di Ivan Grozny
Iskenderpasa è l’antico quartiere della città di Dyarbakir. Abitato esclusivamente da curdi, ospita la Moschea, la biblioteca, un suk colorato, naturalmente dentro le antiche mura. C’è una sola breccia nell’antica fortificazione dovuta all’unico tentativo di distruzione andato a buon fine da parte del governo di Ankara. Una storia di tanti anni fa.
C’è una gigantografia di Ataturk al suo posto che dà sulla piazza principale della città. E vedere in una piazza così grande, in pieno pomeriggio, un elicottero militare “sostare” a mezza altezza sopra le teste delle persone appare un po’ inquietante. Ci si prepara alla sera dove puntualmente come da parecchi mesi ormai ci sono conflitti a fuoco tra la polizia e gli abitanti del quartiere. Siamo nel Kurdistan turco, non in Siria. Dyarbakir è l’antica capitale di questo Paese che non c’è più, il Kurdistan appunto.
Una popolazione di duecentocinquantamila civili e novantamila tra soldati e poliziotti, collocati in un quartiere apposito dove vivono in appartamenti poco lontano dall’aeroporto. E soprattutto in questi giorni, non solo li si trova a ogni incrocio e fuori da ogni porta della città, ma tentano sortite anche a Iskenderpasa. Sassate contrapposte a colpi d’arma da fuoco. Il governo ha varato un piano per il rilancio del turismo in città e sostenendo la pericolosità del quartiere pretenderebbe di sgomberarlo. Ci vivono migliaia di famiglie. E’ chiaro che è un pretesto per forzare ed entrarci.
C’è la guerra in Turchia, come a Silvan, dove ci sono stati anche dei morti in questi ultimi giorni. Scontri anche nella periferia di Batman. Il confine con la regione del Kurdistan del Nord iracheno è stato colpito più volte dall’aviazione turca, ora si è passati agli scontri in città. Noto il caso di Silopya dove persero la vita tra gli altri una donna in gravidanza e altri civili. A Barzani non da poi fastidio si colpiscano le postazioni del Pkk, ma è arrivato pure il momento spieghi chiaramente cosa pensa e come intende agire. La sua scelta, quella di ospitare più persone possibile, organizzando dei campi profughi dove la maggior parte di chi fugge mira ad arrivare perché ben organizzati e strutturati, fino ad ora lo ha ripagato. Di fatto con una politica di tipo assistenzialistica sta cambiando dal punto di vista demografico un territorio farraginoso come l’Iraq, dove chi vive a sud del confine curdo non ha alcuna certezza. In tanti scappano e cercano un riparo nei campi, che mano a mano diventano città. Dei potenziali ghetti, in un futuro neppure prossimo: Domiz uno e Domiz due ad esempio.
L’assistenzialismo paga nell’immediato in termini di consensi e voti, ma non costruisce una società paritaria che guarda con gli stessi occhi al futuro. E’ invece il modo per dividere da subito i poveri dai ricchi. Dall’Iraq di Barzani partono file di camion cisterna piene di greggio in direzione Turchia, il primo alleato economico, di conseguenza anche politico. Si vedono enormi cantieri per la costruzione di nuovi aeroporti o centri commerciali. Questo è l’Iraq del Nord, in estrema sintesi. Un luogo sicuro dove girano parecchi soldi. I curdi del Rojava in SIria invece vivono una società molto diversa. Aggredita e assediata resistono e anzi portano a casa pure vittorie militari, come il caso di Hesseke. A Nord bombardati dalla Turchia, a sud aiutati dalla coalizione contro Isis. Non è un controsenso, la chiamano real–politik. Sotto embargo non dichiarato da Turchia e Iraq del Nord, hanno comunque riattivato attività commerciali, ovunque possibile e addirittura fatto ripartire aziende.
Nei campi profughi in Rojava la situazione è ancora molto difficile, non c’è la possibilità di fare ciò che si vorrebbe, perché non si riesce ad avere ciò che serve. Tende ignifughe e farmaci tanto per fare un esempio. Nonostante tutto c’è però molta gente che rientra dal confine con la Turchia; piccoli cancelli si aprono e fanno passare, molto lentamente s’intende, famiglie intere che vogliono tornare nelle proprie case abbandonate a causa di Isis. Qualcuno si avvale di un carrello ma non è tanto ciò che è rimasto. Ci sono persone sole che oltre ad aver perso tutto, hanno pure perso tutti. Gli si legge negli occhi la disperazione. E nonostante tutto tornano qui, perché sognano una società paritaria. Questa è la sfida che lancia il Rojava, con tutte le difficoltà del caso. Osservare quindi questo pezzo di mondo e farlo solo in caso di accadimenti clamorosi è un errore che può essere fatale. Bisogna invece tenere alta l’attenzione. Se osserviamo ciò che sta accadendo in Turchia, un Paese dove ci si passano pure le vacanze, non può non preoccupare e non creare interesse il fatto che a mesi dalla tornata elettorale non ci sia ancora un governo e che quello che c’è si sia preso la responsabilità di fare saltare la tregua con il Pkk e chiamare Barzani a giocare a carte scoperte.
Tratto da Articolo 21