C’è un dramma particolare nella tragedia libica. Si svolge in silenzio, lontano dalle telecamere e dalle equazioni politiche consumate tra le cancellerie occidentali e il Consiglio di sicurezza dell’Onu. È il dramma di migliaia di migranti africani rimasti bloccati nel paese nordafricano dal crollo del regime di Gheddafi. Secondo l’emittente panaraba Al Jazeera, sono decine i migranti morti, uccisi tanto dagli oppositori del regime quanto dalle forze ancora legate al colonnello Gheddafi e al suo clan. I primi sospettano indistintamente tutti i non libici di far parte dei famigerati reparti di mercenari che sarebbero stati lanciati contro le manifestazioni anti-regime. Le forze legate a Gheddafi, invece, sparano sui migranti o li abbandonano nei campi in mezzo al deserto dove sono stati ammassati, in alcuni casi per anni, a causa del blocco costiero delle partenze verso l’Europa. Tra i migranti presi a bersaglio dalle due parti in lotta, ci sono migliaia di lavoratori impiegati in diversi settori produttivi del paese, dall’industria petrolifera alle costruzioni, abbandonati dalle aziende di sub-appalto che li avevano fatti arrivare in Libia.
Ancora una volta, con tragica ipocrisia, la retorica umanitaria viene usata per coprire una nuova guerra imposta dall’occidente contro la popolazione di un paese arabo, la Libia, in cui da settimane ad una rivolta popolare il governo di Gheddafi risponde con bombardamenti e stragi, senza che ci siano stati atti da parte della comunità internazionale volti a metter loro fine.
La risoluzione delle Nazioni Unite che formalmente pone al primo posto il cessate il fuoco e la difesa della popolazione civile, è non solo tardiva, ma apre la strada all’intervento militare – sotto la pressione di Governi interventisti come la Francia e la Gran Bretagna, vogliosi di intervenire militarmente e conquistarsi una presenza nell’area.
Pedissequamente e irragionevolmente il governo italiano, mollato dalla Lega, che teme l’«invasione» dei profughi, ma sostenuto dalla opposizione, si lancia in una avventura bellica, dopo aver per anni fornito a quel Governo – oggi esecrato – ossequi, affari e grandi quantitativi di armi.
Parlare di difesa dei diritti umani dei libici, attraverso interventi militari che quasi inevitabilmente data la natura del conflitto armato in corso, supereranno la sola interdizione dello spazio aereo, mentre i diritti umani di migliaia di migranti sono da giorni calpestati nell’isola di Lampedusa, è grottesco e offensivo, in primo luogo per la popolazione di quell’isola, oggi esposta anche alla paura di possibili rappresaglie dalla Libia, e di tutto il nostro paese.
La marcia delle «rivoluzioni della dignità» arabe, in cerca di democrazia, libertà e giustizia sociale, una grande speranza del mondo, avrebbe meritatoe meriterebbe dall’Europa, dalla Comunità internazionale tutta, ben altra attenzione, sostegno intelligente e strumenti di intervento, per poter avanzare.
Non ce ne sono tracce, mentre la rivolta si estende in Medio Oriente.
Le rivolte popolari che in queste ore sono sanguinosamente represse in altri paesi mediorientali, come Yemen, Bahrein, Siria, come quelle che hanno pacificamente portato, pur con un prezzo di sangue, alla caduta dei regimi di Tunisia ed Egitto, rischiano di essere o definitivamente e sanguinosamente stroncate o bloccate, dalla «soluzione militare» del processo in Libia.
Si poteva fare diversamente? Sì, la strumentazione e l’iniziativa diplomatica e politica, insieme a quella umanitaria, potevano – e vorremmo augurarci che ancora possano – imprimere un andamento diverso alla iniziativa della comunità internazionale. Non ci si è neanche provato. L’Unione Europea ancora una volta non è stata in grado di svolgere alcun ruolo, e già i caccia francesi sorvolano i cieli della Libia, dopo che il governo Sarkozy ha fornito costosissimi aerei da guerra al colonnello Gheddafi (con i quali ha bombardato la sua popolazione), come quello italiano -, maggior fornitore di armi alla Libia -, che rulla i tamburi di guerra, appellandosi agli «interessi nazionali»; la Germania ha scelto sensatamente di astenersi.
La società civile italiana ed europea, i movimenti per la pace e per i diritti, che seguono e appoggiano la crescita e diffusione dei movimenti per la democrazia nella sponda sud del Mediterraneo hanno di fronte la responsabilità di mettere in opera tutte le iniziative possibili, una vera strategia politica, affinché quel processo possa continuare a svolgersi e restare nelle mani di coloro che lo hanno avviato. In primo luogo opporsi agli interventi militari, come quello che oggi si prefigura sulla Libia.
Alessandra Mecozzi Ufficio internazionale della Fiom-Cgil