Siamo alla vigilia di un nuovo conflitto elettorale in Messico?
Elezioni sporche e media menzogneri...
di Fabrizio Lorusso
Nella piovosa estate messicana il fango e la polvere cominciano ad appannare la legittimità del processo elettorale di domenica scorsa in cui s’è votato per scegliere il nuovo presidente e rinnovare camera, senato, i governi e i parlamenti di 6 stati e quello di Città del Messico. La compravendita del voto con carte prepagate del supermercato Soriana è lo scandalo del momento, ma c’è anche del sangue a macchiare l’immagine di un’elezione pulita, perfetta, quasi svizzera o svedese, come propinato da numerosi mass media nazionali e internazionali oltre che da una buona parte della classe politica e burocratica messicana: la cruda realtà parla invece di 9 morti, 4 feriti, 66 arresti, 3500 incidenti, decine di atti di squadrismo e 2 autobombe esplose che a loro volta hanno fatto 2 morti tra le forze di polizia e 7 feriti in vari stati del Messico. Non è esattamente il panorama di un paese che rivendica con orgoglio l’appartenenza al G20 o alla OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), tanto per fare un paio di esempi di gruppi d’élite nel concerto geopolitico globale, ma che poi tollera, e in alcuni casi determina, incredibili violazioni alle regole democratiche e ai diritti umani.
I conteggi preliminari di domenica notte e lunedì, riconfermati per ora dal computo definitivo quasi concluso, danno la vittoria col 38% dei voti a Enrique Peña Nieto del Partido Revolucionario Institucional (PRI), il partito “dinosauro”, quello della “dittatura perfetta” (espressione coniata dallo scrittore Mario Vargas Llosa per descrivere un regime autoritario dalla parvenza democratica) che governò il Messico per 71 anni e nel 2000 fu sconfitto dalla destra di Acción Nacional (PAN). Il presidente Vicente Fox governò fino al 2006 e fu rilevato dal compagno di partito Felipe Calderón.