di Astrit Dakli
La crisi morde ormai in modo molto serio nell’ex Unione sovietica. Gennaio ha visto manifestazioni antigovernative e scontri di piazza nei paesi baltici; in Ucraina, dove il disastro economico è più grave, si stanno moltiplicando le proteste, indirizzate soprattutto contro il presidente Viktor Yushenko, accusato (non a torto) di aver paralizzato l’azione del governo; in Russia la crisi morde a tutti i livelli e comincia a fare vittime illustri. Ci sono i licenziamenti che cominciano ad essere massicci un po’ in tutti i settori, con i disoccupati che aumentano a un ritmo di centomila a settimana; e c’è la «strage dei miliardari» – 52 grandi magnati che nel 2008 avevano un patrimonio superiore al miliardo di dollari e ora non ce l’hanno più, mentre i 49 rimasti hanno visto ridursi di due terzi le loro ricchezze. Ci sono tensioni crescenti a livello di piazza, con manifestazioni di protesta antigovernativa che ormai si svolgono regolarmente ogni weekend nelle principali città; e ci sono tensioni crescenti nelle alte sfere politiche, mentre le prime teste cominciano a rotolare.Ieri è stata annunciata la prima raffica di epurazioni esplicitamente legate a «cattiva gestione della crisi»: il presidente Dmitrij Medvedev ha rimosso dai loro incarichi quattro governatori regionali, mentre un ministro «storico» ha perso il posto. I dirigenti rimossi sono i governatori delle regioni di Orel, Pskov, Voronezh e quello del distretto autonomo dei Nenets; il ministro è quello dell’agricoltura, Aleksej Gordeev, che teneva l’incarico da dieci anni e che è stato spedito a sostituire uno dei governatori licenziati – quello di Voronezh, cioè di una regione agricola… E’ la prima volta che Medvedev prende in mano decisamente la situazione del personale politico: finora il presidente aveva tenuto quasi completamente fermo l’organico (regionale e federale) costruito durante gli otto anni di Vladimir Putin, ora invece - non a caso sulla spinta della crisi economica incalzante - Medvedev mostra di voler dirigere realmente la nave, e soprattutto lo fa indicando delle responsabilità e mostrando simbolicamente che nessuno è al riparo e che gli sbagli si pagano. Un messaggio che potrebbe riguardare lo stesso Putin – anche se il discorso appare molto prematuro: un giornale (Kommersant-Vlast) ieri si chiedeva e chiedeva a una serie di autorevoli politologi se il presidente non stia preparandosi a dare il benservito al potente primo ministro. La risposta generale è naturalmente «no», però intanto si può notare che il nome del premier è quasi scomparso dai titoli dei giornali, che dominava anche a scapito del presidente fino a non molto tempo fa. Ma forse è il capo del governo, come responsabile dell’economia, che preferisce tenere di questi tempi un profilo basso.Ne ha ben motivo, in effetti. Le proteste di piazza si stanno intensificando e prendono sempre più di mira il potere, che in qualche modo deve mostrare una reazione. Sabato a Mosca si sono svolte diverse manifestazioni (tra cui una, autorizzata, in memoria dell’avvocato Stanislav Markelov e della giornalista Anastasia Baburina, uccisi il 19 gennaio) e molte altre hanno occupato le piazze delle città russe, da Khabarovsk (estremo oriente) a San Pietroburgo. Non si tratta certo di manifestazioni oceaniche – qualche migliaio di persone al massimo – ma la loro regolarità e diffusione sono un segno chiaro del [/TXT]cambiamento netto di umori del paese. Il consenso massiccio, plebiscitario di qualche mese fa sembra ormai solo un ricordo.Il tema è sempre il modo in cui il governo sta gestendo la crisi, in particolare nel settore dell’auto, con le nuove tasse sull’import dall’estero (che stanno provocando una vera e propria rivolta nella Siberia orientale) e con le chiusure e i licenziamenti che stanno comunque affliggendo gli impianti nazionali e in particolare AvtoVaz, la maggiore azienda automobilistica russa, che ha di nuovo fermato le linee. A Togliatti, dove Avtovaz ha la sede, i sindacati hanno tenuto un affollato comizio dove, diversamente da quanto avvenuto il mese scorso, non hanno più difeso la tassa sull’import ma hanno invece attaccato il management aziendale e i dirigenti politici locali. Altro tema molto sentito, gli aumenti delle tariffe dei servizi pubblici e in particolare di quelli legati all’abitazione (riscaldamento, elettricità, gas, affitti comunali, ecc.). Proprio su questo si è svolta una delle manifestazioni più grosse di questo weekend: a Voronezh, dove guarda caso proprio l’indomani il governatore ha ricevuto dal Cremlino l’ordine di far le valigie.Se Putin tiene un basso profilo, bersagliato com’è dalle critiche di piazza che accusano lui, non il Cremlino – e anche da alcune frecciate del presidente, che in un paio di occasioni recenti ha parlato di «errori» e di «ritardi» nell’azione del governo – Medvedev invece tiene banco. Ormai sono diventati regolari i suoi incontri con i media e le sue interviste televisive, in cui continua a ribadire che la situazione del paese «è difficile», ma anche ben avviata verso il superamento della crisi. I prossimi mesi diranno se si è sbilanciato troppo o no.
(Pubblicato sul manifesto del 17 febbraio 2009)
La crisi morde ormai in modo molto serio nell’ex Unione sovietica. Gennaio ha visto manifestazioni antigovernative e scontri di piazza nei paesi baltici; in Ucraina, dove il disastro economico è più grave, si stanno moltiplicando le proteste, indirizzate soprattutto contro il presidente Viktor Yushenko, accusato (non a torto) di aver paralizzato l’azione del governo; in Russia la crisi morde a tutti i livelli e comincia a fare vittime illustri. Ci sono i licenziamenti che cominciano ad essere massicci un po’ in tutti i settori, con i disoccupati che aumentano a un ritmo di centomila a settimana; e c’è la «strage dei miliardari» – 52 grandi magnati che nel 2008 avevano un patrimonio superiore al miliardo di dollari e ora non ce l’hanno più, mentre i 49 rimasti hanno visto ridursi di due terzi le loro ricchezze. Ci sono tensioni crescenti a livello di piazza, con manifestazioni di protesta antigovernativa che ormai si svolgono regolarmente ogni weekend nelle principali città; e ci sono tensioni crescenti nelle alte sfere politiche, mentre le prime teste cominciano a rotolare.Ieri è stata annunciata la prima raffica di epurazioni esplicitamente legate a «cattiva gestione della crisi»: il presidente Dmitrij Medvedev ha rimosso dai loro incarichi quattro governatori regionali, mentre un ministro «storico» ha perso il posto. I dirigenti rimossi sono i governatori delle regioni di Orel, Pskov, Voronezh e quello del distretto autonomo dei Nenets; il ministro è quello dell’agricoltura, Aleksej Gordeev, che teneva l’incarico da dieci anni e che è stato spedito a sostituire uno dei governatori licenziati – quello di Voronezh, cioè di una regione agricola… E’ la prima volta che Medvedev prende in mano decisamente la situazione del personale politico: finora il presidente aveva tenuto quasi completamente fermo l’organico (regionale e federale) costruito durante gli otto anni di Vladimir Putin, ora invece - non a caso sulla spinta della crisi economica incalzante - Medvedev mostra di voler dirigere realmente la nave, e soprattutto lo fa indicando delle responsabilità e mostrando simbolicamente che nessuno è al riparo e che gli sbagli si pagano. Un messaggio che potrebbe riguardare lo stesso Putin – anche se il discorso appare molto prematuro: un giornale (Kommersant-Vlast) ieri si chiedeva e chiedeva a una serie di autorevoli politologi se il presidente non stia preparandosi a dare il benservito al potente primo ministro. La risposta generale è naturalmente «no», però intanto si può notare che il nome del premier è quasi scomparso dai titoli dei giornali, che dominava anche a scapito del presidente fino a non molto tempo fa. Ma forse è il capo del governo, come responsabile dell’economia, che preferisce tenere di questi tempi un profilo basso.Ne ha ben motivo, in effetti. Le proteste di piazza si stanno intensificando e prendono sempre più di mira il potere, che in qualche modo deve mostrare una reazione. Sabato a Mosca si sono svolte diverse manifestazioni (tra cui una, autorizzata, in memoria dell’avvocato Stanislav Markelov e della giornalista Anastasia Baburina, uccisi il 19 gennaio) e molte altre hanno occupato le piazze delle città russe, da Khabarovsk (estremo oriente) a San Pietroburgo. Non si tratta certo di manifestazioni oceaniche – qualche migliaio di persone al massimo – ma la loro regolarità e diffusione sono un segno chiaro del [/TXT]cambiamento netto di umori del paese. Il consenso massiccio, plebiscitario di qualche mese fa sembra ormai solo un ricordo.Il tema è sempre il modo in cui il governo sta gestendo la crisi, in particolare nel settore dell’auto, con le nuove tasse sull’import dall’estero (che stanno provocando una vera e propria rivolta nella Siberia orientale) e con le chiusure e i licenziamenti che stanno comunque affliggendo gli impianti nazionali e in particolare AvtoVaz, la maggiore azienda automobilistica russa, che ha di nuovo fermato le linee. A Togliatti, dove Avtovaz ha la sede, i sindacati hanno tenuto un affollato comizio dove, diversamente da quanto avvenuto il mese scorso, non hanno più difeso la tassa sull’import ma hanno invece attaccato il management aziendale e i dirigenti politici locali. Altro tema molto sentito, gli aumenti delle tariffe dei servizi pubblici e in particolare di quelli legati all’abitazione (riscaldamento, elettricità, gas, affitti comunali, ecc.). Proprio su questo si è svolta una delle manifestazioni più grosse di questo weekend: a Voronezh, dove guarda caso proprio l’indomani il governatore ha ricevuto dal Cremlino l’ordine di far le valigie.Se Putin tiene un basso profilo, bersagliato com’è dalle critiche di piazza che accusano lui, non il Cremlino – e anche da alcune frecciate del presidente, che in un paio di occasioni recenti ha parlato di «errori» e di «ritardi» nell’azione del governo – Medvedev invece tiene banco. Ormai sono diventati regolari i suoi incontri con i media e le sue interviste televisive, in cui continua a ribadire che la situazione del paese «è difficile», ma anche ben avviata verso il superamento della crisi. I prossimi mesi diranno se si è sbilanciato troppo o no.
(Pubblicato sul manifesto del 17 febbraio 2009)