Nel primo quarto del ventunesimo secolo le donne del mondo intero si sono confrontate con una concentrazione estrema degli attacchi del patriarcato. Questi attacchi sistematici hanno raggiunto nel frattempo il carattere di una guerra contro le donne. L’asservimento delle donne yezide da parte dello Stato Islamico, il rapimento di donne nigeriane da parte di Boko Haram, l’odio verso le donne propagato da esponenti politici populisti come Trump, le violenze di massa o la privazione dei diritti e delle libertà, che le donne hanno contrastato, sono solo alcuni esempi che ci illustrano la gravità della situazione. Noi celebriamo, l’8 marzo, la Giornata Internazionale delle Donne di quest’anno con un simile scenario sullo sfondo.
Tuttavia, parallelamente all’accrescimento estremo degli attacchi ostili verso le donne da parte del sistema globale patriarcale, cresce anche la resistenza delle donne. Dappertutto nel mondo le donne si difendono, da attacchi fisici, psicologici, sessuali, politici, economici, culturali ed ecologici. Esse si riconoscono nella lotta mondiale delle donne per la libertà e l’autodeterminazione.
Un importante ruolo di conduzione in questa lotta su scala mondiale è rivestito dal movimento femminile kurdo, il quale, soprattutto attraverso la propria resistenza contro la mentalità patriarcale ostile verso le donne – sia che si manifesti nella forma dello Stato Islamico, sia dell’AKP, o in altre modalità – ha suscitato ammirazione, dappertutto nel mondo. Per il movimento delle donne kurde la resistenza non è da separare dai processi creativi. Mentre noi resistiamo, da un lato, agli attacchi ostili verso le donne, e difendiamo la nostra vita, la nostra libertà, i nostri sogni e le nostre utopie, costruiamo dall’altro lato, contemporaneamente, anche un nostro sistema alternativo. Ciò è essenziale, dal momento che soltanto così si può conseguire e garantire un reale cambiamento. Soltanto così, inoltre, possiamo davvero parlare di una rivoluzione delle donne.