Le Isole Vergini sono un accogliente rifugio per i capitali più o meno leciti di 22 mila clienti residenti nella Repubblica popolare e a Hong Kong, e di 16mila taiwanesi
Non era certo un segreto che le Isole Vergini britanniche fossero una delle prime fonti di investimenti diretti in Cina e a Hong Kong e tra le prime destinazioni offshore dei flussi di valuta provenienti dai medesimi luoghi. Fino a pochi giorni fa ci si poteva, ingenuamente, chiedere come mai tanto traffico intorno alle paradisiache isolette. Un report dell’Icij, (International Consortium of Investigative Journalism) diffuso il 21 gennaio scorso ha risposto agli interrogativi: il territorio d’oltre mare britannico (che riceve il 40% del suo giro d’affari dall'area asiatica) è un accogliente rifugio per i capitali più o meno leciti di 22 mila clienti residenti nella Repubblica popolare e a Hong Kong, e di 16mila taiwanesi.
Il rapporto è il frutto di
un’inchiesta durata mesi e condotta da una squadra di giornalisti
internazionali, tra i quali anche reporter cinesi, alcuni dei quali
sono stati costretti a lasciare il lavoro di indagine prima del tempo
a causa delle pressioni ricevute dall'alto.
Le rivelazioni più clamorose del
rapporto riguardano infatti i nomi di chi ha scelto di portare le
proprie ricchezze fuori dalla Cina. Sono nomi eccellenti
dell’aristocrazia rossa del Partito comunista che comprendono, fra
gli altri, il cognato dell’attuale uomo forte della Cina, il
presidente Xi Jinping, il figlio e il genero dell’ex premier Wen
Jiabao ( nel 2012 già bersaglio di un’inchiesta condotta dal New
York Times sugli ingenti e poco trasparenti affari di famiglia), il
primo cugino dell’ex presidente Hu Jintao, la figlia dell’ex
premier Li Peng (meglio noto come il “macellaio di Tiananmen” per
il suo ruolo nel massacro del 4 giugno 1989), il genero di Deng
Xiaoping, venerato architetto delle riforme cinesi, il nipote di
uno dei fondatori della RPC, il nipote di un famoso generale
dell’Esercito popolare di liberazione etc.