di Luis Hernández Navarro
Marichuy aveva bisogno di 866 mila 593 firme per essere ammessa alla contesa elettorale. Anche se ancora manca la verifica finale, ha raccolto 281 mila 952 firme. (…).
Il livello di affidabilità delle firme consegnate dalla portavoce del Consiglio Indigeno di Governo (CIG) è del 94,48%. Il più alto tra tutti gli aspiranti alla candidatura indipendente. Gli altri hanno compiuto vere magie. La percentuale di firme convalidata di Jaime Rodríguez, El Bronco, è stata solo del 59,46%; quello di Armando Ríos Piter, 65,66%, e quello di Margarita Zavala, 67,59%. L’aspirante Édgar Portillo ha presentato solo il 2,63% di firme vere.
Le adesioni di Marichuy sono state raccolte da un esercito di volontari che non hanno ricevuto alcun compenso e senza risorse economiche per comperare gli apparecchi telefonici necessari per scannerizzare e trasmettere le sigle all’Istituto Nazionale Elettorale (INE). Mentre il resto degli aspiranti ha commissionato ad agenzie specializzate o a personale stipendiato la raccolta delle firme, la squadra di Marichuy, molti giovani studenti, ha cooperato al compito senza nessun compenso e senza altra spinta che quella di contribuire ad una giusta causa. In un paese in cui i voti si comprano e l’anagrafe elettorale si vende, il gruppo di appoggio del CIG ha dato una lezione di dignità e autentico senso civico.
Praticamente in tutto il mondo, partecipare alle elezioni richiede grandi somme di denaro. Anni fa, il film statunitense intitolato Chi più spende… più guadagna! mostrava come le campagne elettorali sono una bestia insaziabile che divora fortune. Nel film, Montgomery Brewster, un giocatore di baseball in disgrazia, avrebbe ricevuto un’eredità di 300 milioni di dollari a condizione che fosse stato in grado di spenderne 30 milioni in un mese senza comprare niente. Per superare la sfida non trovò modo migliore che candidarsi come sindaco di New York.
Come succede in Chi più spende… più guadagna!, nelle campagne elettorali in Messico circolano fiumi di denaro. Partiti e candidati spendono enormi fortune per vincere o per impedire che i loro avversari vincano. Molte di queste risorse non sono lecite, ma si usano.
Controcorrente a questo comportamento, in questi mesi Marichuy si è spostata praticamente per tutto il paese con pochissimi soldi. Ha rifiutato l’aiuto ufficiale e si è affidata essenzialmente al lavoro spontaneo e gratuito dei suoi simpatizzanti. Le comunità che ha visitato negli angoli più reconditi del paese sono state i suoi anfitrioni. Si è così dimostrato che è possibile fare un’altra politica che non giri intorno ai soldi.
Ancora prima dell’avvio della sua campagna, María de Jesús Patricio è stata vittima del razzismo e della più bassa misoginia. La sua doppia condizione di donna e indigena ha tirato fuori il peggio della società e della politica messicane. Molte belle coscienze liberali, tanto pronte a saltare sul pulpito alla prima occasione per criticare personaggi della nostra vita politica, sono stati in silenzio di fronte alle aggressioni.
Gli esempi delle assurdità circolate in rete sono numerosi. L’account @nopalmuino ha scritto: “Quella di #Marichuy è una pagliacciata, votare per lei solo perché indigena e donna… bisogna proprio essere stupidi”. Un altro che si firma Avvocato del diavolo, ha detto: “sì voterei per #Marichuy. Si vede che è esperta di pulizie in Messico”. Un altro che si fa chiamare Gonz and Roses ha twittato: “Quella #Marichuy somiglia a quella che pulisce casa mia”. L’enigmatico 0111001Or ha sparato: “Chi è #Marichuy e perché non sta facendo il pozole?”.
Tuttavia, queste non sono state le uniche espressioni contro di lei dalla politica più becera. Dalle file di una certa sinistra, alcuni personaggi l’hanno presentata non per quello che è, una donna indigena brillante e intelligente con una lunga esperienza politica, che difende una causa ignorata nella campagna elettorale, quella dei popoli indigeni e l’anticapitalismo, ma come un burattino dello zapatismo per sottrarre voti a chissà chi e perfino come uno strumento del governo o di Carlos Salinas de Gortari.
La campagna di María de Jesús Patricio ha riscosso grande successo evidenziando l’esistenza di quei rabbiosi razzisti, misogini ed escludenti nella società e nella politica messicane. In realtà, tutta questa spazzatura emersa dalla campagna elettorale mostra una delle ragioni per cui è stata necessaria questa incursione.
Le difficoltà che Marichuy ed il CIG hanno affrontato per essere presenti sulla scheda elettorale dimostrano che, benché formalmente esistano per legge le candidature civiche, ciò che prevale è un regime partitocratico in cui le carte sono a favore del monopolio della rappresentanza politica dei partiti. Possono inserirsi nella politica come candidati indipendenti, principalmente e quasi esclusivamente, i politici tradizionali.
Questo regime partitocratico, elitario ed escludente, nato dal Pacto de Barcelona del 1996 tra PRI, PAN e PRD, lascia senza rappresentanza politica un’enorme settore del paese. Lungi dal mettere in discussione la partitocrazia, la logica dei comizi del 2018 la rafforza. Basta guardare le liste dei candidati a deputati e senatori delle diverse coalizioni e le loro proposte in futuri ministeri di governo, per vedere che, essenzialmente, benché competano per sigle differenti, molti sono gli stessi di sempre. La campagna di Marichuy è diventata la prova evidente che una vera transizione democratica continua ad essere la questione in sospeso centrale dell’agenda politica nazionale.
http://www.jornada.unam.mx/2018/02/27/opinion/019a2pol
Twitter: @lhan55
Traduzione “Maribel” – Bergamo