello Stato Islamico (Daesh) che, conquistando gran parte della Siria del Nord, fece diventare la città di Raqqa la sanguinosa capitale dei fondamentalisti. I civili, e in particolare le donne, furono coloro che più patirono le tremende pene inflitte dai miliziani di Daesh.

    

In Siria del Nord Est, nell'ombra di questi tragici scenari, nasceva un piccolo fiore della democrazia, basato sul paradigma del Confederalismo Democratico, il quale si fonda sui principi dell’ecologia, parità di genere, uguaglianza etnica e autogestione economico-sociale del territorio. Questo modello venne teorizzato da Abdullah Ocalan, presidente del PKK (Partito democratico dei lavoratori del Kurdistan), detenuto attualmente all’interno del carcere di Imrali in mezzo al mare di Marmara, dal 1999. Nel 2015 le YPJ (Unità di Protezione delle Donne) e YPG (Unità di Protezione Popolare) unitamente alle SDF (Forze democratiche Siriane) sconfissero l’ISIS in Rojava, in particolare nei cantoni di Kobane, Afrin e Jazira.

Negli anni a seguire il paradigma è arrivato in Iraq, nella zona di Shengal, a prevalenza Yazida e nella zona del campo profughi di Makhmour. Lo yazidismo e’ una fede religiosa, diffusa nella zona del Sinjar iracheno (Shengal in curdo), perseguitata sia dall’ISIS, che da Ankara, poichè accusata di apostasia e perciò considerata controversa.

In questa zona è ancora in vigore l’Amministrazione Autonoma basata sul Confederalismo Democratico. Qui Daesh è stato sconfitto nel 2017 per mano delle milizie di autodifesa di Shengal, le YBS.

Che ne è stato dell’ISIS dopo la sconfitta?

Le SDF si sono organizzate per cercare una soluzione riabilitativa per le affiliate e gli affiliati di Daesh, creando campi e centri di detenzione appositi per aiutare non solo i miliziani, ma le cosiddette ‘spose di Daesh’, ovvero le mogli dei terroristi, e i loro piccoli. Tra questi ultimi, utilizzati come bambini-soldato, vi erano sia figli dei miliziani, sia bambini sottratti ed educati quindi fin da molto piccoli all'utilizzo di armi, sotto i principi rigidi della Shari’a.

Due dei più importanti tra questi campi sono: il campo di Hol e il campo di Roj, entrambi si trovano nel Nord Est della Siria. L’organizzazione di questi campi si fonda sulla divisione delle detenute e dei detenuti, in base a determinate caratteristiche, allo scopo di garantire una migliore riabilitazione. Per fare un esempio, vengono separati i foreign fighters dagli altri detenuti, perché considerati più radicalizzati. L’Amministrazione Autonoma garantisce però, all'interno di questa gestione dei campi, la possibilità ai minori di trascorrere la durata della permanenza con le madri. 

All'interno del campo di Hol la situazione è nettamente più complessa rispetto a Roj, poiche’ al suo interno ci sono numerosi conflitti e violenze, dovute dalla difficoltà da parte dei responsabili del campo di deradicalizzare gli ex affiliati e le ex affiliate dello Stato Islamico. Sono avvenute anche diverse esecuzioni interne fra ex appartenenti a Daesh, causate dall'estremismo ancora vivo negli stessi.

Nel campo di Roj si trovano prevalentemente donne e minori, dunque la situazione appare piu’ facilmente gestibile, tuttavia anche la conduzione di quest’ultimo risulta difficile anche per la mancanza di infrastrutture funzionanti in seguito ai continui attacchi dell’esercito turco nei confronti dell’Amministrazione.

All'interno di questi campi si assiste ad un ulteriore fatto rilevante: i foreign fighters stanziano in questi luoghi, poiché i loro paesi di appartenenza rifiutano il loro rimpatrio. Ad oggi la percentuale dei returnees rientrati in patria, si aggira solo intorno al 30%.

Oltre a questi da segnalare è il centro di Huri, situato a Qamishlo. Qui bambini e adolescenti processati e condannati per aver combattuto con l’ISIS, seguono un processo di riabilitazione in cui, i responsabili del centro, cercano di fornire loro sia un’istruzione di base, sia la possibilità di esprimersi in attività creative e sportive. Per quanto possibile, lo sviluppo del centro cerca di allontanarsi dall'idea di prigione. [1]

I campi non sono gli unici luoghi dove sono in atto contrasti interni, un luogo simile è Idlib, questa è una città situata in Siria del Nord Ovest.

Idlib non è un nome scelto casualmente. Questo luogo è considerabile come una terra di nessuno, dove non solo si trovano i miliziani di Daesh fuggiti, ma sono presenti anche membri di gruppi terroristici affiliati ad Al Qaeda, appoggiati dal governo turco e statunitense, tuttora considerati “ribelli” contro il governo di Bashar al-Assad, che è sostenuto invece dalla Russia, maggiormente dopo l’entrata in vigore del Caesar Syrian Civilian Protection Act, embargo che grava pesantemente sull'economia siriana approvato nel 2019 ed entrato in vigore nel 2020. In questo modo si è generata una simil guerra fredda sul territorio medio-orientale.

A Idlib, una sorta di Gaza in territorio siriano, troviamo un’inaudita violenza, dovuta a questa convivenza tra cellule terroristiche, che porta i civili a pagarne lo scotto maggiore. Gran parte delle aree della zona rimangono inabitabili, ciò comporta un incremento dei profughi e, tuttora, la città rimane una zona limbo molto pericolosa.

I cosiddetti ribelli della zona di Idlib sono sotto il controllo turco, il cui l’esercito è il secondo della NATO, che controlla vari gruppi di mercenari siriani e alcune cellule dormienti di Daesh, che insieme attaccano costantemente l’amministrazione autonoma della Siria del Nord Est, l’ultimo esempio è quello dell’attacco al carcere di Al- Sina’a, nel quartiere di Ghiweiran ad Al- Hasakah, attacco contrastato dalle SDF forze di autodifesa del NES), ma che ha generato molti morti sia tra i prigionieri che tra i guerriglieri e le guerrigliere curde.

Nel 2018 ricordiamo la presa di Afrin per mano turca, attraverso l’operazione ‘Ramoscello d’Ulivo’. Qui dopo la liberazione dall’ISIS da parte delle forze curde è arrivata l’occupazione turca, ancora in corso e che rappresenta il chiaro disegno del progetto espansionistico del califfato di Erdogan, che mira ad espandere la sua egemonia in Siria ed Iraq e a cancellare l’esperimento democratico dei territori nel NES. In questo territorio la “pax turca” ha comportato lo sfollamento forzato di almeno 300 mila residenti e la loro sostituzione con popolazioni arabe e turcomanne[2], spesso di provenienza da zone come Idlib. L’occupazione è gestita territorialmente da milizie islamiche e praticata con estorsioni, rapimenti, incarcerazioni arbitrarie[3]. Il tutto ampiamente noto alle forze della “coalizione occidentale” che in Iraq e in NES hanno ancora delle truppe sul campo. Evidenziamo che questa situazione è nota alla comunità internazionale come dettagliati rapporti ONU[4] dimostrano.

La Turchia è la principale responsabile della situazione difficile in Siria del Nord Est e non solo, nell’ultimo anno ha utilizzato armi chimiche come il fosforo bianco sulle montagne del Kurdistan siriano ed iracheno[5], ha devastato ospedali e infrastrutture con droni di ultima generazione finanziati dai paesi occidentali, ha messo embarghi e costruito muri come quello che va da Derik a Kobane, fatto per chiudere la popolazione all'interno e poterla attaccare. Un altro atto impunito della Turchia è la gestione inammissibile dell’acqua nei territori iracheni e siriani. Questi due Stati hanno contratti con la Turchia per le forniture di acqua derivante dai due fiumi della Mesopotamia. In pochi anni Ankara ha abbassato le forniture da 700 metri cubi a 300 metri cubi di acqua per Siria e Iraq e costruito numerose dighe per ostruirne il passaggio. La resistenza della popolazione locale non si è fermata, si sono organizzati attraverso l’utilizzo di pozzi per il recupero dell’acqua, come quello di Elok, nei pressi di Serekaniye.

Dal 2011 ad oggi possiamo contare 7.000.000 di profughi, che dalla Siria vanno verso l’Europa, la Giordania e Iraq. All'interno del panorama mediorientale, il NES rimane la più stabile autonomia democratica, che gestisce terra, risorse, autodifesa e lavoro. Negli anni si sono stabilizzati servizi, scuole, università e multietnicità[6], per questo la situazione nel NES è ancora più difficile, poiché si trova nel mezzo di un teatro di guerra tra Stati Nazione.

Questi non hanno alcun interesse nell'accettare l’autodeterminazione del nord-est della Siria per vari motivi:

-          la Russia non vuole perdere le sue basi militari in Siria;

-          l’Iran (che appoggia la Russia) non vuole a sua volta perdere le basi in Siria;

-         la Turchia desidera allargare la sua dominazione geopolitica e i suoi interessi all'interno del territorio siriano e iracheno;

-         la coalizione internazionale non interviene per non generare una tensione al suo interno e con la Russia, specialmente in questo periodo già ricco di tensioni dovute alla guerra in atto sul territorio Ucraino;

-      l’Unione .Europea chiude tutte e due gli occhi di fronte alla violazione dei diritti umani ritenendo questa un male minore rispetto al controllo del flusso dei migranti garantito dalla Turchia, anche se è stata la stessa Turchia ad averlo in gran parte generato.  

In conclusione, possiamo vedere come le potenze e gli stati nazione ostracizzino non solo le Amministrazioni Autonome del Kurdistan, ma mirino a distruggerne il paradigma politico e sociale. Questa guerra come descritta dal titolo si può considerare infinita, ma infinita è anche la resistenza che la contrasta, per questo è importante informarsi correttamente su quello che succede per averne un quadro d’insieme che ne rappresenti la complessità, le sfide e le speranze. D’altra parte molti altri territori del medio-oriente sono connotati da una molteplicità di popolazioni con proprie tradizioni, religioni, culture e il modello del NES rappresenta una alternativa alla barbarie del predominio di una sulle altre, per questo è necessario non dimenticarsene e continuare a sostenere queste popolazioni ed il paradigma che caratterizza e da’ forza alla loro esistenza e resistenza.

Serkeftin.

Marianna Lucarini e Francesca Pastore di Staffetta Sanitaria Roma

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[1] Cfr. http://www.staffettasanitaria-rojava.it/2021/01/09/rojava-information-center-battaglie-invisibili-la-riabilitazione-degli-affiliati-di-daes/

[2] http://www.staffettasanitaria-rojava.it/2021/06/01/i-cambiamenti-demografici-nella-siria-del-nord-est/

[3] Cfr. http://www.staffettasanitaria-rojava.it/2022/04/05/rojava-information-center-documentazione-sugli-abusi-dei-diritti-commessi-nelle-regioni-occupate-dalla-turchia-nel-nord-est-della-siria-3-quadri-2021/

[4] http://www.staffettasanitaria-rojava.it/2020/10/27/rapporto-della-commissione-onu-di-inchiesta-sulla-siria-niente-mani-pulite-dietro-le-prime-linee-e-i-titoli-dei-giornali-gli-attori-armati-continuano-a-sottoporre-i-civili-ad-abusi-orribili-e-sempre/

[5] http://www.staffettasanitaria-rojava.it/2020/01/17/dossier-armi-chimiche-usate-dalla-turchia-nella-siria-del-nord-est/

[6] Cfr. notizie presenti nella sezione http://www.staffettasanitaria-rojava.it/category/good-news-by-nes/


BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!