Sono molti anni che sento parlare di
zapatismo e conoscere da vicino il movimento è un’opportunità che non voglio
perdere. Eppure durante il tragitto notturno da Città del Messico a San
Cristobal qualche dubbio mi viene.
È il mio primo viaggio in Messico, sono in
vacanza, non sono mai stato un attivista, non ho particolarmente voglia di
sentire sermoni politici; questi pochi giorni di Chiapas potrei spenderli
visitando siti archeologici Maya e farmi qualche giorno di mare. Alla fine
decido di non cambiare i miei programmi, mi sono iscritto al secondo turno della
Escuelita da più di un mese e dare buca agli zapatisti non mi sembra
carino.
Giunto a San Cristobal raggiungo il
luogo del ritrovo. Troviamo un grande viavai. Gli altri partecipanti
all’escuelita sono ragazzi più o meno giovani, qualche adulto; messicani
soprattutto, ma anche argentini, statunitensi, qualche spagnolo, pochissimi
italiani, una coppia musulmana, un cinese. E ovviamente ci sono gli zapatisti
che verificano le iscrizioni ed organizzano i minibus verso i vari
caracoles.
Questo primo impatto con il mondo degli zapatisti è
emozionante, penso di essere nel posto giusto. Il passamontagna che tutti
indossano nasconde un mondo tutto da scoprire, gli sguardi lasciano immaginare
volti umili e decisi, il pensiero esatto che mi passa per la testa è ‘qui
fanno davvero sul serio’.
Vengo destinato al caracol de
La Realidad. Il viaggio è scomodo e sembra interminabile, siamo in 20 persone su
un minibus da 12. Quando arriviamo c’è un bellissimo cielo stellato e saranno le
otto e mezzo di sera anche se mi sembra già notte fonda. Veniamo accolti a La
Realidad con i cori “Viva Zapata! Viva la Libertà! Viva
l’EZLN!”. Tra un coro e l’altro due marimbe suonano un intermezzo
musicale, una melodia allegra e ritmata che ricorda vagamente l’inno zapatista.
Ci sediamo insieme agli altri alunni arrivati prima di noi, più di 200.
Ad ogni alunno della escuelita
viene presentato il suo accompagnatore. È un momento abbastanza intenso, una
sorta di cerimonia. Per ogni coppia chiamata al microfono c’è un applauso.
Mentre aspetto di essere chiamato sono contento e penso di essere capitato in un
posto unico. Dopo non molto riconosco il mio nome nonostante la pronuncia
imprecisa del compas “Alumno Daniel Dawini… guardiano….
Emilio”. Sono proprio io. Mi alzo e vado a stringere la mano al ragazzo che
si avvicina verso di me.
Emilio mi accompagna verso l’edificio dove ci
sistemiamo per passare la notte. Gli faccio un po’ di domande per conoscerlo.
Emilio ha 22 anni, 2 figli, 2 anni vissuti negli Stati Uniti, tornato in Chiapas
perché, mi dice, si era “stancato” di vivere là.
L’escuelita si è svolta
nei 3 giorni successivi. Il primo giorno viene fatta una lunga e interessante
presentazione dell’autonomia politica del movimento.
L’organizzazione all'interno delle singole comunità, il coordinamento tra queste, l’elezione
degli organi di rappresentanza, l’organizzazione del sistema scolastico e
sanitario. Una buona parte della lezione viene tenuta da donne che spiegano i
diritti acquisiti all'interno delle comunità zapatiste. Nei due giorni
successivi sono ospite di una famiglia della comunità di Hidalgo, a 2 ore di
camion e 1 ora di barca dalla Realidad, nel bel mezzo della Selva Lancandona.
In
questi giorni ho condiviso la vita quotidiana dei campesinos, la pesca, il lavoro
agricolo, il riposo, le discussioni politiche, il gioco con i bambini.
L’escuelita ha un titolo: “La
libertà secondo gli zapatisti”. Dove stia questa libertà me lo chiedo e me lo
richiedo durante quei giorni. Me lo chiedo perché non riesco a vederla nella
sobria vita dei campesinos come nel funzionamento degli organi di governo
autonomo. Oltre al fatto che mancano totalmente le strutture che considero
necessarie per l’esercizio stesso delle mie libertà: l’accesso ai mezzi di
informazione, di comunicazione e di trasporto è limitatissimo.
Cosa sia la libertà non ce l’ho così
chiaro. È forse questo il problema? Il gabbiano Jonathan mi dà qualche spunto;
la libertà di volare alto, dove nessuno ha mai volato. È una la libertà che ha a
che fare con una sfera molto intima dell’individuo. Che comincia con il
guardarsi dentro, con l’ascoltare prima di tutto se stessi. Quando penso alla
libertà non posso fare a meno di pensare a me stesso. Mi sento libero se innanzi
tutto mi riconosco. Gli zapatisti, che da 20 anni nascondono addirittura i loro
volti con un passamontagna, sono evidentemente lontani da questa visione; altro
che processo di individuazione di cui parlano tanto i nostri psicologi.
Eppure l’aria di rivoluzione si
respira in maniera molto definita. Mi emoziono addirittura quando il
campesino che mi ospita mi chiede di sostenere la resistenza degli
zapatisti del Chiapas.
Lo fa prima di salutarmi, mentre per il nono pasto
consecutivo, colazioni comprese, mi offre tortillas di mais con fagioli.
E lo fa con queste precise parole: “L’ultima cosa che vorrei chiederti è
questa, quando tornerai al tuo
paese di’ che qui in Chiapas ci sono persone che stanno resistendo”. Ecco
la liberdad segun los zapatistas, così lontana dalla mia cultura che mi
sono serviti 3 giorni per riconoscerla.
Rivoluzione è una parola
immensa, che non si pronuncia quasi più, che fa sentire inadeguati, che attrae
ma mette di fronte ai propri limiti. La rivoluzione è una cosa più grande
dell’uomo.
Chi l’ha fatta infatti è considerato più che un uomo: un eroe. Il
merito di questo viaggio è stato riavvicinarmi al senso di questa parola, un
senso al quale mi ero allontanato non reputandolo alla mia portata.
Rivoluzione e libertà è una buona sintesi di quanto approfondito durante
l’escuelita. La relazione tra i due termini è stata per me una scoperta.
Mi è toccato apprenderlo dagli stessi che mi chiedono come mai ho preso l’aereo
anziché l’autobus per arrivare in Messico. Non so proprio che dire, oltre a
ringraziare pubblicamente gli zapatisti, tanto tanto di cappello!
Daniele