Da un anno e mezzo il sindacato dei minatori blocca gli storici giacimenti di Taxco, Sombrerete e Cananea, dove nacque (con una strage del 1906) il movimento sindacale messicano. Il padrone è il super-ricco numero tre del paese, miracolato dalle privatizzazioni. E il leader del sindacato è costretto a fuggire in Canada inseguito dai mandati di cattura. Il 30 gennaio scorso, i minatori del «Sindacato nazionale dei lavoratori minatori e metalmeccanici della Repubblica messicana» (Sntmmrm) hanno compiuto 18 mesi di sciopero presso le tre miniere di Taxco, Sombrerete e Cananea, senza che si intraveda all'orizzonte una soluzione al lungo conflitto che oppone i minatori ad una delle imprese più potenti del paese, il Grupo Mexico. Iniziato per cause legate alla revisione salariale del contratto collettivo nazionale e per questioni di sicurezza sul posto di lavoro, la protesta dei minatori è diventata una questione politica che coinvolge ormai non solo le due parti, ma lo stesso governo messicano. Questo infatti, ancor prima che scoppiasse la dura protesta del sindacato, ha preso parte al conflitto schierandosi apertamente dalla parte dell'impresa di German Larrea Mota-Velasco, il potente imprenditore del nord del paese che ad inizio anni 90, grazie alle privatizzazioni, si è impossessato della maggior parte delle ricchezze del sottosuolo messicano ed oggi è il super-ricco messicano numero tre, e 127 del mondo secondo Forbes. Sono miniere storiche. A Cananea nacque il movimento sindacale in Messico, quando nel 1906 il governatore chiamò i Rangers dall'Arizona per reprimere uno sciopero nella miniera di rame contro la Anaconda copper company: 23 morti. Cento anni dopo le pessime condizioni lavorative, il deterioro dei parametri di sicurezza sul lavoro e l'obsolescenza delle strutture al limite del collasso strutturale, oltre alla negazione da parte dell'impresa della richiesta di revisione salariale, sono tra le cause della protesta. Poco meno di dieci euro al giorno per un turno di otto ore a novecento metri sottoterra sono precisamente le condizioni che i minatori pongono al centro della protesta. E inoltre la mancanza di caschi, guanti e vestiario adatto. Le malattie professionali non si contato, a cominciare dalla silicosi che, dice il sindacato, colpisce praticamente ogni minatore. L'impresa, secondo i lavoratori, non presta attenzione a queste situazioni. Se per contratto un minatore dovrebbe lavorare un massimo di 13 anni dentro la miniera, l'impresa vanta lavoratori con un'anzianità di oltre trent'anni. E quando li manda in pensione, spiegano i sindacalisti, «fa di tutto per negare o ridurre l'indennità per malattia». A questa situazione si aggiunge l'arrivo presso le miniere di un numero ancora impreciso di lavoratori esterni. Contrattati il più delle volte attraverso imprese fantasma, i lavoratori esterni smettono di essere precari, e diventano veri e propri schiavi: 3 euro al giorno, turni da 12 a 14 ore continue per attività che vengono definite «speciali»: esplorazione, apertura di nuove gallerie, utilizzo di esplosivi. Non godono di alcun tipo di protezione sociale, come per esempio la ripartizione dei guadagni dell'impresa (garantita per legge a tutti i lavoratori), non godono di vacanze pagate e nella maggior parte dei casi hanno contratti della durata massima di un mese. Racconta un dirigente del sindacato: «Una volta, un esterno s'è infortunato. L'impresa si rifiutò di chiamare l'ambulanza perché diceva che non era un suo lavoratore. Dovemmo portarlo noi in ospedale e fare colletta per pagargli le cure».Se fosse poco, il sindacato denuncia la precarietà delle strutture: macchinari vecchi, strutture fatiscenti, mancanza di filtri per le emissioni che inquinano aria e fiumi nei territori circostanti. Un esempio su tutti: l'8 agosto 2007, solo pochi giorni dopo l'occupazione da parte dei lavoratori della miniera di Taxco, a duecento chilometri a sud della capitale del paese, un'enorme frana si staccava e cadeva per centinaia di metri nel fosso principale della miniera. «Se fossimo stati lì, ci sarebbero stati almeno un'ottantina di morti», denuncia il segretario locale del sindacato, Roberto Hernández Mojica. E aggiunge: «Pasta de Conchos non ha insegnato nulla». Il riferimento è obbligato: all'alba del 19 febbraio 2006, un anno prima che i minatori cominciassero a protestare, un'esplosione di grisù bloccò e poi seppellì 65 minatori del carbone. Sino ad oggi nessun corpo è stato ancora recuperato. Vivere 18 mesi di sciopero non è una cosa facile. L'impresa ha pagato un'imponente campagna mediatica con l'unico scopo di screditare la dirigenza sindacale. Ed anche se è vero che nel sindacato non sono tutti santi, i dirigenti delle miniere in sciopero pagano le conseguenze come gli altri. «Si vive senza salario e grazie all'aiuto dell'organizzazione nazionale», spiega Roberto Hernández Mojica, segretario locale presso la miniera di Taxco. Sua moglie ammette le privazioni ma non senza un certo orgoglio: «Ci sono conseguenze materiali, chiaro. Non andiamo più fuori a cena, non possiamo comprare molti vestiti nuovi. Ma resistiamo, perché mio marito e i suoi colleghi hanno ragione». Il figlio appena maggiorenne racconta: «Prima, con il salario di mio padre appena si sopravviveva, ma ora è peggio». Mancano le scarpe nuove, mancano i soldi per portare fuori la ragazza. Ciononostante, il giovane dice che quando si può, cerca di aiutare lo sforzo dei genitori. «A volte vado in miniera con mio padre per appoggiare il presidio».
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Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.
La lucha sigue!