da Buenos Aires, articolo a cura di Alioscia Castronovo
Un consiglio a tutti a vedere il documentario “La dignidad rebelde: Darìo Santillàn”: quasi non ci si crede che aveva appena ventuno anni, questo ragazzo che assieme a molti altri occupava le terre e costruiva cooperative per aprire giorno dopo giorno una via di fuga dalla miseria, dall'emarginazione, dall'assenza di diritti. Un documentario che restituisce la dimensione collettiva dell'esperienza di cui Darìo e Maxi sono ormai il simbolo, esperienza che ha insegnato a tanti di noi a resistere contro la crisi, in qualunque parte del mondo fossimo in quel momento. Nel 2001 come oggi, per costruire un'alternativa radicale al capitalismo“en cualquier pais, en cualquier continente”.
In migliaia ci siamo ritrovati ad Avellaneda, partido della provincia di Buenos Aires a due passi dalla Boca e dalla capital federal, lo scorso 26 di giugno, per ricordare l'assassinio di Darìo e Maxi, militanti piqueteros uccisi dalla polizia durante un blocco stradale sul ponte Purreydon. Una ferita ancora viva nella memoria e nell'immaginario argentino, militanti che hanno segnato con la loro morte un punto di non-ritorno, divenendo ahimè i simboli della brutale repressione costata poi la presidenza a Duhalde pochi mesi prima dell'avvento della nuova fase della governance kirchnerista.
Ma sopratutto oggi Darìo e Maxi sono il simbolo, come scrive Itai Hagman su Marcha, della nuova generazione di militanti che dal 2001 è nata e continua a costruire nell'Argentina di oggi lotte e progetti di alternativa radicale al capitalismo e all'ingiustizia sociale, nelle università e nei quartieri, nelle villas miserias e nelle fabbriche autogestite.
Dieci anni fa erano passati pochi mesi dalle giornate insurrezionali del 19 e del 20 dicembre, maturava un processo lungo di immaginazione e costruzione di un'alternativa al neoliberismo e al saccheggio (di risorse, di vita, di diritti) dei decenni precedenti, le rivolte nelle strade della capitale e non solo avevano destituito cinque presidenti al grido di “Que se vayan todos”, nascevano e si diffondevano le fabbriche recuperate, le assemblee di quartiere e le forme di esperienza comunitaria che hanno cambiato il volto dell'Argentina, reduce dalla dittatura militare e da quella economica del neoliberismo di Menem.