Pubblicato a maggio il libro di Ensaf Haidab, la moglie del blogger Raif Badawi, condannato alla pena disumana di 1000 frustate e dieci anni di carcere nel maggio 2014 per oltraggio all’Islam.
La donna, che insieme ai figli vive in Canada dopo essere stata costretta a scappare, ha scritto insieme a Andrea C. Hoffmann, scrittrice e giornalista tedesca, un libro che è una chiara ed appassionata denuncia di quel che avviene in Arabia Saudita.
La persecuzione contro Raif si è allargata a tutta la sua famiglia tanto è vero che la sorella Samar Badawi, in gennaio è stata arrestata e poi rilasciata.
La donna, che insieme ai figli vive in Canada dopo essere stata costretta a scappare, ha scritto insieme a Andrea C. Hoffmann, scrittrice e giornalista tedesca, un libro che è una chiara ed appassionata denuncia di quel che avviene in Arabia Saudita.
La persecuzione contro Raif si è allargata a tutta la sua famiglia tanto è vero che la sorella Samar Badawi, in gennaio è stata arrestata e poi rilasciata.
La storia di Raif
Dopo la prima parte dell’esecuzione, le prime 50 frustate inflitte nel gennaio 2015, sull’onda delle proteste internazionali, viste le sue condizioni di salute, Raif non è stato più colpito fisicamente ma continua ad essere incarcerato in attesa di subire la continuazione del flagello.
Poco o niente si sa della sua condizione. Le poche notizie che filtrano dalle mura del sistema carcerario saudita dicono che Raif ha portato avanti negli scorsi mesi uno sciopero della fame durato una ventina di giorni per opporsi ad un trasferimento.
Per il resto tutto tace. O meglio il Governo dell’Arabia Saudita è totalmente impermeabile alle critiche che gli giungono sul tema dei diritti umani.
Ipocrisie internazionali
Al giovane scrittore è stato assegnato il Premio Sacharov. A livello internazionale in particolare dal Canada, dove risiede la moglie Ensaf Haidar, continua ad essere alimentata la campagna internazionale per la liberazione di Raif.
L’ipocrisia che copre tutta la vicenda si intreccia con gli interessi multilevel che troppi paesi hanno con il potentato che guida l’Arabia. Le assurdità e contraddizioni sembrano aumentare ogni giorno. Nonostante la ratifica della Convenzione contro la Tortura, i processi continuano ad essere svolti in maniera sommaria, senza il minimo rispetto dei più basilari diritti infliggendo pene disumane, tra cui appunto la flagellazione.
L’Arabia Saudita pare tenere particolarmente all'immagine di sé nell'opinione pubblica tanto da aver partecipato, a seguito dell’attentato nella redazione di Charlie Hebdo, alla manifestazione di solidarietà a Parigi, in cui in prima fila hanno sfilato numerosissimi capi di Governo o Ministri, compreso il Ministro degli Affari Esteri saudita. Ciononostante due giorni dopo Raif riceveva, in piazza di fronte ad una folla urlante, le prime cinquanta frustrate della sua condanna.
L’ipocrisia non ha limiti e infatti l’ambasciatore saudita all’Onu Feisal bin Hassan Trad è stato nominato presidente del Gruppo consultivo del Consiglio per i diritti umani delle nazioni Unite. Ovvero di una struttura che viene considerata la punta di diamante del Consiglio dei diritti umani.
Perché si tace sulla sistematica violazione dei diritti umani in Arabia Saudita?
La questione dei diritti umani in questo nostra contemporaneità, segnata dai giochi delle alleanze mobili, che si muovono nello scacchiere geopolitico del Medi oriente, diventa uno straccetto da sventolare in maniera timida.
La vicenda di Raif dice più di tante approfondite analisi su quale sia il rapporto del cosiddetto Occidente e non solo con l’Arabia Saudita, formalmente alleato nella guerra al terrorismo, salvo foraggiarlo in maniera indiretta. Stiamo parlando di una potenza che aspira, nel contrasto con l’Iran, in gara con l’Egitto e la Turchia ad essere potenza chiave dell’area. Un paese che con i giochi pericolosi intorno al prezzo del petrolio, sta segnando la sorte dell’oro nero a livello globale, con le sue ricadute in interi continenti come l’America Latina.
La campagna per la libertà di Raif non è un affare locale, è un tema che riguarda vicino tutti noi perché quel che accade in quel pezzo di mondo si intreccia con i nostri destini.
Il mio combattimento per salvare Raif Badawi.
Sin dal primo momento l’impegno di Ensaf a favore della causa e della lotta del marito è stato instancabile e appassionato.
La moglie di Raif ha ormai attraversato tutta l’Europa e molti altri Stati per cercare di riportare il marito a casa e ottenere la sua liberazione, organizzando incontri con rappresentanti dei governi, giornalisti, media, sostenitori della sua causa, oppure partecipando a convegni, manifestazioni e consegne di premi.
L’esito di questi numerosi incontri e della decisione di parlare pubblicamente e di continuare la battaglia del marito, è stato un libro che racconta nei dettagli la loro travagliata storia: dall'infanzia, passando per l’innamoramento e lo scontro con le loro famiglie fino ad arrivare al profondo bisogno di Raif di parlare di libertà, riforme e diritti che l’ha portato allo scontro con le Autorità e al subire un’ingiusta pena e alle tribolazioni che si sono poi susseguite.
Lo stesso Raif, subito dopo la pronuncia della sentenza nel maggio del 2014, in una telefonata alla moglie le dice di rivelare "al mondo intero ciò che succede qui. Dillo a tutti".
L’obiettivo di Ensaf diviene quindi quello di liberare il marito, di riunirlo alla sua famiglia chiedendo clemenza al Re Salman. La storia fa presto il giro del pianeta grazie a contatti con Amnesty International che inizia una campagna internazionale con manifestazioni e un hashtag su twitter #freeRaif, presto sempre più persone ne parlano, i media dimostrano più interesse e, sopratutto dopo la prima esecuzione della pena di flagellazione, la risposta dell’opinione pubblica non tarda a farsi sentire. Moltissimi le persone indignate da una punizione così crudele che esprimono solidarietà e sostegno.
Costanti rimangono invece i rapporti diplomatici con l’Arabia Saudita e solo alcuni parlamentari hanno dimostrato sostegno alla causa pubblicamente. Ensaf è stata infatti ricevuta all'Assemblea Nazionale e alcuni deputati hanno firmato una lettera poi inviata alle autorità di Ryad per ottenere clemenza nei confronti di Raif. Ciononostante dopo quattro anni pochi sono stati i cambiamenti nella situazione del marito.
Il libro si presenta come una testimonianza toccante e reale della situazione in Arabia Saudita, una storia di vita, una critica allo Stato e alle limitazioni alle libertà basilari.
Oltre a raccontare la battaglia portata avanti dal marito, il libro diventa un mezzo per continuare la sua lotta per la libertà d’opinione e l’apertura politica e religiosa.
Scritto insieme alla giornalista Andrea C. Hoffmann, il libro ripercorre il cammino di questa giovane coppia e della stessa Ensaf, “Se non avessi sposato Raif, vivrei come le mie sorelle, rinchiuse in casa con i loro figli e i loro mariti come unico punto di riferimento”.
Ammette di non aver avuto “alcuna ambizione, alcun progetto professionale” fino all'incontro con il futuro marito.
Una storia già in partenza al di fuori degli schemi tradizionali, i due si sono incontrati per caso quando Raif sbagliò numero. La relazione, le idee espresse in relazione alla religione e al sistema politico dell’Arabia Saudita e poi la decisione di schierarsi dalla parte del marito durante il processo, li ha poi allontanati ulteriormente dalle proprie famiglie.
Mon combat pour sauver Raif Badawi racconta dei primi problemi legali del marito dopo la decisione di aprire e gestire il blog: blocco del conto bancario, il divieto di lasciare il Paese e le prime accuse fino all'iniquo processo che ha avuto come risultato una condanna a dieci anni di carcere e 1000 frustate.
A causa delle pressioni e dei sempre maggiori rischi per la sua famiglia, Ensaf si trova costretta ad abbandonare l’Arabia Saudita e il marito fino ad arrivare in Canada, dove le è concesso lo stato di rifugiata politica. Presto così Ensaf si trova in prima linea nel combattere la battaglia del marito, poi divenuta anche sua.
Oltre che una battaglia politica diviene una battaglia per la propria sopravvivenza e per quella del marito, un modo per dare un futuro migliore alla propria famiglia.
Una critica alla società iniqua, tradizionale e chiusa che ha condannato il marito, un appello al cambiamento, una speranza di riforme.
Percorrendo la loro storia, si arriva al momento più difficile per entrambi: le frustate. Vedere il marito subire una simile punizione ha però rafforzato il bisogno di Ensaf di combattere per lui e di fare il possibile per liberarlo e attirare l’attenzione internazionale in favore della sua causa. Le conseguenze sono quindi la mobilitazione con Amnesty International, le interviste, gli incontri con rappresentanti dei governi e il tour di presentazione del libro.
Questo è solo un breve capitolo della loro lotta che continuerà fino alla liberazione di Raif e si concluderà solo il giorno in cui vedranno un effettivo cambiamento in Arabia Saudita.
E’ possibile leggere un estratto del libro pubblicato dalla Fondazione Raif Badawi.