mercoledì 16 settembre 2009

Arundhati Roy, India democrazia ma non per tutti

A Torino l'autrice de "Dio delle piccole cose"



Intervistata da La Stampa afferma: "Il mio Paese è una Superpotenza superpovera che nasconde la distruzione dell'ambiente"

Sette anni fa venne condannata per «oltraggio». Aveva criticato, in un suo vibrante scritto che ora si può leggere in Quando arrivano le cavallette (Guanda) una sentenza dell’Alta corte di giustizia indiana favorevole alla costruzione di una grande diga sul fiume Narmada. «In fondo sono rimasta in carcere per un solo giorno, è stata una pena simbolica - racconta Arundhati Roy - Ma il problema non è quel che accade a me, persona nota. Il problema è che ogni giorno in India viene uccisa o sparisce della gente». Lei, infatti, è persona talmente nota che una volta, dopo l’attacco terrorista a Bombay, venne chiamata direttamente in causa da un anchorman, nel corso di un’intervista con un funzionario della polizia, che sparò il suo «speriamo ci stia guardando» con tono niente affatto amichevole. Ha scritto un romanzo di enorme successo, Il dio delle piccole cose, nel ’96.
A Londra vinse il Booker Prize, e fu tradotto in tutto il mondo. Da allora, non una riga di fiction. È diventata un’eroina no-global. E anche un personaggio ingombrante. Oggi (Teatro Carignano, alle 21) inaugura insieme con lo scrittore-regista inglese John Berger la stagione del Circolo dei Lettori, in una serata che guarda anche all’imminente edizione di Torino Spiritualità.

Parlerete del raccontare. Un’arte che sembra aver rinnegato.
«Non ho più messo mano a romanzi perché nutro un certa ostilità all’idea di carriera. Non mi voglio pensare come una scrittrice che deve ogni volta pubblicare un nuovo libro. Però ritengo che molti dei miei saggi rappresentino un modo specifico di raccontare storie difficili. Quello sulla diga, per esempio: è stata una grande sfida, che andava oltre il ruolo normalmente attribuito a uno scrittore. In India c’è una realtà così urgente, una necessità di mettersi per strada, nel cuore della politica e dei problemi basilari della popolazione, che è davvero difficile rifiutarsi».

Il suo cambio di marcia verso un aperto impegno è imposto dalla situazione? Lo ha sentito come un dovere?
«Non esageriamo. Non ho il senso del dovere».

Però ha quello dell’impegno.
«Le faccio un esempio. Nel nuovo libro c’è un saggio sull’attacco suicida al parlamento di New Delhi, il 13 dicembre 2001, che fece 14 vittime. Sapevo che era un’assoluta tragedia, e la sola cosa che ho pensato è stata: se non ne scrivo, sicuramente me ne pentirò. Funziona così. Per me è impossibile andare nel Kashmir e non scriverne. Ma ci vado soprattutto per capire la natura umana. Con quel che accade sarebbe impossibile non andare».

In Kashmir si consuma una lotta interminabile tra India e Pakistan, con infiltrazioni terroristiche, scontri religiosi, rivendicazioni indipendentiste.
«E se uno non prende posizione viene accusato di tradimento. Certo, la minaccia del Pakistan in quell’area è reale. Ma è altrettanto reale quella dell’India: è in atto una vera occupazione militare, con un bilancio atroce; ci sono stati almeno diecimila scomparsi, e decine di migliaia di torturati. E in India non il minimo accenno. Silenzio. Non se ne parla».

L’immagine che dà del suo Paese contrasta con quella che se ne ha generalmente: una grande democrazia, una grande crescita economica, una superpotenza meno inquietante di quella cinese.
«Superpower-Superpoor, superpotenza superpovera. L’India è una democrazia solo per qualcuno, diciamo per la classe media; e questo è il vero problema, che nasconde i contadini ridotti alla disperazione e al suicidio, la povertà, la distruzione dell’ambiente».Mali che lei denuncia apertamente. Se fosse cinese, invece...«Lo so, non potrei. Ma la contrapposizione non ci porta da nessuna parte. Ci sono aspetti positivi in entrambi i Paesi, accanto ad altri, troppi, molto negativi. Anche da noi c’è una legge sulla sicurezza che, di fatto, criminalizza ogni dissenso».

L’India è uno Stato repressivo?
«Peggio. Uno Stato repressivo con spezzoni di fascismo. E che sta diventando sempre più uno Stato di polizia. Non si riesce a dare cibo e acqua sufficienti alla popolazione, ma ora tutti verranno forniti di una carta d’identità elettronica. E quelli che non l’avranno cesseranno di esistere».

Nel suo libro lei critica sia il Partito induista sconfitto alle ultime elezioni, sia il Partito del Congresso tornato al potere. Quale alternativa propone?
«Guardi che il Partito del Congresso, data l’enorme frammentazione politica, ha vinto con il 10 per cento dei voti. In ogni caso, non credo alle alternative globali. Sono altrettanto violente. Credo però che ogni nuova diga abbia un’alternativa, che ci siano possibilità puntuali, situazione per situazione, contro il crescere della violenza e le soluzioni militari; che ci siano diritti di base nel cui ambito lavorare. È importante essere specifici».

Lei insiste sulla specificità. Proviamo a definire anche la spiritualità?
«Volentieri: capire che ognuno di noi è parte di una storia. Rispettare tutto ciò che ci circonda. Se rimuovi l’essere umano, non rimane niente».

Tratto da:
La Stampa 16 settembre 2009

martedì 15 settembre 2009

Argentina: indigeni reclamano l'inclusione nella legge sui mezzi di comunicazione audiovisuali


di Laura Sponti

Il controllo del territorio ideologico dell' opinione pubblica Argentina e' senza dubbio la discussione di fondo che sta alla base delle dure lotte che si stanno affrontando per modificare una legge dittatoriale della radiodiffusione che racchiude dentro di se potenti e pericolosi interessi.

Le grandi corporazioni non sono disposte a lasciare quel potere che per decenni hanno utilizzato per manipolare il contesto affinchè ne beneficiassero i loro interessi economici e politici. Questo stesso monopolio informativio e' quello che presenta la realtà dei popoli originari e la loro stessa esistenza come "problematica indigenta" o conflitto indigeno"affermando quindi che la sola esistenza dei popoli originari sia un problema. Oggi, le popolazioni preesistenti del paese stanno generando un processo storico perchè abbandonano l'idea di vedere i mezzi di comunicazione come strumenti di "altri" ma al contrario come strumenti per esercitare il loro diritto alla comunicazione con "identità" e accedere cosi alle nuove tecnologie. I media gestiti dai popoli originari non pretendono di lucrare sulla loro identità ne di ossequiare il governo di turno. L'obiettivo non e' solo informare sulla propria realta', ma sentono anche la responsabilitaà di promuovere e difondere la loro cultura,come un popolo vivo che ha una storia che deve essere raccontata

Quando i Media Indigeni staranno sullo stesso piano di uguaglianza nello spettro radioelettrico ,con i privati,lo stato e le organizzazioni comunitarie allora si potrà parlare di democrazia nel settore della comunicazione argentino,perche' ci saraà la vocedella terra che informerà.

Con l'esigenza dell' inclusione del "Diritto alla comunicazione con identità", di questa legge, e' evidente che i popoli originari attraverso i loro strumenti di comunicazione audiovisuale rompano il mantello di invisibilizzazione che li ha messi a tacere dalla stessa crazione dello stato argentino.

Durante le udienze che si terranno la prossima settimana e' prevista una presentazione di più di 25 popolazioni originarie che avverrà in ciascuna delle lingue parlate, fino ad oggi si calcola che siano 16 quelle ufficiali.

COMUNIDADES ABORIGENES DE SANTA FE –OCASTAFE;

CONSEJO DE CACIQUES DE LA NACIÓN MBYA-GUARANÍ;

ASAMBLEA PUEBLO GUARANÍ- APG;

FEDERACIÓN DEL PUEBLO PILAGA;

PUEBLO KOLLA DE LA PUNA DPTO. YAVI;

INTER-TOBA;

CONSEJO DE LA NACIÓN TONOKOTE LLUTQUI;

KEREIMBA IYAMBAE;

UNIÓN DE LOS PUEBLOS DE LA NACIÓN DIAGUITA – UPND;

CONFEDERACIÓN MAPUCE DE NEUQUÉN;

ONPIA;

COORDINADORA DEL PARLAMENTO MAPUCHE RIO NEGRO;

MESA DE ORGANIZACIÓN DE PUEBLOS ORIGINARIOS DE ALTE. BROWN;

ORG. MALAL PINCHEIRA DE MENDOZA;

COMUNIDAD HUARPE GUENTOTA;

ORGANIZACIÓN TERRITORIAL MAPUCHE-TEHUELCHE DE PUEBLOS ORIGINARIOS SANTA CRUZ;

ORGANIZACIÓN RANQUEL MAPUCHE DE LA PAMPA;

QULLAMARKA;

ORGANIZACIÓN 12DE OCTUBRE YOFIS WICHI;

CONSEJO DE CACIQUES WICHI DE LA RUTA 86;

COORDINADORA AUDIOVISUAL INDIGENA ARGENTINA;

CONSEJO MOQOIT DEL CHACO;

ORGANIZACIÓN INDIGENA NAPALPI


Tratto da:

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!