mercoledì 31 maggio 2023

Messico - Chiapas è una polveriera pronta ad esplodere


Da LaJornada un articolo di Luis Hernández Navarro

La violenza si moltiplica in modo allarmante. Gli attacchi armati dei paramilitari contro le comunità zapatiste sono frequenti e si intensificano. Gruppi criminali organizzati reclutano giovani per ingrossare le loro file. Migliaia di sfollati vivono nelle foreste o in insediamenti temporanei. Bande di criminali su moto si scontrano in vere e proprie battaglie campali a San Cristóbal per il controllo dei mercati e delle rotte della droga. I cartelli combattono a fuoco e sangue per il controllo del confine con il Guatemala.

Si tratta di una violenza diversificata, alimentata dalla combinazione di conflitti ancestrali e nuove dispute legate alla terra, al commercio e al narcotraffico. Nonostante la presenza dell'esercito e della Guardia Nazionale, le armi di grosso calibro si ottengono con una facilità sorprendente. Di fronte all'inazione del governo, i paramilitari, gli assassini a pagamento, i gruppi di autodifesa (a Pantelhó, Altamirano e San Cristóbal) e le agenzie di sicurezza privata si moltiplicano in tutto lo stato.

I gruppi paramilitari, protetti dalle autorità, si sono associati al crimine organizzato, che ne subappalta i servizi. Lavorano a doppio turno. Da un lato, cercano di contenere l'espansione delle comunità ribelli e le proteste dei contadini in lotta. Dall'altro, gestiscono il traffico di migranti senza documenti, spostano grandi quantità di stupefacenti e si dedicano allo spaccio di droga, alla distribuzione di prodotti contraffatti e pornografia indigena, al traffico di auto rubate e armi. Ora, come si può vedere nel caso di Chicomuselo, si dedicano anche al furto di minerali.

Queste bande, che spesso controllano i trasporti locali e le rotte in varie regioni, servono politici locali. La "nuova famiglia" chiapaneca, che in realtà è la vecchia famiglia chiapaneca riciclata, si è profondamente intrecciata con loro. Lo stesso è accaduto da parte delle leadership indigene tradizionali, alcune delle quali si sono avventurate con successo nel traffico di migranti e/o narcotraffico.

Una delle principali cause di questa violenza sono gli attacchi paramilitari contro le basi di appoggio zapatiste. (https://rb.gy/yrx0e). Appena lunedì 22 maggio, come parte di un'aggressione durata quattro giorni senza che le autorità intervenissero, il gruppo paramilitare dell'Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) ha sparato a Gilberto López Santis, di origine tseltal, appartenente alla comunità autonoma di Moisés Gandhi nel municipio ribelle di Lucio Cabañas. Le sue condizioni sono gravi. Ha subito perforazioni al diaframma, all'intestino crasso, allo stomaco e alla milza. Lotta tra la vita e la morte. Negli ultimi mesi, l'Orcao ha attaccato i ribelli più di 10 volte, con totale impunità. Hanno bruciato magazzini di caffè, scuole e rapito indigeni.

Tra le altre cose, l'obiettivo dell'Orcao è spossessare i zapatisti delle terre che avevano riconquistato nella rivolta del 1994, anche per ottenere gli aiuti governativi del programma Sembrando Vida. Le loro aggressioni, perpetrate con totale complicità delle autorità, mostrano il grave deterioramento che si vive nello stato e inviano un segnale pericolosissimo. Non è solo un altro attacco. Il conflitto di fondo è in uno stato critico.

La situazione è altrettanto grave in molti altri comuni e località, tra cui Teopisca, Comalapa, Betania, la strada Las Choapas-Ocozocoautla, San Cristóbal, Frontera Comalapa, Trinitaria e Chicomuselo. I blocchi stradali a Teopisca sono sempre più frequenti, a causa della richiesta formale di destituire la sindaca Josefa María Sánchez e formare un consiglio comunale. Appena il 21 maggio scorso tre persone sono state ferite in uno scontro a fuoco tra agenti statali, che cercavano di arrestare i leader del movimento, e contadini che li difendevano.

A poco più di 120 chilometri di distanza, sulla strada Las Choapas-Ocozocoautla, il 25 maggio si sono verificati blocchi stradali (per cinque ore), sparatorie e l'incendio di un camion. Soggetti mascherati hanno assaltato camion e negozi Coppel e hanno dato fuoco a piccoli esercizi commerciali. Appena l'8 febbraio era successo qualcosa di simile. Nella zona di Malpaso, i cartelli si contendono il traffico di droga, il pagamento del "pizzo", il passaggio di migranti senza documenti, armi e carburante di contrabbando.

La scorsa settimana è stata particolarmente tragica a Frontera Comalapa, dove i criminali si contendono il territorio, uccidendo persone innocenti nel fuoco incrociato. Spari, blocchi stradali, auto bruciate, carovane di veicoli armati (i famosi "mostri") fanno ormai parte del paesaggio quotidiano della regione negli ultimi giorni. Nelle comunità vicine a Nueva Independencia, dove opera il gruppo Maíz (filiale del cartello Jalisco Nuova Generazione), vengono reclutati giovani e armati per combattere i rivali. Circa 3.000 persone sfollate dai loro villaggi si sono rifugiate sulle montagne e sulle rive dei fiumi.

Secondo il Centro di Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, lo Stato acconsente a tutto ciò, dato che nella comunità di El Jocote c'è un distaccamento dell'Esercito messicano. Sulla strada Paso Hondo-Frontera Comalapa si trova un distaccamento della Guardia Nazionale. E nel comune di Chicomuselo si trova la base militare più grande dell'Esercito messicano.

Non è un'esagerazione. La polveriera di Chiapas può esplodere in qualsiasi momento.

Articolo originale https://www.jornada.com.mx/2023/05/30/opinion/011a1pol?from=homeonline&block=opinion

Traduzione Cooperazione Rebelde Napoli

giovedì 30 giugno 2022

Kurdistan - "Svezia e Finlandia ci hanno traditi in cambio della Nato"

Intervista a Yilmaz Orkan (UIKI-ONLUS): “Il memorandum tra Turchia, Svezia e Finlandia è stato firmato sulla pelle di migliaia di attivisti, avvocati, giornalisti e cittadini curdi. Che verranno consegnati al loro massacratore, Erdogan”.


“Non abbiamo amici, solo le montagne”. Recita così un antico proverbio curdo, sintetizzando in poche parole una lunga storia fatta di delusioni, massacri e tradimenti. Come quello di Svezia e Finlandia, Paesi finora “amici” dei curdi che due giorni fa hanno firmato un memorandum trilaterale che – in cambio del via libera della Turchia al loro ingresso nella Nato – accetta incondizionatamente le richieste di Erdogan, non propriamente un leader democratico.

Tra le altre, l’abbandono del sostegno – in ogni sua forma – al popolo curdo e la fine dell’embargo sulle armi imposto nel 2019 da Stoccolma e Helsinki in risposta all’offensiva proprio contro i curdi in Siria del Nord. Tradotto: Svezia e Finlandia dovranno consegnare alla Turchia tutti i rifugiati politici curdi che Ankara richiederà e accettare senza battere ciglio i bombardamenti turchi nel Rojava, la regione autonoma de facto nel nord e nord-est della Siria protagonista da anni di un esperimento unico in Medio Oriente, quello del confederalismo democratico.

Sono bastate tre pagine e dieci punti per cancellare la solidarietà che da decenni i governi e i popoli svedese e finlandese avevano garantito ai curdi. Fanpage.it ne ha parlato con Yilmaz Orkan, responsabile di UIKI-ONLUS (Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia).

Cosa pensate dell’accordo tra Svezia, Finlandia e Turchia?

L’accordo che Finlandia e Svezia hanno firmato con la Turchia ha dell’incredibile: Ankara ha scritto un documento che Stoccolma e Helsinki si sono limitate a firmare senza fiatare né apportare modifiche. Peccato che quel memorandum sia stato firmato sulla pelle di migliaia di attivisti, avvocati, giornalisti e cittadini curdi.

Perché dite che quell’accordo è stato firmato sulla vostra pelle?

Perché Erdogan è un dittatore che pratica già il massacro dei curdi. Quegli accordi però sono estremamente problematici anche per le democrazie occidentali e per la stessa Nato: quando l’Alleanza negli anni ’50 venne costituita l’idea di fondo era quella di difendere le democrazie liberali dalla minaccia dell’Unione Sovietica. Nel frattempo i tempi sono cambiati, l’URSS non esiste più e con l’ultimo memorandum di due giorni fa la Nato si trasforma in uno strumento nelle mani della Turchia, cioè nel bastone che il tiranno Erdogan potrà utilizzare a piacimento contro i popoli. Attenzione, vi ricordo che anche il Presidente del Consiglio Draghi in passato ha parlato di quello turco come di un regime dittatoriale.

Credete che la Nato parteciperà alla guerra contro i curdi?

Erdogan vuole il massacro dei curdi ovunque essi si trovino, dalla Turchia al nord della Siria, dall’Iraq all’Armenia. Ovunque. Ricordo che nel 2013 tre militanti curde del PKK sono state assassinate nel centro da Parigi da uomini dei servizi segreti turchi. Le autorità francesi sanno chi sono i killer, eppure nessuno hanno mai indagato per quel triplice omicidio. Ma torniamo a noi. Lo scopo del leader turco è fare sì che la Nato condivida questa strategia, altrimenti non avrebbe posto a Finlandia e Svezia condizioni così vincolanti. Il memorandum firmato due giorni fa costituisce un precedente molto pericoloso. In futuro i Paesi della Nato potranno avvalersi della potenza militare dell’Alleanza per dichiarare guerra ad altri popoli che, come noi, lottano per la loro libertà.

Perché molti curdi si erano rifugiati in Svezia e Finlandia?

È una lunga storia. Da decenni i Paesi scandinavi e i loro avanzati sistemi democratici garantiscono protezione ai rifugiati politici di tutto il mondo. Questo è valso per le persone in fuga dalle guerre civili in America Latina, Vietnam e in particolare per noi curdi, che dagli anni ’70 abbiamo trovato in questi Paesi dei luoghi sicuri in cui vivere rispettandone le leggi e le tradizioni. Oggi in Svezia esiste una comunità curda di oltre 200mila persone, 50mila delle quali arrivate dal nord della Siria negli ultimi anni a causa della guerra. Siamo una delle comunità più numerose di quel Paese tanto che oggi esprimiamo anche dei membri in Parlamento. Non comprendiamo come mai i governi di Stoccolma e Helsinki abbiano deciso improvvisamente di bollare i curdi come “terroristi” e rispedire nelle mani di un dittatore, Erdogan, molti rifugiati politici, giornalisti, avvocati, attivisti: è un fatto estremamente preoccupante.

Nel memorandum firmato dalla Svezia e dalla Finlandia la Turchia chiede, in cambio dell’ingresso nella Nato, che questi due Paesi non accolgano rifugiati delle YPG e YPJ.

Sì, e le YPG e YPJ (Unità di Protezione Popolare e Unità di Protezione delle Donne, ndr) hanno combattuto la guerra all’Isis. Sono state loro, al prezzo di 12mila martiri, a sconfiggere lo Stato Islamico a Raqqa, Kobane e altre città della Siria. Ci meraviglia non solo che Svezia e dalla Finlandia abbiano deciso che quei combattenti sono terroristi, ma che anche altri membri della Nato non abbiano avuto niente da dire al riguardo. Italia, Stati Uniti, Germania, Francia e Inghilterra non avrebbero mai dovuto accettare l’imposizione da parte della Turchia di una condizione del genere. Ma se tutti sono rimasti in silenzio, vuol dire che sono tutti d’accordo con Erdogan.

Cosa sta accadendo in questi mesi in Turchia?

Il consenso di Erdogan si sta sgretolando perché la situazione politica ed economica è disastrosa: un anno fa un chilo di zucchero costava 7 lire, oggi ne servono 30. Il rischio che nei prossimi mesi esploda una bomba sociale è alto, e il Governo usa la guerra ai curdi e la retorica dell’emergenza come strumenti per giustificare le difficoltà che i cittadini vivono: Erdogan bombarda il Kurdistan meridionale, minaccia il Rojava e spedisce jihadisti e mercenari turchi in Libia. È perennemente in guerra, la Turchia è costantemente in stato di crisi, un vero inferno.

Credete che Erdogan intensificherà gli attacchi ai territori curdi?

Sì. Lo farà. Nell’ottobre del 2023 si celebrerà il centesimo anniversario della Repubblica di Turchia e quell’anno scadranno anche i vincoli imposti dal Trattato di Losanna, che determinò nel 1923 la fine di ogni pretesa turca su Cipro, Iraq e Siria per 100 anni. Ora che Siria e Iraq sono Paesi distrutti e incapaci di difendersi, credete che Erdogan non tenterà di prendere il controllo di pezzi di quei territori? Lo sta già facendo: per questo attacca il Kurdistan meridionale, ha 38 basi militari in Iraq e vuole espandersi nel Rojava, anch’esso controllato dai curdi.

Il Rojava è il territorio in cui state sviluppando il modello del confederalismo democratico. Di cosa si tratta?

Un nuovo paradigma sviluppato dal leader del PKK Abdullah Öcalan. Nel XX secolo le lotte per l’autodeterminazione dei popoli si sono fuse con quelle per l’ottenimento di uno stato nazione: dopo aver analizzato la storia degli ultimi 100 anni abbiamo però compreso che i valori legati al nazionalismo, e i massacri che ne sono derivati ovunque, nel XXI secolo sono inaccettabili. Per questo abbiamo lavorato a un nuovo progetto che chiamiamo confederalismo democratico: vogliamo convivere con gli altri popoli, con tutte le religioni e le culture ma non chiediamo uno stato nazione, non vogliamo frontiere né confini. Nel nostro modello i cittadini autogestiscono le città, i villaggi e i quartieri.

Sembra un’utopia…

Eppure non lo è. Stiamo già mettendo in pratica questo paradigma in Rojava, nel nord della Siria: in questo territorio i curdi convivono con assiri, arabi, ceceni, armeni, combattono contro il patriarcato e si ispirano ai principi della solidarietà, dell’ecologismo, dell’economia sostenibile e dell’uguaglianza di genere. Si tratta di un modello molto forte, di una novità soprattutto per gli altri regimi del Medio Oriente. Quello di Ergogan è uno di essi: massacrando i curdi, vuole distruggere anche l’idea che esista un altro modo di convivere. Ed è grave che la Nato lo supporti.

A cura di Davide Falcioni per Fanpage

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!