giovedì 16 ottobre 2014

Kurdistan - Viviamo, impariamo e combattiamo. Le donne di Kobane sul fronte delle contraddizioni


In una recente intervista dal fronte realizzata dalla reporter australiana Tara Brown, una donna combattente curda delle YPJ (Unità di protezione delle Donne) ha dichiarato che lo Stato Islamico è un nemico dell’umanità. Per lei e per le donne della sua brigata Kobane è il confine globale che separa la civiltà dalla barbarie.

di Paola Rudan

C’è qualcosa di spiazzante in queste parole perché sono le stesse che, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, hanno preteso di giustificare una guerra combattuta senza frontiere, dall’Afghanistan all’Iraq alle periferie delle città americane ed europee, in nome della «duratura libertà» di un Occidente minacciato dal terrorismo globale.

Ma è altrettanto spiazzante il radicale cambiamento di prospettiva che impongono il contesto e la posizione di chi parla: se ci muoviamo dalle stanze blindate del Pentagono a una terra di passaggio in Medioriente non abbiamo più davanti un manipolo di uomini che pretende di guidare una guerra giusta per la libertà – anche quella delle donne oppresse dall’integralismo talebano –, ma donne protette soltanto da sottili muri di pietra e dalle proprie armi che combattono per liberare se stesse. Quest’osservazione, però, non basta a quietare il senso di spiazzamento.

È davvero sufficiente che sia una donna a pronunciare quelle parole per cambiare il loro significato, per rovesciare un discorso che ha veicolato gerarchie e oppressione e per trasformarlo in una canzone per la libertà? Il fatto che siano le donne a imbracciare le armi è sufficiente a farci rinunciare al pacifismo che abbiamo sostenuto di fronte all’invasione statunitense dell’Afghanistan, a farci riconoscere le ragioni della guerra?

Le fila delle Unità di protezione del popolo contano 45mila unità, il 35% sono donne. Quasi 16mila guerriere contraddicono praticamente ogni legame sostanziale tra il sesso, la guerra o la pace. Si tratta, per la maggior parte, di curde siriane, ma ogni giorno nuove combattenti provenienti dalla Turchia e dalla Siria, non soltanto curde, si uniscono alle YPJ. Un detonatore per questa ondata di reclutamenti è stata la presa del Sinjar da parte dello Stato islamico, lo scorso 3 agosto.

Migliaia di donne curde yezidi sono state catturate. Quelle che non sono state uccise per essersi ribellate o aver tentato di fuggire e quelle che non si sono uccise per scampare al proprio destino sono state stuprate, ridotte in schiavitù e vendute a combattenti ed emiri al solo scopo di soddisfare le loro esigenze sessuali e la necessità di produrre e allevare martiri jihadisti. Centinaia di bambini sono stati catturati e rinchiusi in scuole coraniche per essere trasformati in combattenti.

mercoledì 15 ottobre 2014

Kurdistan - La strana coppia: che cosa c’entrano il pensatore americano Bookchin e Abdullah Öcalan

Che cosa c’entrano il pensatore americano Murray Bookchin, padre dell’ecologia sociale (morto nel 2006), e Abdullah Öcalan, leader (in carcere in Turchia) del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Partîya Karkerén Kurdîstan o Pkk)?

di Janet Biehl 

Una studiosa americana spiega come le idee comunaliste di Bookchin influenzino l’esperienza curda.

Nel 1923, sulle rovine dell’Impero ottomano, nacque il moderno Stato turco, fondato come repubblica laica. In contrasto con l’antico organismo islamico, i fondatori della repubblica, guidati da Kemal Atatürk, speravano che la nuova Turchia diventasse un giorno un membro a tutti gli effetti della famiglia delle nazioni occidentali. Ma mentre per alcuni aspetti, come il suo laicismo, la repubblica era progressista, non lo era almeno per un importante fattore: l’incapacità di riconoscere l’esistenza delle numerose minoranze etniche del paese, soprattutto della più consistente, quella curda. Si pensava che nella nuova repubblica quella minoranza avrebbe perso la propria identità e si sarebbe assimilata ai Turchi. I Curdi, che vantano una presenza antica e peculiare soprattutto nell’area sudorientale dell’Anatolia, furono repressi e scatenarono numerose rivolte tra il 1925 e il 1938, ma l’esercito turco le soffocò tutte. Successivamente lo Stato turco tentò di cancellare l’esistenza stessa dei Curdi, ribattezzandoli “Turchi di montagna” e vietando per legge l’uso della loro lingua, delle loro espressioni culturali e perfino della toponomastica locale.

Quella repressione non poteva che produrre una reazione militante. Negli anni sessanta e settanta del secolo scorso sorse un movimento di liberazione dei Curdi, che rivendicava diritti culturali, linguistici e politici. Nel 1978 Abdullah Öcalan fondò il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), di ideologia marxista-leninista, sulla scia dei movimenti anticolonialisti e antimperialisti che negli anni settanta erano numerosi. Il Pkk si poneva l’obiettivo della costituzione di uno Stato separato socialista.

Lo Stato turco mantenne una posizione rigida e nel 1982 adottò una costituzione, ancora oggi in vigore, che sancisce che la Turchia è “un’entità indivisibile” vietando la lingua curda scritta e parlata. Nel 1984 il Pkk scatenò la rivolta con la lotta armata.

Nei decenni successivi ci sono stati più di 37.000 caduti su entrambi i fronti. Öcalan non era una mammoletta: ha una nomea di bruto sanguinario (in parte esagerata, ma in parte giustificata). Ma lo Stato turco è stato ancor più brutale e negli ultimi dieci anni dello scorso secolo ha distrutto più di tremila villaggi curdi. Mentre da un lato accusava i Curdi di terrorismo, spargeva il terrore tra la popolazione del Kurdistan.

Invece di ammettere che non era possibile far sparire una minoranza di venti milioni di persone, non ha voluto accettare nemmeno un’opposizione curda moderata. Dal 1991 una legge contro il terrorismo ha permesso di perseguire come terrorista chiunque – giornalisti, intellettuali, attivisti – sostenesse i diritti dei Curdi anche in forme non violente. Il codice penale turco sanziona le espressioni verbali e scritte di sostegno ai diritti dei Curdi, assimilandole a manifestazioni di odio razziale.

Poi, nel febbraio 1999, dopo una spettacolare caccia all’uomo a livello internazionale, Abdullah Öcalan fu catturato in Kenya, arrestato e tradotto in Turchia per subire un processo con l’accusa di tradimento.

Democrazia e diritti delle minoranze

Seguì, per Öcalan, una lunga fase di ripensamento. Dopo il crollo dell’Unione sovietica nel 1991, egli era uno dei tanti personaggi della sinistra internazionale che avevano respinto il marxismo-leninismo, il “socialismo reale”, lo stalinismo, in quanto autoritari e dogmatici. Il popolo curdo, sosteneva, “deve reagire alle esigenze del momento storico” e “riconsiderare i principi, i programmi e le modalità di azione”. Invece di tentare di imporre un sistema rigido, doveva “assicurare e applicare i più ampi criteri di democrazia” (1). Così, nel 1993, dichiarò unilateralmente il cessate il fuoco e osservò: “Turchi e Curdi sono affratellati da più di mille anni e noi non accettiamo una separazione dalla Turchia.” (2)

Nel 1999, però, molti non si erano accorti che Öcalan aveva cambiato linea. Al suo processo, che inevitabilmente ebbe un carattere politico, in tanti si aspettavano che esortasse il Pkk a riprendere la lotta per uno Stato curdo e invece rese pubblica una presa di posizione che spingeva per l’accettazione dei confini esistenti in una Turchia unita e la democratizzazione dell’intero paese, per garantire a ogni cittadino il diritto di partecipare alla vita politica su un piano di parità, senza differenze di etnia.

“La situazione, tanto per i Turchi quanto per il Curdi, sarebbe migliore in una Turchia veramente democratica”, affermò Öcalan davanti agli inquirenti. “E la Turchia non può essere una vera democrazia se non riconosce l’esistenza e i diritti del popolo curdo. Altri paesi hanno imparato a convivere con le minoranze e a consentire la partecipazione associandola a vari livelli di autonomia culturale e linguistica. L’integrazione e la diversità hanno trasformato le differenze in un elemento di forza e hanno reso più potenti quelle nazioni. Un assetto democratico, inoltre, spingerebbe finalmente la Turchia nell’ambito dei moderni paesi occidentali, portando così a compimento il sogno di Atatürk”.

Quale che fosse l’idea che gli inquirenti si erano fatti di quel messaggio, era del messaggero che non si curavano: incriminarono Öcalan per tradimento e lo condannarono a morte. Pochi anni dopo, la domanda di entrare nell’Unione europea impose alla Turchia di eliminare la pena di morte e la sentenza di Öcalan fu commutata in ergastolo. Fu incarcerato nell’isola di Imrali, nel mar di Marmara.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!