lunedì 12 ottobre 2009

I movimenti contestano la legge sull'acqua


Sia quello che sia il socialismo di Correa, la repressione è l'altra faccia del progetto estrattivo.

di Raul Zibechi

Per alcune ore, il fantasma di Baguá ha sorvolato l'Amazzonia ecuadoriana. Il massacro perpetrato dal governo peruviano di Alan García il 5 giugno contro indigeni che vogliono evitare la distruzione della selva da parte delle multinazionali, non è arrivato a ripetersi in Ecuador, perché i diversi attori, dai movimenti indio fino al governo di Rafael Correa, hanno saputo disattivare un conflitto che sta ancora lontano da risolversi, ma che ora transita sui tavoli del dialogo.

Nonostante tutto, il recente sollevamento indio in difesa dell'acqua si è concluso con un morto e decine di feriti.

La rivoluzione cittadina che guida Correa è un processo pieno di contraddizioni. La Costituzione dell'Ecuador, approvata il 28 settembre di 2008 dal 64% degli ecuadoriani, è una delle più avanzate del mondo in materia di ecosistema, al punto che riconosce che la natura è un soggetto di diritti. La natura o Pacha Mama, dove si riproduce e realizza la vita, ha diritto che si rispetti integralmente la sua esistenza ed il mantenimento e rigenerazione dei suoi cicli vitali, struttura, funzioni e processi evolutivi, dice l'articolo71.

Tuttavia, il governo ha emesso un insieme di leggi che vulnerano lo spirito e la lettera della nuova Costituzione, in particolare la legge del settore minerario, quella della sovranità alimentare e quella dell'acqua. Ognuna è stata respinta dai movimenti promuovendo mobilitazioni. Il sollevamento iniziato il 27 settembre della Confederazione di Nazionalità Indigene dell'Ecuador (Conaie) e le sue organizzazioni dell'Amazzonia (Confeniae), e la catena montuosa (Ecuarunari), cercava di respingere la Legge di Risorse Idriche inviata ad agosto al parlamento.

Il movimento ha presentato l'anno scorso la sua propria Legge di Acque per il Buon Vivere (Sumak Kawsay) e respinge quella dell'Esecutivo perché non permette la ridistribuzione e statalizzazione dell'acqua e priorizza il suo uso per attività minerarie d'accordo con un piano nazionale di sviluppo di stampo estrattivo, in continuità rispetto al sistema che ha prevalso durante il periodo neoliberale.

D'altra parte, tanto nelle aree rurali come in molte periferie urbane, sono stati gli indigeni e settori popolari quelli che hanno costruito, a piccone e pala, canali di irrigazione e sistemi di distribuzione dell'acqua per il consumo. Si calcola che esistono 3.500 sistemi comunitari di acqua in Ecuador, costruiti e gestiti dalle comunità.

Secondo i movimenti la legge del governo prevede la creazione di un'autorità unica dell'acqua verticale e accentrata. Di conseguenza chi ha costruito le reti di acqua perderebbe il potere di continuare la sua gestione. Vogliono che semplicemente siamo utenti e non attori, ha detto Humberto Cholango, dirigente di Ecuarunari.

Due modi di intendere la vita si fronteggiano oggi nel mondo andino. Ora non si tratta di tentativi di privatizzare l'acqua, come è successo con i governi precedenti. Il problema è il settore delle miniere a cielo aperto, gran consumatore e contaminatore di acqua. La questione di fondo è il modello di paese sul quale ha scommesso Correa, ma anche gli altri governi del continente, compresi i progressisti. Secondo Alberto Acosta, ex presidente dell'Assemblea Costituente e fondatore di Alianza País, partito che ha portato Correa al Palazzo di Carondelet, i governi progressisti sudamericani non hanno messo in discussione né discusso sul modello estrattivo e continuano a scommettere sull'estrazione delle risorse naturali come via allo sviluppo.

Nel caso ecuadoriano si somma un altro problema. I movimenti indigeni, protagonisti dei cambiamenti negli ultimi 20 anni, hanno realizzato il primo sollevamento in1990. Negli anni seguenti hanno abbattuto due governi neoliberali e corrotti (quello di Abdalá Bucaram, in febbraio del 1996 e quello di Jamil Mahuad, in gennaio del 2000), mentre i movimenti urbani hanno svolto un ruolo importante nella caduta di Luccio Gutiérrez nell'aprile del 2005. Correa ha intrappreso l'attività politica nel 2005 ed è arrivato al governo, vincendo le elezioni del 2006, grazie a quasi due decadi di lotte sociali antineoliberali. Tuttavia, osserva Acosta, il suo personalismo gli impedisce di comprendere che lui è lì, nella presidenza, grazie a tutto lo sforzo realizzato dalla società ecuadoriana.

Nell'annunciare la rivolta del 27 di settembre, Correa ha accusato gli indigeni di estremismo, di fare il gioco della destra, (ha menzionato somiglianze tra Ecuador e Honduras) e ha detto che i dirigenti indigeni non hanno rappresentatività. Tuttavia, e a dispetto della scarsa forza della rivolta, si è visto costretto a sedersi in un tavolo di dialogo con 130 rappresentanti dei movimenti. I sei accordi raggiunti che includono continuare a discutere la legge sull'acqua, hanno portato la Conaie a sospendere le misure di lotta, benché una parte delle basi fossero disposte a mantenere la protesta.

La cordigliera andina e l'Amazzonia sono scenari di acuto conflitto tra comunità e multinazionali. In Perù e Colombia la repressione ed i massacri sono la forma che assume la guerra per imporre il modello estrattivo. In Cile si applica la legge antiterrorista ai mapuche che resistono alla versione locale del modello, l'insieme forestazione-cellulosa. In Ecuador, la repressione non è nuova sotto il governo di Correa -è stata applicata in modo massivo a Dayuma nel novembre 2007 e legata allo sfruttamento petrolifero-, ma è stata più un eccezione che una regola, cosa che segna chiare differenze con la politica di Álvaro Uribe e Alan García.

Ciò nonostante, il chiamato socialismo del secolo XXI non può permettersi la repressione agli stessi settori che hanno formato una relazione fra forze dalle quali è sorta una Costituzione come quella promulgata nel 2008. Non si tratta che il regime di Correa abbia vocazione repressiva, oltre i germogli autoritari del presidente.

La questione è il modello di sviluppo: fino ad ora è stato il petrolio; d'ora in poi il settore minerario. Sia quello che sia il socialismo di Correa, la repressione è l'altra faccia del disegno estrattivo.

Video della marcia della CONAIE

Show mediatico per legittimare le elezioni

Primi risultati del "dialogo"

Recalcitante posizione del governo di fatto. La polizia reprime nuovamente

di Giorgio Trucchi

"La montagna ha partorito un topo". Potrebbe essere questo il titolo appropriato per descrivere la prima giornata del "Dialogo Guaymuras", nome imposto dal governo di fatto che ha monopolizzato l'ordine del giorno e la parte protocollare di questa prima sessione, alla quale hanno partecipato le delegazioni del governo di fatto, del presidente Manuel Zelaya e la commissione di alto livello dell’Osa.

Mobilitazioni in tutta la capitale sono state brutalmente soffocate dalla polizia e dall'esercito, mentre alle 51 persone accusate di sedizione per l’occupazione dell'Istituto Nazionale Agrario, INA, sono state concesse misure cautelari e sono in libertà in attesa del processo.

Quella che si sperava fosse una giornata storica per il popolo honduregno si è invece trasformata in uno show mediatico minuziosamente preparato dal governo di fatto.

Con un’impressionante ed inspiegabile presenza militare è iniziato lo scorso 7 ottobre il Dialogo di Guaymuras. In questa prima sessione hanno preso la parola il ministro degli Esteri di fatto Carlos López Contrera, il delegato del presidente Zelaya, Victor Meza ed il segretario generale dell'Osa, José Miguel Insulza, evidenziando una significativa distanza tra le parti.

Se per l'Osa e la delegazione del presidente Zelaya risulta imperativo riprendere in mano l’Accordo di San José, ripristinare il presidente Manuel Zelaya e prendere in considerazione il processo elettorale solo dopo la restaurazione dell'istituzionalità nel paese, per il governo di fatto l'unico obiettivo sembra essere la legittimazione internazionale delle elezioni previste per il prossimo 29 novembre.

Emblematiche le parole usate dal presidente di fatto Roberto Micheletti il quale, durante il suo incontro con la missione dell'Osa, ha scartato la possibilità di un ritorno di Zelaya alla Presidenza, è tornato ad esporre la possibilità di lasciare l’incarico solo se al suo posto venisse nominata una terza persona ed ha aggiunto che, in ogni caso, qualsiasi soluzione dovrà inquadrarsi all’interno di ciò che prevedono la Costituzione e le leggi dell’Honduras.

Micheletti ha inoltre detto che come capo del governo non poteva assumersi impegni che competono ad altri poteri dello Stato e che “non c'è modo di ferrnare il processo elettorale almeno che non usiate la forza e non ci invadiate”.

Il segretario generale dell'Osa ha invece rimarcato l’importanza di riconoscere alcune realtà, come ad esempio che la rimozione di un Presidente Costituzionale per normalizzare la situazione nel paese non solo non è servita per questo obiettivo, bensì dopo più di cento giorni ha reso la situazione ancora più insostenibile.

Ha invitato il governo di fatto a cambiare comportamento per evitare che le elezioni non vengano riconosciute a livello internazionale ed ha chiesto che vengano ristabilite le garanzie costituzionali, che si riaprano tutti i mezzi d’informazione che sono stati chiusi, che le delegazioni abbiano l’autorità necessaria per potere firmare accordi e che si fissino tempi brevi e chiari per raggiungere un accordo tra le parti.

José Manuel Insulza ha infine chiesto che il dialogo venga affrontato senza fini occulti, lasciando a un lato differenze e timori.

La Resistenza partecipa ma critica il dialogo

Poco dopo la prima riunione tra le due delegazioni, ilFronte Nazionale Contro il Colpo di Stato ha diffuso un comunicato nel quale ribadisce che "il dialogo è il metodo adeguato per avvicinare le parti e come dimostrazione della nostra volontà di volere cercare una soluzione all'attuale crisi politica, abbiamo accettato di inviare un nostro rappresentante, Juan Barahona, al cosiddetto "Dialogo Guaymuras" convocato dal regime di fatto.

Tuttavia - continua il comunicato - affinché il dialogo sia fruttifero, è necessario che sia sincero e che esistano le condizioni minime per la sua realizzazione. Senza di esse sarebbe impossibile uno svolgimento adeguato".

Per la Resistenza, che ha chiarito di avere accettato di partecipare come controparte e non come emissaria del presidente Zelaya, non è possibile iniziare un dialogo se prima non si pubblica sulla Gazzetta Ufficiale la deroga del Decreto Esecutivo che ha sospeso i diritti costituzionali della popolazione, se continuano le esecuzioni sommarie, i processi per sedizione e la persecuzione contro i suoi membri.

È questo il caso delle 51 persone appartenenti ad organizzazioni del settore agrario che per tre mesi hanno occupato l’Istituto Nazionale Agrario, INA, e che il 7 ottobre sono state liberate in attesa di processo, e di 12 membri del Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari ed Indigene dell’Honduras, Copinh, che nei giorni scorsi hanno chiesto asilo politico all'ambasciata del Guatemala.

Il Fronte Nazionale Contro il Colpo di Stato ha inoltre chiesto che cessi la persecuzione contro i mezzi d’informazione che non condividono le idee del governo di fatto e che venga eliminato il cordone militare che isola l’ambasciata del Brasile dove si è rifugiato il presidente Zelaya.

"Fino a che non vengano accolte queste richieste il Fronte Nazionale di Resistenza contro il Colpo di Stato non potrà partecipare al dialogo – ha detto Juan Barahona alla fine della prima sessione -.

Per il momento ci siamo accordati sui punti da affrontare durante i prossimi giorni: analizzare l'Accordo di San José il cui primo punto è il ripristino del presidente Zelaya, studiare possibili modificazioni all’accordo stesso e creare le condizioni per un nuovo patto politico e sociale.

Per noi – ha continuato Barahona - non sono negoziabili il ripristino del presidente Zelaya, il castigo per i golpisti e la creazione di un’Assemblea Nazionale Costituente. La società honduregna e la comunità internazionale hanno capito la dimensione di questo conflitto e la nostra lotta per rovesciare questo colpo di Stato.

Permettere un suo consolidamento in Honduras vorrebbe dire permettere che accada la stessa cosa in altri paesi del continente, perché l’obiettivo di questo colpo di Stato è quello di frenare i processi di cambiamento in America Latina.

Sono scettico, ma nei prossimi giorni vedremo se esiste davvero l’interesse a cercare di dare una soluzione alla crisi o se si tratta solamente di uno show politico, che ha come fine quello di rafforzare la farsa elettorale con la quale vogliono legittimare i candidati golpisti", ha concluso il coordinatore della Resistenza.

Repressione e ancora repressione

Mentre in un hotel della capitale si concludeva la prima sessione del dialogo, davanti all’ambasciata statunitense la polizia e l’esercito reprimevano con gas lacrimogeno e pallottole di gomma la mobilitazione di centinaia di persone che volevano marciare verso l’ambasciata del Guatemala, per portare la loro solidarietà ai membri del Copinh.

Nonostante la repressione, in vari punti di Tegucigalpa la gente è uscita per le strade in modo spontaneo per manifestare contro il colpo di Stato.

Studenti dell'Università Nazionale Autonoma dell’Honduras, UNAH, hanno occupato il Boulevard Suyapa ed hanno sfidato le autorità, mentre una lunga carovana di macchine ha attraversato la città e si è poi unita ai manifestanti che erano giunti nei pressi dell’ambasciata del Brasile.

Anche in questo caso i corpi speciali della polizia sono intervenuti per sgomberare le persone.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!