di Beatrice Cati
La libertà di stampa è da sempre una delle realtà più ferite della transizione tunisina. Negata durante il regime di Ben Ali, continua ad essere oggetto di crescenti divieti.
Nulla di più preoccupante, infatti, nel constatare che dopo la caduta del regime dittatoriale, le "luminose" promesse di dialogo, pluralismo e indipendenza dell'informazione non sono state esaudite. Del resto, i dati parlano chiaro. Reporters sans frontières, l'organizzazione non governativa internazionale che agisce da 25 anni in difesa della libertà di stampa in tutto il mondo, ha stilato la consueta classifica annuale, che vede la Tunisia 132esima su un totale di 179 Paesi, scivolando dunque di quattro posti, quando ne aveva guadagnati oltre 30 nel 2011. Perché? Perché c'è stato un aumento nelle aggressioni ai giornalisti nel primo trimestre del 2012 e perché le autorità hanno mantenuto un vuoto legislativo rimandando l'implementazione dei decreti leggi sulla regolamentazione dei mezzi di informazione.
Durante la rivoluzione del 2011, blogger e cyber-dissidenti sono riusciti a mostrare all'opinione pubblica internazionale la verità sui massacri in corso da parte del regime. "Le televisioni e i giornali nazionali, fedeli alle direttive di palazzo, tacevano sulle rivolte in corso. Abbiamo capito che c'era un vuoto tra la documentazione prodotta dai testimoni degli eventi e la fruibilità della stessa da parte dei mezzi di informazione. Il nostro sito era ancora oscurato in Tunisia, ma perfettamente visibile al di fuori dei confini nazionali. Era arrivato il momento di superare il blocco mediatico imposto dal regime", racconta il blogger Houssem Hajlaoui, membro del collettivo Nawaat.org, il maggiore riferimento per l'informazione indipendente in Tunisia.