di Raúl Zibechi
Conoscere i criteri che usa la potenza emergente sull’America Latina, e in particolare sul Venezuela, è sommamente importante giacché raramente i loro mezzi di comunicazione lasciano intravedere le opinioni che circolano nel governo cinese. Il 1° agosto la rivista cinese Global Times ha pubblicato un esteso editoriale intitolato “Venezuela un microcosmo dell’enigma latinoamericano” (goo.gl/ksmY77).
Il Global Times appartiene all’organo ufficiale del Partito Comunista della Cina, Quotidiano del Popolo, ma si focalizza su temi internazionali e le sue opinioni hanno maggiore autonomia del media che lo patrocina.
L’articolo analizza le recenti elezioni dell’Assemblea Costituente mostrando un certo sostegno al progetto ma, allo stesso tempo prendendo le distanze. Riserva le sue maggiori critiche alla Casa Bianca, dicendo che “Washington si preoccupa solo di prendere il controllo del continente, come suo cortile posteriore, e non è interessata ad aiutarli”.
Evidenza che gli obiettivi degli Stati Uniti consistono nella “eliminazione di Maduro e nella distruzione dell’eredità politica di Chávez”, ma precisa anche che tutti i governi di sinistra del continente hanno una relazione “scomoda” con Washington.
Secondo il Global Times, “senza un’industrializzazione pienamente sviluppata, le economie latinoamericane dipendono in gran misura dalle risorse”, ragione per cui molti paesi presentano forti spaccature sociali e di ricchezza, come succede in Venezuela, dove i contadini e i poveri urbani appoggiano il governo mentre la classe media ricca sostiene l’opposizione.
Finora non ci sono novità. Ma a questo punto comincia un’analisi che svela le posizioni del governo cinese. “Il sistema politico che hanno adottato dall’Occidente non è riuscito ad affrontare questi problemi”, spiega il Global Times.
La rivista, pertanto, dice che “indipendentemente da chi vinca, il Venezuela avrà difficoltà a vedere la luce alla fine del tunnel. Le divisioni sociali non possono essere risolte, e l’intervento degli Stati Uniti non si fermerà. Il Venezuela può essere trascinato in un prolungata battaglia politica”. Con totale trasparenza, la dirigenza cinese pensa che il paese si incammini verso maggiori conflitti.
In secondo luogo, sostiene che il Venezuela sia un “importante socio della Cina”. Difende le relazioni di cooperazione “indipendentemente da chi governa il paese”, perché “il commercio con la Cina sarà utile ai venezuelani”. Per quello stimano di mantenere delle relazioni fluide e strette che “in Venezuela trascendono gli interessi di partito”.
I cinesi aprono l’ombrello e avvertono che le relazioni non sono subordinate ai governi di turno, ossia, che sono di lunga durata e non rinunceranno a quelle anche se cadrà il governo di Nicolás Maduro.
Il terzo punto è chiave: “Le sommosse politiche significano rischi per gli investimenti cinesi e la Cina deve apprendere ad affrontarle. La Cina non può rinunciare alla sua presenza economica in America Latina solo per la sua instabilità politica”, afferma l’articolo.
Alla fine, sostiene che la presenza della Cina in America Latina “non ha una motivazione geopolitica”, cosa anche troppo dubbia, ma afferma anche che la “Cina non interferirà nel processo politico del Venezuela o di qualsiasi altro paese latinoamericano”, qualcosa che finora è completamente vero.
Anche se circospetta, l’analisi cinese rivela tre questioni centrali. La presenza cinese nella regione è giunta per rimanere, è chiaro che c’è un conflitto con gli Stati Uniti, e non interferiranno nelle relazioni destra-sinistra, perché -anche se lo negano- la loro presenza è di carattere strategico.
In un altro momento, bisognerà riflettere sul “sistema politico” che la Cina propone, indirettamente, ai paesi amici del mondo che, evidentemente, non assomiglia alle democrazie elettorali di tipo occidentale.
Le relazioni della Cina con la regione abbracciano una vasta gamma di temi, dagli investimenti economici fino agli accordi militari e ai crescenti legami culturali con l’apertura di centinaia di centri di studio di lingua cinese. In vari paesi sono state installate industrie, in particolare di montaggio e costruzione di automobili, fatto che amplia i loro investimenti focalizzati in un prima fase sulle materie prime.
Richiama l’attenzione la potenza delle relazioni economiche. La Cina è uno dei principali soci commerciali dei paesi della regione e ha sostituito, dal 2005 al 2016, la Banca Mondiale e la BID (Banca Interamericana di Sviluppo) come principale fonte di prestiti, con 141 miliardi di dollari rovesciati sull’America Latina e i Caraibi, secondo l’Inter-American Dialogue (goo.gl/8iuAR7).
Il Venezuela assorbe quasi la metà del totale dei prestiti, con 62,200 miliardi di dollari, seguito dal Brasile con 36,800 miliardi, e abbastanza più indietro l’Ecuador e l’Argentina. Gli investimenti in Venezuela ebbero un picco nel 2010 e dopo sono discesi considerevolmente, ma continuano ad occupare un posto rilevante. Il grosso dei suoi investimenti sono destinati ad energia, ossia a idrocarburi, ma anche alle attività minerarie e alle infrastrutture.
Gli investimenti più notevoli sono stati destinati al terminal marittimo della petrolchimica Pequiven e all’impresa mista Sinovensa, costituita da PDVSA e dalla Compagnia Nazionale Cinese del Petrolio, creata dopo la nazionalizzazione della Faglia Petrolifera dell’Onirico, nel 2007. Grazie ai 4 miliardi di dollari investiti dalla Cina, la Sinovensa è passata dal produrre 30 mila barili quotidiani di petrolio a 170 mila barili (goo.gl/9QDaCp).
L’ultimo prestito importante si è registrato nel novembre del 2016, con 2,200 miliardi di dollari nel settore petrolifero, per portare nei prossimi anni la produzione sino-venezuelana a 800 mila barili quotidiani (goo.gl/MZE7nZ).
Proseguendo su questa strada, la Cina finirà con il sostituire gli Stati Uniti come principale mercato del petrolio venezuelano, che è il paese che ostenta le maggiori riserve mondiali di greggio. Questa realtà, più che il “socialismo del XXI secolo”, spiega i motivi di Washington per abbattere Maduro.
4 agosto 2017
tratto da Comitato Fonseca