domenica 8 luglio 2012

Messico - La corona ammaccata


di Luis Hernandez Navarro*


Questo 4 luglio, dopo più di otto ore di assemblea generale, il movimiento #YoSoy132 ha rifiutato all’unanimità il processo elettorale della scorsa domenica e il vincitore virtuale Enrique Peña Nieto.
La giornata elettorale, ha indicato il movimiento, non si è sviluppata in un ambiente di pubblica tranquillità e legalità. Domenica “hanno prevalso pratiche profondamente antidemocratiche, come la violenza di stato e l’acquisto e la costrizione al voto, lucrando sulla condizione in cui si trovano le nostre popolazioni e sulle loro necessità”.
Di fronte alle irregolarità, il movimento ha riconosciuto una mancanza di democrazia nel processo elettorale .
Ha segnalato che “l’imposizione di Enrique Peña Nieto è un processo architettato da diversi anni dai poteri de facto, nazionali e stranieri.”
Nella Quinta Assemblea Generale Interuniversitaria, gli studenti hanno denunciato la manipolazione dei mezzi di comunicazione e degli scrutinii dei voti, cosa che secondo loro ha alterato il voto libero e ragionato dei cittadini. “Non si accetta e non si accetterà” Enrique Peña Nieto come presidente, hanno dichiarato in un comunicato pubblico alla fine della giornata a cui hanno partecipato i rappresentanti di più di 120 università.
Il documento del movimiento dà voce anche al sentimento di molti messicani che non sono universitari.
Il primo luglio alle urne si sono fronteggiati due Messico. Uno, cittadino, critico, riflessivo, dalla parte di un paese differente, deciso ad appoggiare  Andrés Manuel López Obrador. L’altro, clientelare, timoroso di un cambiamento, obbediente alle gerarchie politiche, consumatore passivo dei racconti della televisione, che ha votato a favore di Enrique Peña Nieto.
Un altro Messico, soprattutto indigeno, deluso dai partiti politici e dai suoi candidati, ha deciso di non partecipare, anche se non era stata lanciata apertamente una campagna per l’astensione o l’annullamento del voto.

Argentina - Dario y Maxi no estàn solos!


da Buenos Aires, articolo a cura di Alioscia Castronovo
Un consiglio a tutti a vedere il documentario “La dignidad rebelde: Darìo Santillàn”: quasi non ci si crede che aveva appena ventuno anni, questo ragazzo che assieme a molti altri occupava le terre e costruiva cooperative per aprire giorno dopo giorno una via di fuga dalla miseria, dall'emarginazione, dall'assenza di diritti. Un documentario che restituisce la dimensione collettiva dell'esperienza di cui Darìo e Maxi sono ormai il simbolo, esperienza che ha insegnato a tanti di noi a resistere contro la crisi, in qualunque parte del mondo fossimo in quel momento. Nel 2001 come oggi, per costruire un'alternativa radicale al capitalismo“en cualquier pais, en cualquier continente”.

In migliaia ci siamo ritrovati ad Avellaneda, partido della provincia di Buenos Aires a due passi dalla Boca e dalla capital federal, lo scorso 26 di giugno, per ricordare l'assassinio di Darìo e Maxi, militanti piqueteros uccisi dalla polizia durante un blocco stradale sul ponte Purreydon. Una ferita ancora viva nella memoria e nell'immaginario argentino, militanti che hanno segnato con la loro morte un punto di non-ritorno, divenendo ahimè i simboli della brutale repressione costata poi la presidenza a Duhalde pochi mesi prima dell'avvento della nuova fase della governance kirchnerista.
Ma sopratutto oggi Darìo e Maxi sono il simbolo, come scrive Itai Hagman su Marcha, della nuova generazione di militanti che dal 2001 è nata e continua a costruire nell'Argentina di oggi lotte e progetti di alternativa radicale al capitalismo e all'ingiustizia sociale, nelle università e nei quartieri, nelle villas miserias e nelle fabbriche autogestite.
Dieci anni fa erano passati pochi mesi dalle giornate insurrezionali del 19 e del 20 dicembre, maturava un processo lungo di immaginazione e costruzione di un'alternativa al neoliberismo e al saccheggio (di risorse, di vita, di diritti) dei decenni precedenti, le rivolte nelle strade della capitale e non solo avevano destituito cinque presidenti al grido di “Que se vayan todos”, nascevano e si diffondevano le fabbriche recuperate, le assemblee di quartiere e le forme di esperienza comunitaria che hanno cambiato il volto dell'Argentina, reduce dalla dittatura militare e da quella economica del neoliberismo di Menem.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!