mercoledì 25 febbraio 2009

Facce nere in sciopero per 18 mesi - II parte


IL PADRONE
German Larrea, il colosso del sottosuolo col governo alle spalle.
Il Grupo Mexico non è un'impresa qualsiasi. Anzi, si potrebbe dire che la sua affermazione nel campo minerario a livello internazionale (è il terzo produttore al mondo di rame, il secondo di molibdeno, il quarto di argento e l'ottavo di zinco) è una di quelle classiche storie di arricchimento vertiginoso costruito con influenze e violazione impunita dei diritti dei lavoratori e delle leggi. La forza economica e politica dell'impresa le permette di espandersi per tutto il continente americano, dove acquisisce, per esempio, quella che oggi si conosce come la Southern Coper Corp., la importantissima impresa mineraria peruviana. I minatori che oggi protestano parlano di disinteresse e cinismo da parte del Grupo Mexico. Ed effettivamente i molteplici appelli da parte del sindacato sono rimasti tutti inascoltati. La storia del sindacato dei minatori in Messico mostra almeno due tappe. La prima, in cui l'impresa dimostra una certa tolleranza verso l'organizzazione dei lavoratori. Un periodo felice, in cui il sindacato gode di riconoscibilità e di benefici. Poi arriva la crisi economica del 2000 e l'impresa cambia rotta: ridurre i costi, a qualsiasi prezzo. La presenza del sindacato evidentemente innalza i costi di produzione. Comincia così la guerra tra German Larrea Mota-Velasco, il proprietario del Grupo Mexico e oggi azionista di maggioranza del maggior gruppo televisivo messicano, Televisa, e i lavoratori. E siccome tutto mondo è paese, l'imprenditore non ci pensa su due volte e cerca appoggio presso il governo «imprenditoriale» di Vicente Fox, allora presidente messicano. L'alleanza tra le due parti non tarda a manifestarsi. Nel 2006, subito dopo la tragedia di Pasta de Conchos, Vicente Fox, attraverso il procuratore generale delle repubblica che aveva nominato e che controllava, accusa di furto Napoleon Gomez Urrutia, il segretario nazionale del sindacato. «Napito» (come è chiamato per distinguerlo dal padre Napoleon Gomez Sada, a sua volta capo del sindacato minatori per quarant'anni) secondo l'accusa avrebbe rubato 55 milioni di dollari in azioni che il Grupo Mexico aveva ceduto al sindacato nel quadro dell'acquisto del sistema minerario proprietà dello Stato. «Un'accusa costruita ad arte da parte del governo federale», denunciano i minatori. Vera o falsa (probabilmente vera, ma per cifre molto diverse) l'accusa effettivamente non è stata mai ancora provata. Ma tanto è bastato perché le autorità federali scatenassero tutta la loro forza contro il sindacato. Assieme all'accusa, infatti, il governo riuscì a imporre una votazione straordinaria all'interno dell'organizzazione sindacale imponendo un proprio uomo, Elías Morales Hernández. È il golpe all'interno del sindacato. Pochi mesi dopo, nel maggio 2006, Gomez Urrutia scappava in Canada e chiedeva asilo politico. In Messico rimangono i minatori a lui fedeli - la maggioranza - che non riconoscono il nuovo segretario e continuano nella loro lotta. La nuova amministrazione federale, capitanata dal fraudolento Felipe Calderon, ha ripreso la battaglia contro il sindacato. Calderon non risparmia forze, non solo facendo pressioni sui lavoratori in sciopero con l'invio di centinaia di agenti della temibile polizia federale ma anche riprendendo la via legale: accuse e denunce contro i quadri intermedi del grande e potente sindacato nazionale, e alcuni arresti eccellenti come quelli contro il numero due e tre dell'organizzazione, lo scorso mese di dicembre. Una battaglia, spiegano i minatori, che si combatte su più fronti e che trova, nonostante la storica dispersione e divisione all'interno del sindacalismo messicano, la solidarietà di sostanzialmente tutte le sigle sindacali nazionali. La lotta dei minatori si configura oggi come una battaglia che deve essere vinta innanzitutto dal sindacalismo messicano. Le ragioni sono semplici. Innanzitutto c'è il rischio che con se dovesse vincere l'impresa alleata al governo, si affermerebbe un pericoloso precedente per tutti gli altri sindacati, vista la forza e la capacità organizzativa e disciplinare del sindacato dei minatori. «Se vincono contro i minatori ci investono tutti», è la frase che tutti pronunciano per cercare di spiegare il pericolo imminente. Un pericolo reale, proprio ora che il governo federale, grazie alla crisi economica che qui impone previsioni di crescita economica attorno al meno 1%, vorrebbe varare l'annunciata riforma della legge del lavoro, stessa che si prevede introdurrebbe i contratti-prova, legalizzerebbe la contrattazione temporale e il lavoro interinale. E poi vi è il problema della violazione alla libertà sindacale. Il caso dei minatori non è l'unico, al contrario. Ma negli ultimi anni è diventato il caso paradigmatico delle ingerenze che un'impresa alleata o meno al governo può esercitare all'interno della vita sindacale. Il governo se ne lava le mani, forte di una legge che gli permette riconoscere o meno un segretario sindacale con la cosiddetta toma de nota, di memoria fascista. La stessa Federazione internazionale dei sindacati metalmeccanici (Fism) ha recentemente inviato una denuncia all'Organizzazione internazionale del lavoro in cui segnala «la mancanza di libertà sindacale in Messico», citando giustamente il caso dei minatori.
Matteo Dean

FACCE NERE IN SCIOPERO PER 18 MESI - I parte

di Matteo Dean
Da un anno e mezzo il sindacato dei minatori blocca gli storici giacimenti di Taxco, Sombrerete e Cananea, dove nacque (con una strage del 1906) il movimento sindacale messicano. Il padrone è il super-ricco numero tre del paese, miracolato dalle privatizzazioni. E il leader del sindacato è costretto a fuggire in Canada inseguito dai mandati di cattura. Il 30 gennaio scorso, i minatori del «Sindacato nazionale dei lavoratori minatori e metalmeccanici della Repubblica messicana» (Sntmmrm) hanno compiuto 18 mesi di sciopero presso le tre miniere di Taxco, Sombrerete e Cananea, senza che si intraveda all'orizzonte una soluzione al lungo conflitto che oppone i minatori ad una delle imprese più potenti del paese, il Grupo Mexico. Iniziato per cause legate alla revisione salariale del contratto collettivo nazionale e per questioni di sicurezza sul posto di lavoro, la protesta dei minatori è diventata una questione politica che coinvolge ormai non solo le due parti, ma lo stesso governo messicano. Questo infatti, ancor prima che scoppiasse la dura protesta del sindacato, ha preso parte al conflitto schierandosi apertamente dalla parte dell'impresa di German Larrea Mota-Velasco, il potente imprenditore del nord del paese che ad inizio anni 90, grazie alle privatizzazioni, si è impossessato della maggior parte delle ricchezze del sottosuolo messicano ed oggi è il super-ricco messicano numero tre, e 127 del mondo secondo Forbes. Sono miniere storiche. A Cananea nacque il movimento sindacale in Messico, quando nel 1906 il governatore chiamò i Rangers dall'Arizona per reprimere uno sciopero nella miniera di rame contro la Anaconda copper company: 23 morti. Cento anni dopo le pessime condizioni lavorative, il deterioro dei parametri di sicurezza sul lavoro e l'obsolescenza delle strutture al limite del collasso strutturale, oltre alla negazione da parte dell'impresa della richiesta di revisione salariale, sono tra le cause della protesta. Poco meno di dieci euro al giorno per un turno di otto ore a novecento metri sottoterra sono precisamente le condizioni che i minatori pongono al centro della protesta. E inoltre la mancanza di caschi, guanti e vestiario adatto. Le malattie professionali non si contato, a cominciare dalla silicosi che, dice il sindacato, colpisce praticamente ogni minatore. L'impresa, secondo i lavoratori, non presta attenzione a queste situazioni. Se per contratto un minatore dovrebbe lavorare un massimo di 13 anni dentro la miniera, l'impresa vanta lavoratori con un'anzianità di oltre trent'anni. E quando li manda in pensione, spiegano i sindacalisti, «fa di tutto per negare o ridurre l'indennità per malattia». A questa situazione si aggiunge l'arrivo presso le miniere di un numero ancora impreciso di lavoratori esterni. Contrattati il più delle volte attraverso imprese fantasma, i lavoratori esterni smettono di essere precari, e diventano veri e propri schiavi: 3 euro al giorno, turni da 12 a 14 ore continue per attività che vengono definite «speciali»: esplorazione, apertura di nuove gallerie, utilizzo di esplosivi. Non godono di alcun tipo di protezione sociale, come per esempio la ripartizione dei guadagni dell'impresa (garantita per legge a tutti i lavoratori), non godono di vacanze pagate e nella maggior parte dei casi hanno contratti della durata massima di un mese. Racconta un dirigente del sindacato: «Una volta, un esterno s'è infortunato. L'impresa si rifiutò di chiamare l'ambulanza perché diceva che non era un suo lavoratore. Dovemmo portarlo noi in ospedale e fare colletta per pagargli le cure».Se fosse poco, il sindacato denuncia la precarietà delle strutture: macchinari vecchi, strutture fatiscenti, mancanza di filtri per le emissioni che inquinano aria e fiumi nei territori circostanti. Un esempio su tutti: l'8 agosto 2007, solo pochi giorni dopo l'occupazione da parte dei lavoratori della miniera di Taxco, a duecento chilometri a sud della capitale del paese, un'enorme frana si staccava e cadeva per centinaia di metri nel fosso principale della miniera. «Se fossimo stati lì, ci sarebbero stati almeno un'ottantina di morti», denuncia il segretario locale del sindacato, Roberto Hernández Mojica. E aggiunge: «Pasta de Conchos non ha insegnato nulla». Il riferimento è obbligato: all'alba del 19 febbraio 2006, un anno prima che i minatori cominciassero a protestare, un'esplosione di grisù bloccò e poi seppellì 65 minatori del carbone. Sino ad oggi nessun corpo è stato ancora recuperato. Vivere 18 mesi di sciopero non è una cosa facile. L'impresa ha pagato un'imponente campagna mediatica con l'unico scopo di screditare la dirigenza sindacale. Ed anche se è vero che nel sindacato non sono tutti santi, i dirigenti delle miniere in sciopero pagano le conseguenze come gli altri. «Si vive senza salario e grazie all'aiuto dell'organizzazione nazionale», spiega Roberto Hernández Mojica, segretario locale presso la miniera di Taxco. Sua moglie ammette le privazioni ma non senza un certo orgoglio: «Ci sono conseguenze materiali, chiaro. Non andiamo più fuori a cena, non possiamo comprare molti vestiti nuovi. Ma resistiamo, perché mio marito e i suoi colleghi hanno ragione». Il figlio appena maggiorenne racconta: «Prima, con il salario di mio padre appena si sopravviveva, ma ora è peggio». Mancano le scarpe nuove, mancano i soldi per portare fuori la ragazza. Ciononostante, il giovane dice che quando si può, cerca di aiutare lo sforzo dei genitori. «A volte vado in miniera con mio padre per appoggiare il presidio».

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!