venerdì 16 ottobre 2009

Moltitudine messicana

Centinaia di migliaia manifestano in appoggio agli elettricisti

Il governo obbligato al dialogo potrebbe dover affrontare non solo le richieste dei sindacati

di Matteo Dean

Trecentomila o forse qualcosa di più. Questi i numeri della prova di forza realizzata ieri, 15 ottobre, dagli elettricisti del centro della Repubblica messicana. La capitale del paese, la zona di maggior intervento della liquidata compagnia parastatale Luz y Fuerza del Centro, è stata letteralmente invasa da una moltitudine di manifestanti. Certo, tra loro i 42.000 lavoratori, licenziati da un giorno all’altro per decreto presidenziale la notte di sabato scorso. E con loro le rispettive famiglie, rimaste senza uno stipendio.

Ma assieme a loro, decine di migliaia di altri manifestanti: moltissimi sindacati - stessi che da tempo non si vedevano per le strade messicane -, ma anche studenti, gente comune, organizzazioni sociali dedicate alla lotta per la sovranità alimentare, per i diritti umani, per i diritti di genere, ecc.. La protesta sociale in Messico è al limite dello scontro. La manifestazione di ieri era fondamentale non tanto per trovare una soluzione, ma per dare un segnale. Il decreto presidenziale che la notte tra sabato e domenica scorsi ha sciolto d’autorità la compagnia elettrica parastatale che forniva energia alla capitale messicana e a alcune decine di municipi circostanti - un totale di circa 30 milioni di utenti - e ha licenziato, in tronco e senza appello, 42.000 lavoratori appartenenti, tutte e tutti, al Sindacato Messicano di Elettricisti (SME), uno dei sindacati più importanti del Messico, doveva ricevere una risposta adeguata.

Il rischio, secondo alcuni analisti, era infatti quello di mostrare ulteriore debolezza, il che avrebbe dato ragione al governo. Questi infatti sostiene - nel decretare la chiusura della compagnia - che la stessa è cara, troppo cara. E la colpa, in buona parte, ricadrebbe sui lavoratori, privilegiati nel loro contratto collettivo che concederebbe loro troppi diritti. La realtà è diversa, si sa: gli elettricisti messicani godono semplicemente dei minimi diritti garantiti dalla Legge Federale del Lavoro. Il che, in un paese in cui la metà della popolazione economicamente attiva lavora nel “settore informale” sarebbe certamente un privilegio, ma la spinta al ribasso che il governo vorrebbe imporre appare come una franca esagerazione: gli elettricisti messicani, infatti, la maggior parte di loro, ricevono uno stipendio medio di 6.000 pesos, meno di 400 euro, al mese. Una miseria, anche da questa parte del mondo.

Per fortuna, dunque, il segnale c’è stato. Ed il governo in serata è stato costretto ad accogliere la richiesta giunta da più parti di stabilire un tavolo di dialogo tra le parti. Certo, un dialogo strano: il SME, infatti, richiede il ritiro del decreto e la restituzione dei posti di lavoro; dal canto suo, il governo sarebbe disposto a discutere solamente i meccanismi di reinserzione dei 42.00 nel mondo del lavoro. Nulla più. Ma la partita è cominciata e dipenderanno più dal movimento che dal governo gli esisti positivi del negoziato.

Il governo messicano, infatti, ha impostato l’operazione contro Luz y Fuerza con grande attenzione. Si dice che già due settimane prima il governo fosse pronto al gole contro gli elettricisti. Da due settimane la polizia federale e l’esercito era dislocato nei pressi delle istallazioni elettriche, pronti ad occuparle appena l’ordine fosse giunto. Si dice anche che il governo tutto avrebbe previsto, compresa la mega manifestazione di ieri e che, quindi, sarebbe ora necessario aumentare la pressione sociale perché davvero gli equilibri cambino di segno. Dall’altro canto, anche la intensa campagna mediatica contro gli elettricisti è evidentemente orchestrata dall’alto: l’idea sembra essere quella classica, ovvero contrapporre la cosiddetta “classe media” - in rapida via d’estinzione, causa crisi economica - agli operai messicani.

Allo stesso tempo, il governo comincia il dialogo partendo da due dati di fatto: il primo, l’occupazione militare delle istallazioni elettriche continua, con l’uso di oltre 5.000 tra poliziotti e militari; il secondo, il processo di privatizzazione è già cominciato, grazie alle concessioni trasmesse all’impresa d’origine spagnola WL Comunicaciones S.A. De C.V.. Dal canto suo, anche il movimento gode di alcuni vantaggi ed alza la posta in gioco. Innanzitutto, la grande solidarietà dimostrata non solo ieri durante la manifestazione, ma nel corso di tutta la settimana.

Decine di migliaia di persone si stanno mobilitando in tutto il paese. Manifestazioni di appoggio, ma anche di protesta, perché l’operazione del governo ha prodotto anche problemi alla distribuzione dell’energia elettrica. E a questo proposito, il SME denuncia che la polizia starebbe prelevando con la forza ad alcuni dei lavoratori licenziati - soprattutto tecnici specializzati ed ingegneri - perché il personale che l’ha sostituito per decreto non sarebbe capace di far operare gli strumenti di Luz y Fuerza.

Ma, per fortuna, il discorso del movimento va anche oltre alla legittima richiesta sindacale: importanti voci all’interno dello spettro politico messicano stanno chiedendo ad alta voce la rinuncia del presidente Felipe Calderon. E c’è anche chi suggerisce lo sciopero generale nazionale, il che sarebbe un precedente importante, visto che l’ultimo sciopero generale in Messico data 1936, quando il mondo, evidentemente, era un altro.

In chiave postfordista invece è giunta la proposta dello sciopero generale dei consumatori: non pagare le bollette, potrebbe essere un ulteriore strumento di protesta sociale. E, nonostante tutto, vi è anche una soluzione radicale: gestione dell’impresa parastatale in mano ai lavoratori con l’aiuto delle tre grandi università del paese, la Nazionale Autonoma (UNAM), la Autonoma Metropolitana (UAM) e il Politecnico (IPN). Dal palco, alla fine della manifestazione, la dirigenza sindacale, peccando di autoreferenzialità, annunciava il ritorno dei lavoratori-operai al centro del dibattito politico messicano. Non è vero, anche il Messico è cambiato ed il lavoro salariato, quello classico e d’origine fordista, difficilmente potrà riavere il ruolo che ebbe in passato.

Ma certamente la manifestazione di ieri ha restituito dignità ai lavoratori messicani. E a conferma di ciò, era sufficiente osservare la composizione della manifestazione: sindacalisti, certo, ma anche contadini, studenti, casalinghe. Ed assieme a loro, attiviste femministe, per la lotta per la casa, contro gli OGM e in difesa del mais, per i diritti umani, contro le alte tariffe elettriche, in difesa dell’ambiente e del territorio. Insomma, una vera e propria moltitudine.

A questo punto, resta solo da vedere se la dirigenza sindacale del SME, chiamata da oggi a dialogare con il governo, saprà mettere a valore la potente sinergia che ieri ha fatto capolino per le strade di Città del Messico. Da vedere se si saprà far convergere tante esigenze sociali, diverse e variegate, in un unico movimento moltitudinario che anticipi ciò che molti già annunciano per il prossimo anno, il 2010: la mobilitazione sociale generalizzata.

Il movimento dei lavoratori sans-papiers entra in sciopero



di Marina Nebbiolo

Sabato scorso a Parigi migliaia di sans-papiers sono scesi in piazza per denunciare le condizioni di vita e di lavoro e per chiedere una regolarizzazione generalizzata dei lavoratori e dei loro familiari.

I lavoratori con contratti e salario insieme a quelli 'irregolari' senza contratto e senza permesso di soggiorno, quasi tutti originari dall'Africa occidentale, centrale e mediterranea, ma anche dalla isole Comore, e centinaia dalla Cina, hanno partecipato alla manifestazione dopo essersi ritrovati domenica scorsa nella sede della CGT (Confederazione generale del lavoro) di Montreuil, banlieue a sud-est di Parigi. Lo sciopero con picchetti e blocchi che ha investito una decina di imprese e aziende sia nella regione parigina che nella capitale è partito questo lunedi per spingere il governo a concedere diritti e cittadinanza.

Già nel 2008, il movimento dei Sans-papiers aveva dato il via ad una serie di scioperi appoggiati dal sindacato (CGT) per ottenere la regolarizzazione ma le domande (circa 2500) presentate in quei diciotto mesi di lotta non sono ancora state soddisfatte e moltissime, in sospeso, si trascinano nei meandri amministrativi del "caso per caso". Kafkiani meccanismi burocratici producono lentezza o assenza di risposta, nel corso dei mesi poi si sono tramutati in rifiuto oppure denucia ed hanno risollevato con forza la questione del lavoro a tempo determinato e dei contratti precari che incombe drammaticamente sulla sopravvivenza di molte famiglie di migranti, sia che si trovino sul suolo francese che nel paese di origine.

Il primo ottobre, l'insieme dei sindacati confederati, delle associazioni dei sans-papiers e dei collettivi solidali con le lotte per i diritti degli immigrati avevano indirizzato una lettera al primo ministro François Fillon per sottolineare la situazione definita "allarmante" a causa del blocco, della mancanza di risposte o della disparità di trattamento delle richieste di regolarizzazione presentate dai sans-papiers che lavorano nella stessa impresa a pari condizione. A Fillon si chiede una circolare ministeriale, dopo un anno dalle promesse del governo che , alla fine del 2008, aveva assicurato, nel rispetto dei criteri e regole concordate, di accogliere le domande. Ma così non è stato e i sans-papiers con o senza contratto hanno deciso di riprendere gli scioperi e di rivolgersi direttamente al ministro dell'immigrazione, Eric Besson.

Ieri, una trentina di lavoratori sans-papiers precari che lavorano la notte nel metrò di Parigi hanno occupato un deposito della RATP, società che gestisce il servizio del trasporto metropolitano e regionale.
Molti degli occupanti affermano di non aver partecipato agli scioperi precedenti per paura di essere controllati e respinti nel paese di provenienza o di origine ma dopo il movimento del 2008 con la presentazione delle domande, stanchi di essere schiavizzati perché senza contratto e di lavorare in condizioni inumane, si sono organizzati. Da anni, sempre gli stessi 'irregolari' lavorano per rinnovare le stazioni del metrò, spaccano vecchi muri e li ricostruiscono nuovi, eseguono mansioni pesanti, trasportano pesi senza caschi ne' guanti e neache scarpe adatte al lavoro dove c'è il rischio costante del contatto con l'alta tensione, maneggiano attrezzi, materiali e sostanze senza protezione.
Dalle dieci di sera alle sei del mattino prendono 80 euro e sono pagati ad ogni fine di settimana di lavoro, cioé 4 à 5 notti ogni 7 giorni.
Hanno deciso di agire e di filmare le loro condizioni di lavoro, le hanno trasmesse ai media per denuciare la situazione in cui vivono da anni e chiedere i papiers.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!