sabato 24 gennaio 2009

MST: 1°dia XIII Encontro Nacional


Corpi Speciali di polizia presidiano la festa dei 25 anni del movimento.
E’ ufficialmente cominciato, con la cerimonia di apertura di ieri sera, molto sentita e partecipata, il XIII Encontro Nacional do MST, che festeggia, in questa occasione, 25 anni. L’incontro è organizzato nell’Assentamento Sarandi, situato all’interno della Fazenda Anoni – Stato del Rio Grande do Sul - che comprende un’area complessiva di 9.000 ettari dove risiedono circa 300 famiglie suddivise in quattro differenti insediamenti.
La strada di accesso è presidiata permanentemente da alcuni uomini e mezzi di un reparto speciale della Polizia Militare, il BOE (Battaglione di Operazioni Speciali), che fermano e identificano chiunque si stia recando all’incontro. Almeno una volta al giorno elicotteri della polizia sovrastano la zona per controllare la situazione: il MST qui, nel sud del paese, sta attraversando un periodo di forte repressione e criminalizzazione, cominciato a giugno dell’anno passato. Proprio per questo clima di tensione e per la congiuntura politica attuale, l’MST ha deciso di non aprire le porte, fino a sabato alla stampa nazionale e internazionale. Sono presenti solo i giornalisti che pubblicano sulle testate del Movimento (Jornal Sem Terra, Brasil de Fato, Radioagencia), una Tv cubana e una venezulana.
Vedi: Scontri e repressione nel Rio Grande do Sul ( 23 giugno 2008 )
All’incontro sono presenti circa 1.100 delegati dei 24 stati brasiliani dove è presente il movimento, membri del MPA (Movimento Pequenos Agricultores), del MAB (Movimento dos Atingdos por Barragens) e di altri movimenti campesinos, e oltre 50 ospiti internazionali, di realtà e movimenti dell’America Latina e europei, tra cui la delegazione di Ya Basta!, ospitata presso l’Istituto Educar, un centro di Formazione Superiore presente all’interno della Fazenda.
La prima giornata è stata dedicata all’analisi delle congiuntura internazionale e della lotta di classe in Brasile. Diversi esponenti del Movimento si sono alternati nella discussione. Il programma della 4 Giornate sarà molto intenso. Oltre alle attività ufficiali, una al mattino e una al pomeriggio, sono previsti nelle pause incontri tra le delegazioni internazionali, riunioni statali e di settore del Movimento (salute, educazione, comunicazione e cultura). E’ stata allestita una enorme cucina nei magazzini della cooperativa dell’insediamento e un panficio, dove lavorano volontariamente anche i giovani dell’Instituto Educar e dove vengono cucinati i prodotti biologici provenienti dale cooperative e dalle aree di riforma agraria del MST, una ciranda (asilo) e una scuola itinerante per i bambini presenti all’incontro, mentre la segreteria sta funzionando come punto di appoggio per il settore di comunicazione e di relazioni internazionali. Tutto è perfettamente organizzato e la previsione è di arrivare a venerdì con oltre 1700 ospiti.

giovedì 22 gennaio 2009

Bad religion


di Luca Casarini
Come era facile prevedere il rombo dei carri armati israeliani e il fragore delle cannonate sulle povere case di Gaza non potevano sovrapporsi agli inni e alle canzoni per l’insediamento di Obama alla Casa Bianca. Non era nei piani. La tregua "unilaterale" annunciata dallo Stato ebraico in realtà è frutto di un preciso calcolo, fatto con largo anticipo e almeno "bi-laterale". Tutto quello che c’era da fare a Gaza, con il suo carico di violenze e morti, bisognava farlo prima che l’amministrazione americana figlia del moto di ribellione interna contro Bush, potesse muovere il primo passo. Da lì, dal cumulo di macerie ottenute e forti della contabilità terribile delle uccisioni di massa inflitte, ora Tel Aviv tratterà con questo nuovo (e strano) successore di Lincoln. Come dire: prima che nuove strategie diplomatiche vengano messe in campo, in discontinuità magari con quelle della coppia di inossidabili sostenitori dei governi di Israele rappresentata da Condoleeza Rice e dal Texano di ferro, meglio sbrigare il lavoro sporco. Un "lavoro" che aveva precise ragioni per Israele, ovviamente diverse da quelle annunciate.Le elezioni interne ad esempio, con un primo ministro, Olmert, totalmente screditato agli occhi dell’opinione pubblica, lo spauracchio della sparizione dell’identità ebraica a fronte di un incremento demografico degli arabi nati tra il Giordano e il Mediterraneo che nel 2010 costituiranno la maggioranza, mettendo in seria crisi i fondamenti stessi della nascita di Israele, la negoziazione, a tutto campo quindi economico-politica con Obama, l’Unione Europea, la Russia e i giganti asiatici. Tutto fuorché i razzi di Hamas. Anzi. Israele, con la sua economia drogata di guerra, non potrebbe esistere senza il perenne stato di emergenza da "assedio". Le sue formazioni politiche costruiscono su questo le loro strategie per catturare il consenso alle elezioni, e le sue lobbies mafioso - affaristiche misurano la possibilità di accumulare enormi profitti proprio sui flussi di denaro che giungono da oltreatlantico. Senza questo ruolo di "assediato" in nome della difesa dei “valori occidentali”, che tipo di peso potrebbe avere Israele nella nuova Yalta dell’era della crisi globale? Inserito perfettamente nelle orribili movenze della guerra globale permanente, lo stato ebraico non vuole rinunciare per nulla ad un ruolo che in questo contesto gli assegna la palma del “simbolo”. Il modo stesso di condurla, la guerra, è espressione di continua anticipazione delle tecniche, militari e politiche, di gestione della asimmetria bellica che caratterizza il permanente disequilibrio mondiale. Israele non ha nessun interesse a trovare una qualche pace. Deve riprodurre un nemico annientabile, sempre, governandolo per mezzo di guerra a differente intensità. Quindi i palestinesi per Israele non sono un problema da risolvere. Ma solo da mantenere, alimentare, sempre in maniera che non possano mai rappresentare una reale minaccia.Dall’altro lato vi sono proprio i palestinesi. Questo ennesimo massacro suggella nel sangue ciò che già dalla morte di Arafat, o forse dalla fine della seconda intifada, si era in grado di ipotizzare: la “causa palestinese”, come processo di liberazione nazionale, e come dinamica identitaria e di ideale assunta dalla formazione dell’OLP in poi, non esiste più. Hamas da una parte e Abu Mazen dall’altra sono il segno evidente che oggi ci troviamo in un’altra dimensione, frutto di una serie di traiettorie di degenerazione che si sono concluse. La corruzione del quadro dirigente palestinese con Al Fatah in testa, la mancanza di una leadership in grado di affermarsi al di là e contro gli interessi dei clan e dei servitori di altri stati, ha portato ad una situazione che per la popolazione civile è semplicemente terribile. Hamas, che dal ’67 ad almeno fino alla prima Intifada è stata "foraggiata" da Israele in chiave anti-OLP, pensa più a guadagnarsi un ruolo tra Teheran e Damasco che alla sorte dei quasi due milioni di "profughi incarcerati" che compongono gli abitanti di Gaza. Le loro sorti, il loro futuro, le loro sofferenze sono tutti regali ad Allah. E forse tributi necessari perché qualche religioso leader trovi la sua fortuna terrena. Anche Hamas, come Israele, non ha alcun interesse a fermare la spirale di guerra. I consensi avuti grazie alla corruzione di Fatah, si possono mantenere in virtù di costruzione di servizi, welfare, strutture. Presi nella morsa dell’embargo da oltre venti mesi, i dirigenti di Hamas possono proporre solo razzi, e non medicine. Quindi lo stato di devastazione e annientamento, il terrore quasi trascendentale che si respira in ogni angolo della striscia, è la condizione per mantenere il potere ben saldo, e attrarre i finanziamenti dell’Iran.Abu Mazen la sua strada sembra averla scelta da tempo. E’ quella tracciata da altri, dagli Stati Uniti in primis, e porta in un bantustan. E’ stata fino ad ora semplicemente un cerchio chiuso, una specie di rotaia dove un burattino, messo lì per rappresentare il compimento della strategia diplomatica di Washington, gira e ogni tanto appare. Se Annapolis viene definita una “carnevalata” da autorevoli commentatori, Abu Mazen è una delle maschere più ridicole. Cisgiordania e Gaza sono, dopo questo massacro, due cose non solo più lontane che mai, ma anche assolutamente diverse.Che cosa rimane? La guerra contro i civili, l’uso del massacro di donne, uomini e bimbi per la negoziazione politico economica, interna ed esterna. Rimangono il dolore, la disperazione, la rabbia, e noi qui, mentre assistiamo ad un processo di mutazione antropologica che trasforma lo spettatore da indignato ad assuefatto. Trasforma il crimine in spettacolo. "This is the world, Baby".C’è poco da dire: religione unita a nazionalismi significano fascismo. Portano al delirio e al fanatismo che combattiamo da sempre. Contribuiscono, da sempre, a mantenere lo stato di cose presenti e a riprodurlo in peggio se possibile. Da fenomeni e tradizioni diventano rapidamente tragedie. Se volessimo parafrasare un grande vecchio diremmo che da “oppio dei popoli” oggi la religione è divenuta già eroina, è stata raffinata, ha reso più potente il suo effetto, è disponibile su scala industriale. Ma essendo in polvere, appesta l’aria.E’ la guerra globale il nostro obiettivo. Dobbiamo distruggerla, smentirla, disvelarla in ogni forma che essa assume. Con “rabbia degna” cerchiamo di non cadere in assurde semplificazioni, cerchiamo di non giustificare tutto dicendo che si tratta di “diversità culturali”. Cerchiamo di vedere le cose per quelle che sono, per come sono oggi. Gli occhi dei bambini terrorizzati e massacrati a Gaza, quelli, ci dicono di più di mille discorsi di Imam e rabbini, di mille parole vuote pronunciate dagli esperti.Boicottare Disinvestire e Sanzionare la guerra globale permanente e i suoi attori principali, Israele nel caso del massacro criminale di Gaza, non è un dogma come dice su questo sito Naomi Klein: è una pratica giusta, una tattica da costruire ed espandere, una reale forma di azione molteplice ed articolata per fermare e attaccare la guerra stessa. Il BDS su Israele, come il boicottaggio del Sud Africa dell’apartheid ma anche quello relativo all’implicazione di aziende e banche italiane con la guerra globale, è possibile, giusto e può avere una certa efficacia. Sicuramente ci pone difronte ad una possibilità: quella di non giocare uno dei ruoli assegnatici dalle forme di potere: spettatori impotenti, tifosi dei morti altrui, alchimisti d’accatto di ideologie e religioni. Il BDS lo facciamo noi, in prima persona. Ha mille forme e si dirige direttamente contro chi fa le stragi di civili innocenti e alimenta questo modo terribile di governare il mondo. E’ direttamente legato alle pratiche, giuste anch’esse, di rottura delle frontiere e degli isolamenti militari che, come a Gaza, imprigionano i civili costringendoli a morire lentamente. Come quando a Ramallh assediata occupammo gli ospedali, oggi a Gaza bombardata se centinaia o migliaia di persone avessero aperto Rafah con una presenza internazionale, sarebbe stato giusto. E se i prodotti “made in Israel”, quelli che hanno il codice a barre che inizia con la cifra 729 sono boicottati, non acquistati, resi inservibili, è giusto, e possibile.Se le aziende che investono in Israele sono “convinte” a non farlo più, è giusto. (Naomi racconta di come questo accada facilmente, e non per motivi politici ma semplicemente commerciali).Questo dobbiamo fare. Per una società migliore per i bambini di Gaza, per tutti.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!