mercoledì 24 giugno 2009

Il dolore degli iraniani

Lettera aperta di un'iraniana al suo popolo e all'Occidente

Tutto e' nero.Tutto ha perso il significato. Anche la lotta virtuale su internet. Su Facebook vedi tutti gli utenti con la stessa foto con i nomi cambiati. Non riconosci più gli amici.

Ti dicono di fare la stessa cosa. Ti dicono che gli studenti che in Italia hanno partecipato alle manifestazioni al rientro in Iran sono stati arrestati o si sono visti ritirare il passaporto. "Non tornare in Iran", ti dicono e tu senti un vuoto nel cuore. Fino a poche settimane fa ti sentivi soffocata perche' avevi paura di dire quello che pensavi. Oggi tremi nella prigione dell'angoscia di non poter piu' tornare nel tuo Iran. Pensi agli occhi della ragazza pochi secondi prima della sua morte, li ha visti tutto il mondo. Sta morendo e le dicono "non aver paura" e muore. Non so se ha avuto paura. Non avevo visto morire nessuno. In lei ho visto morire il mio Paese. Nei suoi occhi che si perdevano nel nulla ho visto morire l'umanità. Ebbene ti dici che non hai niente da perdere. Tanto ormai abbiamo perso tutti. Siamo dei grandi perdenti.

Abbiamo perso il nostro Iran. Ha perso la democrazia, cosi' come hanno perso i nuovi amici occidentali dell'Hitler iraniano. Anzi. Qua dobbiamo parlare di tanti Hitler. Stringetevi la mano e fate un brindisi con l'Occidente adesso che l'Iran non esiste piu'. Il nostro grido soffocato verra' forse ricordato dalla storia.
Il nemico e' nostrano. Segue le orme d'Israele. Le folle disperate degli iraniani intorno ai cadaveri morti mi ricordano i palestinesi. Quasi la stessa disperazione, ma la stessa identica angoscia, perche' l'Iran e' ormai occupato.
Noi abbiamo votato, loro ci hanno ucciso e l'Occidente ha taciuto. Voi fate brindisi alla vostra vittoria. Noi piangeremo la nostra rovina.

Solo fino a pochi giorni fa, verde era il colore della speranza. Oggi e' il colore del sangue, del lutto, della perdizione, degli occhi che si spengono per un Paese.
"Non avere paura", mi dico. Eppure piango e tremo. Ho sempre pensato a quelli che per aver detto la verita' dovevano vivere lontano dal Paese. Oggi vedo me e i miei amici tremare afflitti dalla paura. E' immisurabile la profondita' di questo dolore.
Ci hanno dimenticato tutti. Perfino il buon Dio sembra non voler sentire le nostre grida. E io non so piu' cosa rispondere agli amici atei. Hanno un sorriso amaro. Come se mi volessero dire "avevamo ragione noi".
Urla un'intera nazione. E il mondo sta a guardare tutto in silenzio. Aiutateci a rompere il silenzio. Aiutateci a tenere vivo il verde. Aiutateci a salvare quel poco che e' rimasto dell'Iran. Aiutateci a credere che l'umanita' esiste ancora. Non vi chiediamo molto: basta portate qualcosa di verde, fosse anche una semplice foglia attaccata sulla camicia.
E tu, buon Dio Onnipotente, se esisti davvero muovi almeno un dito.

Nardana Talachian, per tutti i ragazzi in piazza a Teheran

martedì 23 giugno 2009

Contro l'impunità per la libertà e l'autonomia

Più di 350 delegati provenienti da oltre 13 paesi per due giorni hanno discusso nella sede della Giunta del Buongoverno di Morelia

Il resoconto dell'incontro del 20 e 21 giugno 2009 in terra zapatista


Alla presenza di 13 paesi del continente americano e un ventaglio di paesi osservatori provenienti dai cinque continenti, per un totale di più di 350 partecipanti, si è aperto sabato 20 di giugno il Primo Incontro Continentale contro l’Impunità. Dopo il saluto a cura della Junta del Buen Gobierno di Morelia, anfitriona dell’incontro, e del comitato organizzatore, hanno preso la parola, in modo alternato, un relatore messicano e uno proveniente dal continente americano.
Hugo Blanco, intellettuale peruviano, ha parlato degli indios amazzonici - giudicati primitivi e retrogradi dai paesi “civilizzati”, ma in realtà uniche popolazioni rimaste inconaminate dalla colonizzazione territoriale e culturale maya e successivamente spagnola - che lottano per la difesa dei loro territori contro le multinazionali appoggiate dal governo. La tematica ambientale sembra essere, in prospettiva, terreno di scontro tra le popolazioni indigene e i governi occidentali alla ricerca di nuove terre da svendere. Lo sfruttamento e la devastazione di queste ultima non solo causerebbe un danno ambientale irreparabile, ma andrebbe a cancellare la stessa esistenza delle popolazioni indigene. Il nemico comune è stato spesso identificato con il capitalismo che ha creato un sistema basato sulla persecuzione e ghettizzazione delle classi più deboli, quali quelle indigene, attraverso nuove forme di potere e di controllo (la lotta al terrorismo e il pericolo sicurezza). Dall’analisi della situazione di impunità imperante a tutte le latitudini è scaturita la proposta della creazione di un tribunale internazionale autonomo continentale, obbiettivo finale dell’incontro, avanzata nell’intervento dell’uruguagio Carlos Fazio e ripresa dai successivi relatori, il punto di ripartenza dovrebbe essere il riconoscimento della pluralità e delle diversità.
Barbara Zamora, avvocato messicano, ha sottolineato la necessità di una giustizia autonoma in quanto essa è un diritto fondamentale sancito dalla carta dei diritti dell’uomo e dalle Costituzioni Nazionali. Questa deve essere conseguita attraverso nuove forme di contrapposizione alla giustizia globale la quale, cancellando i diritti costituzionali in chiave anti terrorista, non corrisponde più al suo compito: cercare le prove di colpevolezza e punire chi ha compiuto crimini. Questa giustizia autonoma deve nascere da una rivoluzione che ricostituisca un nuovo immaginario e dei nuovi vincoli sociali, essa si fonda sulla legge naturale dell’istinto dell’autodifesa e del “farsi giustizia da sé”, da cui può scaturire una nuova forma di violenza nata dall’esigenza di preservare le proprie vite e i propri diritti.
Silvia Marcos ha analizzato le varie forme di violenza delle società patriarcali verso le donne, individuate come strumento di offesa nei confronti dei componenti delle loro comunità. Così stupro, prostituzione coatta, obbligo della dote e altre angherie subite dalle donne nel corso dei secoli sono stati strumenti della visione patriarcale della società. Da queste esperienze drammatiche si stanno costituendo in tutto il mondo delle ”Cortes de mujeres” con l’obbiettivo di ricercare nuove forme di giustizia che non siano basate sulla vendetta o sulla punizione, ma sulla presa di coscienza da parte della società, sul valore morale e sul ruolo di denuncia pubblica da cui deve scaturire un’”azione” verso il cambiamento.

Gli interventi di domenica 21 giugno sono stati caratterizzati dalle testimonianze di episodi di impunità nei vari territori nazionali in Amenrica Latina, e nelle comunità indigene del Messico (un rappresentante della Sociedad Civil Las Abejas di Acteal; la peruviana Gloria Cano; Edwin Paraison di Haiti; Beatriz Suárez della Asociación de Familiares de Detenidos Desaparecidos y Mártires por la Liberación Nacional in Bolivia; Julio Rosales de Comunicarte, Guatemala)
Uno degli interventi più incisivi ed emozionanti è stato quello dell’argentina Andrea Benítez, le cui parole hanno voluto far risuonare "la voz incómoda de los sobrevivientes". Alla fine dell’assemblea plenaria, a cui hanno seguito cinque “mesas de trabajo” tematiche, la pittrice cilena Beatriz Aurora ha concluso criticando parte della classe intellettuale, rea di condannare il passato ma di tacere sui crimini delle attuali dittature. Pertanto ha lanciato la proposta di dichiarare l’11 settembre (giorno del Golpe cileno del 1973) come “Giornata di lotta contro l’impunità”.
Ass. Ya Basta! Italia
San Cristobal de las Casas, Chiapas, Mexico. 22 giugno 2009
Entra nel sito dell'Incontro Continentale contro l'impunità.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!