“Stiamo ancora in una posizione pienamente difensiva e non abbiamo esercitato tutto il nostro potere. Siamo in una posizione di allerta ora. Se lo Stato turco proverà ad invadere la Zona di Difesa Media o qualsiasi altra parte del Kurdistan allora romperemo gli indugi e la situazione sarà del tutto differente”: queste le prime dichiarazioni di Murat Karayilan, il capo del Consiglio esecutivo della Confederazione democratica del Kurdistan (KCK).
Karayilan ha poi continuato: “Continueremo a resistere, non importa se dovremmo farlo per un altro secolo. Non possiamo accettare questo disonore. Non possiamo accettare le politiche assimilazionistiche contro il popolo kurdo. Non riusciranno mai a farci diventare turchi”.
Dal 1 giugno 2010 la questione kurda è entrata in una nuova fase: questo è quello che ha dichiarato il KCK in un comunicato stampa recente. A seguito di quella dichiarazione sono aumentati gli scontri nel Kurdistan del nord e si sono diffusi anche alla zona Mediterranea, al Mar Nero e alla regione di Marmara. Le forze armate turche hanno lanciato diversi attacchi contro la Zona di Difesa Media ed è aumentato il numero degli scontri e quello delle vittime.
Questi sviluppi hanno portato la questione kurda in cima all’agenda politica regionale. Mentre alcuni continuano ad affermare la necessità di affrontare il problema esclusivamente dal punto di vista militare, altri tendono a rilevare la necessità di affrontarlo in tutti i suoi aspetti. Adesso ascoltiamo la posizione del KCK dalle parole del suo Presidente Karayilan: “
La protesta è stata bloccata dalla polizia e ci sono stati degli scontri.
Ora il governo ha intrapreso un azione giudiziaria con l'accusa di terrorismo nei confronti di Delfin Teneseca, e di altri dirigenti che hanno preso parte alle manifestazioni.
Le mobilitazioni indigene poche settimane fa avevano contestato la Legge dell'acqua, proposta dal governo, ottenendo il blocco della Legge.
I dirigenti indigeni hanno sottolineato la gravità delle accuse nei loro confronti denunciando la scelta persecutoria del Governo Correa.
Sono più di 42 i dirigenti indigeni che hanno accusate pesanti.
La situazione generale dell'Ecuador viene ben spiegata dalla CONAIE, quando racconta come la criminalizzazione degli indigeni sia un tentativo di impedire la partecipazione sociale nelle decisioni generali.