IL PADRONE
German Larrea, il colosso del sottosuolo col governo alle spalle.
Il Grupo Mexico non è un'impresa qualsiasi. Anzi, si potrebbe dire che la sua affermazione nel campo minerario a livello internazionale (è il terzo produttore al mondo di rame, il secondo di molibdeno, il quarto di argento e l'ottavo di zinco) è una di quelle classiche storie di arricchimento vertiginoso costruito con influenze e violazione impunita dei diritti dei lavoratori e delle leggi. La forza economica e politica dell'impresa le permette di espandersi per tutto il continente americano, dove acquisisce, per esempio, quella che oggi si conosce come la Southern Coper Corp., la importantissima impresa mineraria peruviana. I minatori che oggi protestano parlano di disinteresse e cinismo da parte del Grupo Mexico. Ed effettivamente i molteplici appelli da parte del sindacato sono rimasti tutti inascoltati. La storia del sindacato dei minatori in Messico mostra almeno due tappe. La prima, in cui l'impresa dimostra una certa tolleranza verso l'organizzazione dei lavoratori. Un periodo felice, in cui il sindacato gode di riconoscibilità e di benefici. Poi arriva la crisi economica del 2000 e l'impresa cambia rotta: ridurre i costi, a qualsiasi prezzo. La presenza del sindacato evidentemente innalza i costi di produzione. Comincia così la guerra tra German Larrea Mota-Velasco, il proprietario del Grupo Mexico e oggi azionista di maggioranza del maggior gruppo televisivo messicano, Televisa, e i lavoratori. E siccome tutto mondo è paese, l'imprenditore non ci pensa su due volte e cerca appoggio presso il governo «imprenditoriale» di Vicente Fox, allora presidente messicano. L'alleanza tra le due parti non tarda a manifestarsi. Nel 2006, subito dopo la tragedia di Pasta de Conchos, Vicente Fox, attraverso il procuratore generale delle repubblica che aveva nominato e che controllava, accusa di furto Napoleon Gomez Urrutia, il segretario nazionale del sindacato. «Napito» (come è chiamato per distinguerlo dal padre Napoleon Gomez Sada, a sua volta capo del sindacato minatori per quarant'anni) secondo l'accusa avrebbe rubato 55 milioni di dollari in azioni che il Grupo Mexico aveva ceduto al sindacato nel quadro dell'acquisto del sistema minerario proprietà dello Stato. «Un'accusa costruita ad arte da parte del governo federale», denunciano i minatori. Vera o falsa (probabilmente vera, ma per cifre molto diverse) l'accusa effettivamente non è stata mai ancora provata. Ma tanto è bastato perché le autorità federali scatenassero tutta la loro forza contro il sindacato. Assieme all'accusa, infatti, il governo riuscì a imporre una votazione straordinaria all'interno dell'organizzazione sindacale imponendo un proprio uomo, Elías Morales Hernández. È il golpe all'interno del sindacato. Pochi mesi dopo, nel maggio 2006, Gomez Urrutia scappava in Canada e chiedeva asilo politico. In Messico rimangono i minatori a lui fedeli - la maggioranza - che non riconoscono il nuovo segretario e continuano nella loro lotta. La nuova amministrazione federale, capitanata dal fraudolento Felipe Calderon, ha ripreso la battaglia contro il sindacato. Calderon non risparmia forze, non solo facendo pressioni sui lavoratori in sciopero con l'invio di centinaia di agenti della temibile polizia federale ma anche riprendendo la via legale: accuse e denunce contro i quadri intermedi del grande e potente sindacato nazionale, e alcuni arresti eccellenti come quelli contro il numero due e tre dell'organizzazione, lo scorso mese di dicembre. Una battaglia, spiegano i minatori, che si combatte su più fronti e che trova, nonostante la storica dispersione e divisione all'interno del sindacalismo messicano, la solidarietà di sostanzialmente tutte le sigle sindacali nazionali. La lotta dei minatori si configura oggi come una battaglia che deve essere vinta innanzitutto dal sindacalismo messicano. Le ragioni sono semplici. Innanzitutto c'è il rischio che con se dovesse vincere l'impresa alleata al governo, si affermerebbe un pericoloso precedente per tutti gli altri sindacati, vista la forza e la capacità organizzativa e disciplinare del sindacato dei minatori. «Se vincono contro i minatori ci investono tutti», è la frase che tutti pronunciano per cercare di spiegare il pericolo imminente. Un pericolo reale, proprio ora che il governo federale, grazie alla crisi economica che qui impone previsioni di crescita economica attorno al meno 1%, vorrebbe varare l'annunciata riforma della legge del lavoro, stessa che si prevede introdurrebbe i contratti-prova, legalizzerebbe la contrattazione temporale e il lavoro interinale. E poi vi è il problema della violazione alla libertà sindacale. Il caso dei minatori non è l'unico, al contrario. Ma negli ultimi anni è diventato il caso paradigmatico delle ingerenze che un'impresa alleata o meno al governo può esercitare all'interno della vita sindacale. Il governo se ne lava le mani, forte di una legge che gli permette riconoscere o meno un segretario sindacale con la cosiddetta toma de nota, di memoria fascista. La stessa Federazione internazionale dei sindacati metalmeccanici (Fism) ha recentemente inviato una denuncia all'Organizzazione internazionale del lavoro in cui segnala «la mancanza di libertà sindacale in Messico», citando giustamente il caso dei minatori.
Matteo Dean
German Larrea, il colosso del sottosuolo col governo alle spalle.
Il Grupo Mexico non è un'impresa qualsiasi. Anzi, si potrebbe dire che la sua affermazione nel campo minerario a livello internazionale (è il terzo produttore al mondo di rame, il secondo di molibdeno, il quarto di argento e l'ottavo di zinco) è una di quelle classiche storie di arricchimento vertiginoso costruito con influenze e violazione impunita dei diritti dei lavoratori e delle leggi. La forza economica e politica dell'impresa le permette di espandersi per tutto il continente americano, dove acquisisce, per esempio, quella che oggi si conosce come la Southern Coper Corp., la importantissima impresa mineraria peruviana. I minatori che oggi protestano parlano di disinteresse e cinismo da parte del Grupo Mexico. Ed effettivamente i molteplici appelli da parte del sindacato sono rimasti tutti inascoltati. La storia del sindacato dei minatori in Messico mostra almeno due tappe. La prima, in cui l'impresa dimostra una certa tolleranza verso l'organizzazione dei lavoratori. Un periodo felice, in cui il sindacato gode di riconoscibilità e di benefici. Poi arriva la crisi economica del 2000 e l'impresa cambia rotta: ridurre i costi, a qualsiasi prezzo. La presenza del sindacato evidentemente innalza i costi di produzione. Comincia così la guerra tra German Larrea Mota-Velasco, il proprietario del Grupo Mexico e oggi azionista di maggioranza del maggior gruppo televisivo messicano, Televisa, e i lavoratori. E siccome tutto mondo è paese, l'imprenditore non ci pensa su due volte e cerca appoggio presso il governo «imprenditoriale» di Vicente Fox, allora presidente messicano. L'alleanza tra le due parti non tarda a manifestarsi. Nel 2006, subito dopo la tragedia di Pasta de Conchos, Vicente Fox, attraverso il procuratore generale delle repubblica che aveva nominato e che controllava, accusa di furto Napoleon Gomez Urrutia, il segretario nazionale del sindacato. «Napito» (come è chiamato per distinguerlo dal padre Napoleon Gomez Sada, a sua volta capo del sindacato minatori per quarant'anni) secondo l'accusa avrebbe rubato 55 milioni di dollari in azioni che il Grupo Mexico aveva ceduto al sindacato nel quadro dell'acquisto del sistema minerario proprietà dello Stato. «Un'accusa costruita ad arte da parte del governo federale», denunciano i minatori. Vera o falsa (probabilmente vera, ma per cifre molto diverse) l'accusa effettivamente non è stata mai ancora provata. Ma tanto è bastato perché le autorità federali scatenassero tutta la loro forza contro il sindacato. Assieme all'accusa, infatti, il governo riuscì a imporre una votazione straordinaria all'interno dell'organizzazione sindacale imponendo un proprio uomo, Elías Morales Hernández. È il golpe all'interno del sindacato. Pochi mesi dopo, nel maggio 2006, Gomez Urrutia scappava in Canada e chiedeva asilo politico. In Messico rimangono i minatori a lui fedeli - la maggioranza - che non riconoscono il nuovo segretario e continuano nella loro lotta. La nuova amministrazione federale, capitanata dal fraudolento Felipe Calderon, ha ripreso la battaglia contro il sindacato. Calderon non risparmia forze, non solo facendo pressioni sui lavoratori in sciopero con l'invio di centinaia di agenti della temibile polizia federale ma anche riprendendo la via legale: accuse e denunce contro i quadri intermedi del grande e potente sindacato nazionale, e alcuni arresti eccellenti come quelli contro il numero due e tre dell'organizzazione, lo scorso mese di dicembre. Una battaglia, spiegano i minatori, che si combatte su più fronti e che trova, nonostante la storica dispersione e divisione all'interno del sindacalismo messicano, la solidarietà di sostanzialmente tutte le sigle sindacali nazionali. La lotta dei minatori si configura oggi come una battaglia che deve essere vinta innanzitutto dal sindacalismo messicano. Le ragioni sono semplici. Innanzitutto c'è il rischio che con se dovesse vincere l'impresa alleata al governo, si affermerebbe un pericoloso precedente per tutti gli altri sindacati, vista la forza e la capacità organizzativa e disciplinare del sindacato dei minatori. «Se vincono contro i minatori ci investono tutti», è la frase che tutti pronunciano per cercare di spiegare il pericolo imminente. Un pericolo reale, proprio ora che il governo federale, grazie alla crisi economica che qui impone previsioni di crescita economica attorno al meno 1%, vorrebbe varare l'annunciata riforma della legge del lavoro, stessa che si prevede introdurrebbe i contratti-prova, legalizzerebbe la contrattazione temporale e il lavoro interinale. E poi vi è il problema della violazione alla libertà sindacale. Il caso dei minatori non è l'unico, al contrario. Ma negli ultimi anni è diventato il caso paradigmatico delle ingerenze che un'impresa alleata o meno al governo può esercitare all'interno della vita sindacale. Il governo se ne lava le mani, forte di una legge che gli permette riconoscere o meno un segretario sindacale con la cosiddetta toma de nota, di memoria fascista. La stessa Federazione internazionale dei sindacati metalmeccanici (Fism) ha recentemente inviato una denuncia all'Organizzazione internazionale del lavoro in cui segnala «la mancanza di libertà sindacale in Messico», citando giustamente il caso dei minatori.
Matteo Dean