Che
cosa c’entrano il pensatore americano Murray Bookchin, padre
dell’ecologia sociale (morto nel 2006), e Abdullah Öcalan, leader (in
carcere in Turchia) del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Partîya
Karkerén Kurdîstan o Pkk)?
di Janet Biehl
Una studiosa americana spiega come le idee comunaliste di Bookchin influenzino l’esperienza curda.
Nel 1923, sulle rovine dell’Impero ottomano, nacque il moderno Stato turco, fondato come repubblica laica. In contrasto con l’antico organismo islamico, i fondatori della repubblica, guidati da Kemal Atatürk, speravano che la nuova Turchia diventasse un giorno un membro a tutti gli effetti della famiglia delle nazioni occidentali. Ma mentre per alcuni aspetti, come il suo laicismo, la repubblica era progressista, non lo era almeno per un importante fattore: l’incapacità di riconoscere l’esistenza delle numerose minoranze etniche del paese, soprattutto della più consistente, quella curda. Si pensava che nella nuova repubblica quella minoranza avrebbe perso la propria identità e si sarebbe assimilata ai Turchi. I Curdi, che vantano una presenza antica e peculiare soprattutto nell’area sudorientale dell’Anatolia, furono repressi e scatenarono numerose rivolte tra il 1925 e il 1938, ma l’esercito turco le soffocò tutte. Successivamente lo Stato turco tentò di cancellare l’esistenza stessa dei Curdi, ribattezzandoli “Turchi di montagna” e vietando per legge l’uso della loro lingua, delle loro espressioni culturali e perfino della toponomastica locale.
Quella repressione non poteva che produrre una reazione militante. Negli anni sessanta e settanta del secolo scorso sorse un movimento di liberazione dei Curdi, che rivendicava diritti culturali, linguistici e politici. Nel 1978 Abdullah Öcalan fondò il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), di ideologia marxista-leninista, sulla scia dei movimenti anticolonialisti e antimperialisti che negli anni settanta erano numerosi. Il Pkk si poneva l’obiettivo della costituzione di uno Stato separato socialista.
Lo Stato turco mantenne una posizione rigida e nel 1982 adottò una costituzione, ancora oggi in vigore, che sancisce che la Turchia è “un’entità indivisibile” vietando la lingua curda scritta e parlata. Nel 1984 il Pkk scatenò la rivolta con la lotta armata.
Nei decenni successivi ci sono stati più di 37.000 caduti su entrambi i fronti. Öcalan non era una mammoletta: ha una nomea di bruto sanguinario (in parte esagerata, ma in parte giustificata). Ma lo Stato turco è stato ancor più brutale e negli ultimi dieci anni dello scorso secolo ha distrutto più di tremila villaggi curdi. Mentre da un lato accusava i Curdi di terrorismo, spargeva il terrore tra la popolazione del Kurdistan.
Invece di ammettere che non era possibile far sparire una minoranza di venti milioni di persone, non ha voluto accettare nemmeno un’opposizione curda moderata. Dal 1991 una legge contro il terrorismo ha permesso di perseguire come terrorista chiunque – giornalisti, intellettuali, attivisti – sostenesse i diritti dei Curdi anche in forme non violente. Il codice penale turco sanziona le espressioni verbali e scritte di sostegno ai diritti dei Curdi, assimilandole a manifestazioni di odio razziale.
Poi, nel febbraio 1999, dopo una spettacolare caccia all’uomo a livello internazionale, Abdullah Öcalan fu catturato in Kenya, arrestato e tradotto in Turchia per subire un processo con l’accusa di tradimento.
Democrazia e diritti delle minoranze
Seguì, per Öcalan, una lunga fase di ripensamento. Dopo il crollo dell’Unione sovietica nel 1991, egli era uno dei tanti personaggi della sinistra internazionale che avevano respinto il marxismo-leninismo, il “socialismo reale”, lo stalinismo, in quanto autoritari e dogmatici. Il popolo curdo, sosteneva, “deve reagire alle esigenze del momento storico” e “riconsiderare i principi, i programmi e le modalità di azione”. Invece di tentare di imporre un sistema rigido, doveva “assicurare e applicare i più ampi criteri di democrazia” (1). Così, nel 1993, dichiarò unilateralmente il cessate il fuoco e osservò: “Turchi e Curdi sono affratellati da più di mille anni e noi non accettiamo una separazione dalla Turchia.” (2)
Nel 1999, però, molti non si erano accorti che Öcalan aveva cambiato linea. Al suo processo, che inevitabilmente ebbe un carattere politico, in tanti si aspettavano che esortasse il Pkk a riprendere la lotta per uno Stato curdo e invece rese pubblica una presa di posizione che spingeva per l’accettazione dei confini esistenti in una Turchia unita e la democratizzazione dell’intero paese, per garantire a ogni cittadino il diritto di partecipare alla vita politica su un piano di parità, senza differenze di etnia.
“La situazione, tanto per i Turchi quanto per il Curdi, sarebbe migliore in una Turchia veramente democratica”, affermò Öcalan davanti agli inquirenti. “E la Turchia non può essere una vera democrazia se non riconosce l’esistenza e i diritti del popolo curdo. Altri paesi hanno imparato a convivere con le minoranze e a consentire la partecipazione associandola a vari livelli di autonomia culturale e linguistica. L’integrazione e la diversità hanno trasformato le differenze in un elemento di forza e hanno reso più potenti quelle nazioni. Un assetto democratico, inoltre, spingerebbe finalmente la Turchia nell’ambito dei moderni paesi occidentali, portando così a compimento il sogno di Atatürk”.
Quale che fosse l’idea che gli inquirenti si erano fatti di quel messaggio, era del messaggero che non si curavano: incriminarono Öcalan per tradimento e lo condannarono a morte. Pochi anni dopo, la domanda di entrare nell’Unione europea impose alla Turchia di eliminare la pena di morte e la sentenza di Öcalan fu commutata in ergastolo. Fu incarcerato nell’isola di Imrali, nel mar di Marmara.
Poiché gli erano consentite solo occasionali visite dei suoi legali, a Öcalan non restava altro che molto tempo a disposizione, così quello che era stato il capo della lotta armata si dedicò allo studio. I suoi avvocati gli portavano libri da leggere, testi di storia, di sociologia e di altri argomenti. Tra il 2001 e il 2002 si interessò alle opere di Bookchin, soprattutto a Ecologia della libertà e a The Rise of Urbanization, le cui traduzioni in turco erano state pubblicate diversi anni prima. In quelle pagine riconobbe uno spirito affine, quello di un altro attivista di sinistra che aveva vissuto un passaggio dal marxismo-leninismo alla democrazia radicale.
Bookchin da ragazzo era stato stalinista, ma quando aveva visto che il proletariato non era insorto contro il capitalismo alla fine della Seconda guerra mondiale aveva preso atto del cambiamento di circostanze e rotto con il marxismo. Era però rimasto su posizioni anticapitaliste e rivoluzionarie e negli anni cinquanta (come Öcalan quarant’anni dopo) attuò un ripensamento.
A differenza delle avanguardie autoritarie dello stalinismo, una sinistra moderna e reinventata doveva essere completamente democratica. Ispirandosi ai suoi studi sulle assemblee cittadine dell’antica Atene, Bookchin arrivò alla conclusione che un futuro movimento rivoluzionario dovesse prima di tutto evitare i despoti e adottare l’assemblea popolare come attuazione istituzionale della libertà. L’attuale Stato nazionale sarebbe scomparso e i suoi poteri consegnati ai cittadini riuniti in assemblee democratiche faccia a faccia .
Bookchin intuì anche che il peccato mortale del capitalismo stava nel suo conflitto con l’ambiente naturale, che avrebbe portato alla crisi; redasse così i primi manifesti di ecologia radicale, auspicando il decentramento delle metropoli, per poter vivere in dimensioni meno estese, producendo localmente il cibo e utilizzando energia rinnovabile. Il governo sarebbe stato dei cittadini, non dei padroni dell’industria, dei diktat del mercato o delle autorità dello Stato. Bookchin si impegnò per vari decenni a elaborare queste tesi in un programma per una società ecologica e democratica. A questo programma diede nomi diversi nel corso degli anni: eco-anarchismo, municipalismo libertario e infine comunalismo.
Due dialettici
Öcalan avrebbe visto in Bookchin un uomo che pensava come lui, con un’impronta dialettica ereditata dal loro comune passato marxista. Non che fossero più materialisti dialettici, ma restavano tali nel senso che tendevano a riflettere in termini di uno sviluppo, soprattutto sul piano storico. I due testi che Öcalan lesse durante la sua detenzione erano strutturati dialetticamente, come narrazioni storiche (3).
L’ecologia della libertà è un vasto affresco della storia umana. “Nelle primitive società ‘organiche’ della preistoria – scriveva Bookchin – il popolo delle tribù viveva in comunità non gerarchiche. I mezzi di sussistenza erano distribuiti comunalmente secondo il costume dell’usufrutto (utilizzo delle risorse in base alle necessità), un’etica della complementarietà (mutualità) e del minimo irriducibile (diritto per tutti al cibo, all’alloggio e all’abbigliamento).
Abituate a pensare in termini cooperativi, le persone guardavano al mondo naturale come similmente armonioso”.
Per Öcalan era di particolare interesse il fatto che Bookchin aveva dedicato molta attenzione ai Sumeri e all’antica Mesopotamia. Lì era cominciata la civiltà: “La scrittura cuneiforme [...] ebbe origine nelle registrazioni meticolose che gli addetti al tempio tenevano dei prodotti ricevuti e di quelli distribuiti” (p. 144). I Sumeri all’inizio avevano un atteggiamento notevolmente ugualitario: “Le prime ‘città-stato’ erano governate da ‘assemblee ugualitarie’ che disponevano di una ‘libertà a un livello fuori del comune’” (p. 129). Bookchin osservava affascinato come tra i Sumeri fosse apparsa scritta, per la prima volta nella storia, la parola “libertà” (amargi), su una tavoletta in caratteri cuneiformi che descrive una vittoriosa rivolta popolare contro un re tiranno (p. 168). Poi delineava come fosse emersa la gerarchia: gerontocrazia e patriarcato, sciamani e sacerdoti, guerrieri, capi e Stati, proprietà e società di classi. Anche tra i Sumeri (e nell’antica Mesoamerica) erano emerse gerarchie religiose e militari, dando origine a Stati, eserciti e imperi. La modernità (col capitalismo industriale) rafforza ed espande le antiche forme di dominio. Inoltre, invece di vivere in armonia con la natura, le moderne società capitaliste concepiscono la natura come un oggetto da sfruttare e ambiscono a dominarla.
Secondo Bookchin, però, l’emergere della gerarchia, l’ascesa dello Stato nazionale e del capitalismo non erano eventi inevitabili e se abbandoniamo l’idea che lo fossero, possiamo elaborare la visione di un “futuro liberato” (p. 67). Un tempo le persone vivevano in forme cooperative e comunali, e possono farlo anche ora. Il ricordo sepolto della società organica “funziona inconsciamente con un implicito impegno per la libertà” (p. 143).
La tradizione di dominio, pertanto, si oppone a un contro-movimento di tradizione di movimenti di libertà e resistenza che cercano di rovesciare il dominio e di creare società libere. Questi movimenti hanno inconsciamente assorbito i principi della società organica: usufrutto, complementarietà, minimo irriducibile, pur dandogli altri nomi, come socialismo, comunalismo o cooperativismo. Anche tra gli antichi Sumeri, dopo il sorgere di regni, “ci sono prove di rivolte popolari, forse per ripristinare l’antica gestione sociale o per limitare l’autorità del bala (sovrano)”. Anche “i potenti capi militari, gli ensi, erano più volte sottoposti a giudizio da assemblee popolari” (p. 195). La storia delle ribellioni popolari di lì in poi procede parallelamente a quella del dispotismo.
Oggi più che mai le persone, che vivono in economie capitaliste e sono dominate da Stati nazionali, ambiscono a una società profondamente trasformata, che sia comunale e cooperativa, che si sia liberata sia del capitalismo sia degli Stati nazionali, che sia in un rapporto cooperativo con la natura. Le speranze di una società liberata ed ecologica poggiano sul potenziale di questo rinnovamento sociale. Bookchin ha chiamato questo insieme di tesi “ecologia sociale”.
Nell’altro libro letto da Öcalan, Urbanization Without Cities, Bookchin poneva le basi storiche di una rivolta municipalista contro lo Stato nazionale e il capitalismo. Individuava una tradizione di assemblee democratiche di cittadini che era nata con l’antica ekklesia, era proseguita con i primi comuni medievali in Italia, in Germania e nei Paesi bassi, i vece Pskov e di Novgorod, le assemblee del comuñero della Spagna del cinquecento, quelle della Parigi rivoluzionaria del 1789, i comitati e i consigli della Rivoluzione americana, la Comune di Parigi del 1871, i soviet del 1905 e del 1917, i collettivi della Spagna rivoluzionaria del 1936-37 e i meeting cittadini del New England. Contrariamente a quanto sosteneva il marxismo, l’agente della rivoluzione non è l’operaio, ma il cittadino e il luogo della rivoluzione non è la fabbrica, ma la municipalità.
Öcalan ecologista sociale
Il “principio di speranza” offerto dalla Ecologia della libertà deve avere ispirato Öcalan in carcere. Quando riprese la penna, le sue parole erano influenzate dalla tesi secondo la quale un tempo si sarebbe vissuto in comunità solidali e che ne resterebbero oggi le possibilità. “La vittoria del capitalismo non è una semplice fatalità” ha scritto Öcalan nel 2004. “Avrebbe potuto esserci un’evoluzione diversa.” Anzi, “c’è sempre stata una scelta di libertà” (4), scriveva a proposito delle primitive forme sociali comunali, come la “società organica” di Bookchin, che Öcalan ha ribattezzato “società naturale”. Secondo lui, la gerarchia ha avuto origine tra i Sumeri (5), nelle ziggurat, le piramidi a gradoni della Mesopotamia che erano in parte templi, con le divinità che abitavano il piano superiore, ma anche centri amministrativi e, ai piani inferiori, siti per la produzione di merci (6). Poiché inglobavano l’autorità religiosa, quella statale e quella economica, le ziggurat rappresentavano un ordine sociale nel quale il popolo faticava per servire un ipotetico sovrano divino. I sacerdoti che costruivano le ziggurat erano “architetti del potere politico centralizzato”, le costruzioni erano “laboratori per codificare le concezioni degli umani [...] dove venne creata la creatura succube”.
Col tempo i templi crebbero e si trasformarono in città, le città in Stati, imperi, civiltà, ma la natura del fenomeno restava la stessa: “La storia della civiltà altro non è che la prosecuzione della società sumera [...] che si ramifica e si diversifica, ma conserva l’identica configurazione di fondo.” (7)
Viviamo ancora nel paese dei Sumeri, “questa incredibile invenzione intellettuale [che] controlla da sempre la storia intera” (8). Inoltre, rileva Öcalan riprendendo Bookchin, l’emergere della gerarchia ha introdotto l’idea del dominio sulla natura: “Invece di essere parte della natura” la società gerarchica la considera “sempre di più una risorsa” (9).
Ispirato dalla tesi di Bookchin della “tradizione di libertà”, Öcalan ha affermato che gli aspetti comunitari della “società naturale” permangono nei gruppi etnici, nei movimenti di classe e in quelli religiosi, nei gruppo filosofici che si battono per la libertà. Tutta la storia dell’Occidente è attraversata da una contraddizione dialettica tra libertà e dominio, perché “la società comunale è in conflitto permanente con quella gerarchica” (10).
Infine Öcalan ha fatto propria l’ecologia sociale. La “società naturale” era in un certo senso una società ecologica. Le stesse forze che distruggono dall’interno la società troncano importanti legami con la natura. Il capitalismo è anti-ecologico e noi abbiamo bisogno di un “consapevole impegno etico” contro di esso, ci serve “un sistema con fondamenti morali che comporti relazioni dialettiche sostenibili con la natura [...] ove il comune benessere sia conseguibile con la democrazia diretta.” (11)
La lotta per la libertà dei Curdi è coerente con l’ecologia sociale, perché è in parte una lotta che rivendica i valori della società organica: “Molti tratti e molte caratteristiche della società curda [...] hanno somiglianze con quelli delle comunità del neolitico,” (12) soprattutto quelle di una società organica.
Inoltre, “per tutta la loro storia i Curdi hanno favorito il sistema dei clan e delle confederazioni tribali e si sono battuti per resistere ai governi accentratori.” (13) Ancora, non sono i Curdi che incarnano in modo particolare la lotta per la libertà: “Qualsiasi soluzione dovrà prevedere opzioni non valide solo per il popolo curdo, ma per tutto il popolo.” Öcalan rimane, come Bookchin, un internazionalista: “Affronto questi problemi sulla base di un umanesimo, di una umanità, una natura e un universo.” (14)
Confederalismo democratico
Anche se languiva dietro le sbarre, Öcalan riusciva a comunicare con il popolo curdo attraverso i propri legali. Cominciò così a raccomandare Bookchin.
Invitò tutti i sindaci dei territori curdi a leggere Urbanization Without Cities e tutti i militanti a studiare L’ecologia della libertà. (15) Nella primavera del 2004 fece contattare Bookchin dai suoi legali per avviare un dialogo con lui. Öcalan spiegò a Bookchin, attraverso i suoi intermediari, di considerarsi un suo allievo, di avere acquisito una buona comprensione della sua opera e di aspirare ad rendere le sue idee applicabili nelle società mediorientali. Gli mandò anche uno dei suoi manoscritti.
Se quel colloquio fosse avvenuto, sarebbe stato un evento straordinario. Ma a ottantatré anni Bookchin era troppo ammalato per accettare. Comunque nel maggio di quello stesso anno scrisse a Öcalan: “La mia speranza è che un giorno il popolo curdo riesca a fondare una società razionale e libera, che renda possibile far rifiorire il suo splendore. Ha la fortuna di avere leader come il signor Öcalan.” (16) Questo messaggio, come apprendemmo in seguito, fu letto pubblicamente alla Seconda assemblea generale del Congresso del popolo del Kurdistan, tra le montagne.
Öcalan ha continuato a elaborare un concreto programma ecologico-sociale per i Curdi, per spingere alla democratizzazione e all’organizzazione comunale. Ha auspicato che i Curdi costituissero consigli e assemblee nei quartieri urbani, nelle città e nei villaggi. Ha chiamato questo programma “confederalismo democratico”. Nel marzo del 2005 ha pubblicato la “Dichiarazione del confederalismo democratico in Kurdistan” che esortava a creare “una democrazia di base, fondata sulla struttura di comuni democratici della società naturale. Essa costituirà assemblee di villaggio, di città e metropolitane, e ai loro delegati saranno affidati i compiti decisionali, il che in pratica significa che saranno il popolo e la comunità a decidere.”
Il confederalismo democratico di Öcalan sostiene i diritti individuali e la libertà di espressione per chiunque, al di là delle differenze religiose, etniche e di classe. Esso “promuove un modello di società ecologico” e non solo sostiene la liberazione della donna, ma la considera un aspetto centrale: “Faccio appello a tutti i settori della società, soprattutto a tutte le donne e ai giovani, perché formino le proprie organizzazioni democratiche e si autogovernino.”
La possibile diffusione di queste organizzazioni democratiche, suggerisce Öcalan, porterà ad avviare un processo di democratizzazione in Turchia. Si creerebbe una rete che travalica i confini nazionali, portando la cultura democratica in tutta l’area mediorientale, e non solo libertà per i Curdi ma un’unione confederale democratica in tutto il Medio oriente.
Alla morte di Bookchin, nel luglio 2006, l’assemblea del Pkk ha reso omaggio a “uno dei maggiori scienziati sociali del ventesimo secolo”. Bookchin “ci ha introdotto al pensiero dell’ecologia sociale, – ha dichiarato l’assemblea – e ha contribuito a sviluppare la teoria socialista per farla avanzare su basi più solide.” Ha indicato come tradurre in realtà un nuovo sistema democratico. “Ha avanzato il concetto di confederalismo, un modello che noi crediamo creativo e realizzabile.”
L’assemblea ha anche affermato: “Le tesi [di Bookchin] sullo Stato, il potere, la gerarchia saranno messe in pratica e attuate attraverso la nostra lotta [...]. Realizzeremo questa promessa come prima società che stabilisca un concreto confederalismo democratico.”
Nel luglio 2011 un congresso straordinario a Diyarbakir (la capitale curda de facto) ha dichiarato “l’autonomia democratica”, intendendo con ciò che le città e i centri urbani curdi tradurranno in pratica questo principio costituendo istituzioni democratiche e organizzazioni della società civile. In seguito è sorta un’elaborata struttura consigliare, con basi nelle città, nei quartieri e nei villaggi, che assicura l’autogoverno dei Curdi a livello locale e affianca le istituzioni regolari dell’amministrazione turca. Le organizzazioni sono in fase di attuazione, ma se si considera che sono state create in condizioni di costante repressione e di guerra, è notevole quanto si è già realizzato. (17)
Con tali mezzi è auspicabile che il popolo curdo conquisti un giorno la sua tanto sognata amargi.
Janet Biehl
traduzione dall’inglese di Guido Lagomarsino
Note
* Abdullah Öcalan, Declaration on the Democratic Solution of the Kurdish Question, 1999, trans. Kurdistan Information Centre, Mesopotamian Publishers, London 1999, qui a seguito Defense, pp 106 sgg.
*Cit. in Michael Gunther, The Kurds Ascending, 2nd ed. Palgrave Macmillan 2011, p. 65.
*Murray Bookchin, L’ecologia della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia, Elèuthera, Milano 2010; The Rise of Urbanization and the Decline of Citizenship, Sierra Club, San Francisco, 1986.
*Abdullah Ö, In Defense of the People (inedito), p. 41. Per la traduzione inglese del manoscritto si ringrazia l’International Initiative Freedom for Ö, Peace in Kurdistan. Il testo è stato pubblicato in Germania con il titolo Jenseits von Staat, Macht und Gewalt, Mesopotamien Verlag, Neuss, 2010.
*Abdullah Ö, Prison Writings, The Roots of Civilization, trad. Klaus Happel, Pluto Press, London 2007; e Prison Writings, The PKK and the Kurdish Question in the 21st Century, Klaus Happel, Transmedia, London 2011.
* Öcalan, Roots, p, 6.
*Ibid. p. 35, 25, 98.
*Öcalan, PKK and the Kurdish Question, p. 96.
*Öcalan, Defense of People, cap. 12. 10 Öcalan, PKK and the Kurdish Question, p. 51, 65, 60.
*Öcalan, Defense of People, cap. 3,4.
*Öcalan, PKK and the Kurdish Question, p. 22.
*Öcalan, “The Declaration od Democratic Confederalism”, 4 febbraio 2005, online su http://www.kurdmedia.com/article.aspx?id=10174.
*Öcalan, PKK and the Kurdish Question, p. 52.
*Così mi è stato riferito dall’intermediario tra i legali di Öcalan e Bookchin, che desidera rimanere anonimo.
*Copia in possesso dell’autrice.
*Per lo studio delle istituzioni di autonomia democratica, vedi TATORT Kurdistan, Demokratische Autonomie in Nordkurdistan (2011), http://demokratischeautonomie.blogspot.eu.
di Janet Biehl
Una studiosa americana spiega come le idee comunaliste di Bookchin influenzino l’esperienza curda.
Nel 1923, sulle rovine dell’Impero ottomano, nacque il moderno Stato turco, fondato come repubblica laica. In contrasto con l’antico organismo islamico, i fondatori della repubblica, guidati da Kemal Atatürk, speravano che la nuova Turchia diventasse un giorno un membro a tutti gli effetti della famiglia delle nazioni occidentali. Ma mentre per alcuni aspetti, come il suo laicismo, la repubblica era progressista, non lo era almeno per un importante fattore: l’incapacità di riconoscere l’esistenza delle numerose minoranze etniche del paese, soprattutto della più consistente, quella curda. Si pensava che nella nuova repubblica quella minoranza avrebbe perso la propria identità e si sarebbe assimilata ai Turchi. I Curdi, che vantano una presenza antica e peculiare soprattutto nell’area sudorientale dell’Anatolia, furono repressi e scatenarono numerose rivolte tra il 1925 e il 1938, ma l’esercito turco le soffocò tutte. Successivamente lo Stato turco tentò di cancellare l’esistenza stessa dei Curdi, ribattezzandoli “Turchi di montagna” e vietando per legge l’uso della loro lingua, delle loro espressioni culturali e perfino della toponomastica locale.
Quella repressione non poteva che produrre una reazione militante. Negli anni sessanta e settanta del secolo scorso sorse un movimento di liberazione dei Curdi, che rivendicava diritti culturali, linguistici e politici. Nel 1978 Abdullah Öcalan fondò il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), di ideologia marxista-leninista, sulla scia dei movimenti anticolonialisti e antimperialisti che negli anni settanta erano numerosi. Il Pkk si poneva l’obiettivo della costituzione di uno Stato separato socialista.
Lo Stato turco mantenne una posizione rigida e nel 1982 adottò una costituzione, ancora oggi in vigore, che sancisce che la Turchia è “un’entità indivisibile” vietando la lingua curda scritta e parlata. Nel 1984 il Pkk scatenò la rivolta con la lotta armata.
Nei decenni successivi ci sono stati più di 37.000 caduti su entrambi i fronti. Öcalan non era una mammoletta: ha una nomea di bruto sanguinario (in parte esagerata, ma in parte giustificata). Ma lo Stato turco è stato ancor più brutale e negli ultimi dieci anni dello scorso secolo ha distrutto più di tremila villaggi curdi. Mentre da un lato accusava i Curdi di terrorismo, spargeva il terrore tra la popolazione del Kurdistan.
Invece di ammettere che non era possibile far sparire una minoranza di venti milioni di persone, non ha voluto accettare nemmeno un’opposizione curda moderata. Dal 1991 una legge contro il terrorismo ha permesso di perseguire come terrorista chiunque – giornalisti, intellettuali, attivisti – sostenesse i diritti dei Curdi anche in forme non violente. Il codice penale turco sanziona le espressioni verbali e scritte di sostegno ai diritti dei Curdi, assimilandole a manifestazioni di odio razziale.
Poi, nel febbraio 1999, dopo una spettacolare caccia all’uomo a livello internazionale, Abdullah Öcalan fu catturato in Kenya, arrestato e tradotto in Turchia per subire un processo con l’accusa di tradimento.
Democrazia e diritti delle minoranze
Seguì, per Öcalan, una lunga fase di ripensamento. Dopo il crollo dell’Unione sovietica nel 1991, egli era uno dei tanti personaggi della sinistra internazionale che avevano respinto il marxismo-leninismo, il “socialismo reale”, lo stalinismo, in quanto autoritari e dogmatici. Il popolo curdo, sosteneva, “deve reagire alle esigenze del momento storico” e “riconsiderare i principi, i programmi e le modalità di azione”. Invece di tentare di imporre un sistema rigido, doveva “assicurare e applicare i più ampi criteri di democrazia” (1). Così, nel 1993, dichiarò unilateralmente il cessate il fuoco e osservò: “Turchi e Curdi sono affratellati da più di mille anni e noi non accettiamo una separazione dalla Turchia.” (2)
Nel 1999, però, molti non si erano accorti che Öcalan aveva cambiato linea. Al suo processo, che inevitabilmente ebbe un carattere politico, in tanti si aspettavano che esortasse il Pkk a riprendere la lotta per uno Stato curdo e invece rese pubblica una presa di posizione che spingeva per l’accettazione dei confini esistenti in una Turchia unita e la democratizzazione dell’intero paese, per garantire a ogni cittadino il diritto di partecipare alla vita politica su un piano di parità, senza differenze di etnia.
“La situazione, tanto per i Turchi quanto per il Curdi, sarebbe migliore in una Turchia veramente democratica”, affermò Öcalan davanti agli inquirenti. “E la Turchia non può essere una vera democrazia se non riconosce l’esistenza e i diritti del popolo curdo. Altri paesi hanno imparato a convivere con le minoranze e a consentire la partecipazione associandola a vari livelli di autonomia culturale e linguistica. L’integrazione e la diversità hanno trasformato le differenze in un elemento di forza e hanno reso più potenti quelle nazioni. Un assetto democratico, inoltre, spingerebbe finalmente la Turchia nell’ambito dei moderni paesi occidentali, portando così a compimento il sogno di Atatürk”.
Quale che fosse l’idea che gli inquirenti si erano fatti di quel messaggio, era del messaggero che non si curavano: incriminarono Öcalan per tradimento e lo condannarono a morte. Pochi anni dopo, la domanda di entrare nell’Unione europea impose alla Turchia di eliminare la pena di morte e la sentenza di Öcalan fu commutata in ergastolo. Fu incarcerato nell’isola di Imrali, nel mar di Marmara.
Poiché gli erano consentite solo occasionali visite dei suoi legali, a Öcalan non restava altro che molto tempo a disposizione, così quello che era stato il capo della lotta armata si dedicò allo studio. I suoi avvocati gli portavano libri da leggere, testi di storia, di sociologia e di altri argomenti. Tra il 2001 e il 2002 si interessò alle opere di Bookchin, soprattutto a Ecologia della libertà e a The Rise of Urbanization, le cui traduzioni in turco erano state pubblicate diversi anni prima. In quelle pagine riconobbe uno spirito affine, quello di un altro attivista di sinistra che aveva vissuto un passaggio dal marxismo-leninismo alla democrazia radicale.
Bookchin da ragazzo era stato stalinista, ma quando aveva visto che il proletariato non era insorto contro il capitalismo alla fine della Seconda guerra mondiale aveva preso atto del cambiamento di circostanze e rotto con il marxismo. Era però rimasto su posizioni anticapitaliste e rivoluzionarie e negli anni cinquanta (come Öcalan quarant’anni dopo) attuò un ripensamento.
A differenza delle avanguardie autoritarie dello stalinismo, una sinistra moderna e reinventata doveva essere completamente democratica. Ispirandosi ai suoi studi sulle assemblee cittadine dell’antica Atene, Bookchin arrivò alla conclusione che un futuro movimento rivoluzionario dovesse prima di tutto evitare i despoti e adottare l’assemblea popolare come attuazione istituzionale della libertà. L’attuale Stato nazionale sarebbe scomparso e i suoi poteri consegnati ai cittadini riuniti in assemblee democratiche faccia a faccia .
Bookchin intuì anche che il peccato mortale del capitalismo stava nel suo conflitto con l’ambiente naturale, che avrebbe portato alla crisi; redasse così i primi manifesti di ecologia radicale, auspicando il decentramento delle metropoli, per poter vivere in dimensioni meno estese, producendo localmente il cibo e utilizzando energia rinnovabile. Il governo sarebbe stato dei cittadini, non dei padroni dell’industria, dei diktat del mercato o delle autorità dello Stato. Bookchin si impegnò per vari decenni a elaborare queste tesi in un programma per una società ecologica e democratica. A questo programma diede nomi diversi nel corso degli anni: eco-anarchismo, municipalismo libertario e infine comunalismo.
Due dialettici
Öcalan avrebbe visto in Bookchin un uomo che pensava come lui, con un’impronta dialettica ereditata dal loro comune passato marxista. Non che fossero più materialisti dialettici, ma restavano tali nel senso che tendevano a riflettere in termini di uno sviluppo, soprattutto sul piano storico. I due testi che Öcalan lesse durante la sua detenzione erano strutturati dialetticamente, come narrazioni storiche (3).
L’ecologia della libertà è un vasto affresco della storia umana. “Nelle primitive società ‘organiche’ della preistoria – scriveva Bookchin – il popolo delle tribù viveva in comunità non gerarchiche. I mezzi di sussistenza erano distribuiti comunalmente secondo il costume dell’usufrutto (utilizzo delle risorse in base alle necessità), un’etica della complementarietà (mutualità) e del minimo irriducibile (diritto per tutti al cibo, all’alloggio e all’abbigliamento).
Abituate a pensare in termini cooperativi, le persone guardavano al mondo naturale come similmente armonioso”.
Per Öcalan era di particolare interesse il fatto che Bookchin aveva dedicato molta attenzione ai Sumeri e all’antica Mesopotamia. Lì era cominciata la civiltà: “La scrittura cuneiforme [...] ebbe origine nelle registrazioni meticolose che gli addetti al tempio tenevano dei prodotti ricevuti e di quelli distribuiti” (p. 144). I Sumeri all’inizio avevano un atteggiamento notevolmente ugualitario: “Le prime ‘città-stato’ erano governate da ‘assemblee ugualitarie’ che disponevano di una ‘libertà a un livello fuori del comune’” (p. 129). Bookchin osservava affascinato come tra i Sumeri fosse apparsa scritta, per la prima volta nella storia, la parola “libertà” (amargi), su una tavoletta in caratteri cuneiformi che descrive una vittoriosa rivolta popolare contro un re tiranno (p. 168). Poi delineava come fosse emersa la gerarchia: gerontocrazia e patriarcato, sciamani e sacerdoti, guerrieri, capi e Stati, proprietà e società di classi. Anche tra i Sumeri (e nell’antica Mesoamerica) erano emerse gerarchie religiose e militari, dando origine a Stati, eserciti e imperi. La modernità (col capitalismo industriale) rafforza ed espande le antiche forme di dominio. Inoltre, invece di vivere in armonia con la natura, le moderne società capitaliste concepiscono la natura come un oggetto da sfruttare e ambiscono a dominarla.
Secondo Bookchin, però, l’emergere della gerarchia, l’ascesa dello Stato nazionale e del capitalismo non erano eventi inevitabili e se abbandoniamo l’idea che lo fossero, possiamo elaborare la visione di un “futuro liberato” (p. 67). Un tempo le persone vivevano in forme cooperative e comunali, e possono farlo anche ora. Il ricordo sepolto della società organica “funziona inconsciamente con un implicito impegno per la libertà” (p. 143).
La tradizione di dominio, pertanto, si oppone a un contro-movimento di tradizione di movimenti di libertà e resistenza che cercano di rovesciare il dominio e di creare società libere. Questi movimenti hanno inconsciamente assorbito i principi della società organica: usufrutto, complementarietà, minimo irriducibile, pur dandogli altri nomi, come socialismo, comunalismo o cooperativismo. Anche tra gli antichi Sumeri, dopo il sorgere di regni, “ci sono prove di rivolte popolari, forse per ripristinare l’antica gestione sociale o per limitare l’autorità del bala (sovrano)”. Anche “i potenti capi militari, gli ensi, erano più volte sottoposti a giudizio da assemblee popolari” (p. 195). La storia delle ribellioni popolari di lì in poi procede parallelamente a quella del dispotismo.
Oggi più che mai le persone, che vivono in economie capitaliste e sono dominate da Stati nazionali, ambiscono a una società profondamente trasformata, che sia comunale e cooperativa, che si sia liberata sia del capitalismo sia degli Stati nazionali, che sia in un rapporto cooperativo con la natura. Le speranze di una società liberata ed ecologica poggiano sul potenziale di questo rinnovamento sociale. Bookchin ha chiamato questo insieme di tesi “ecologia sociale”.
Nell’altro libro letto da Öcalan, Urbanization Without Cities, Bookchin poneva le basi storiche di una rivolta municipalista contro lo Stato nazionale e il capitalismo. Individuava una tradizione di assemblee democratiche di cittadini che era nata con l’antica ekklesia, era proseguita con i primi comuni medievali in Italia, in Germania e nei Paesi bassi, i vece Pskov e di Novgorod, le assemblee del comuñero della Spagna del cinquecento, quelle della Parigi rivoluzionaria del 1789, i comitati e i consigli della Rivoluzione americana, la Comune di Parigi del 1871, i soviet del 1905 e del 1917, i collettivi della Spagna rivoluzionaria del 1936-37 e i meeting cittadini del New England. Contrariamente a quanto sosteneva il marxismo, l’agente della rivoluzione non è l’operaio, ma il cittadino e il luogo della rivoluzione non è la fabbrica, ma la municipalità.
Öcalan ecologista sociale
Il “principio di speranza” offerto dalla Ecologia della libertà deve avere ispirato Öcalan in carcere. Quando riprese la penna, le sue parole erano influenzate dalla tesi secondo la quale un tempo si sarebbe vissuto in comunità solidali e che ne resterebbero oggi le possibilità. “La vittoria del capitalismo non è una semplice fatalità” ha scritto Öcalan nel 2004. “Avrebbe potuto esserci un’evoluzione diversa.” Anzi, “c’è sempre stata una scelta di libertà” (4), scriveva a proposito delle primitive forme sociali comunali, come la “società organica” di Bookchin, che Öcalan ha ribattezzato “società naturale”. Secondo lui, la gerarchia ha avuto origine tra i Sumeri (5), nelle ziggurat, le piramidi a gradoni della Mesopotamia che erano in parte templi, con le divinità che abitavano il piano superiore, ma anche centri amministrativi e, ai piani inferiori, siti per la produzione di merci (6). Poiché inglobavano l’autorità religiosa, quella statale e quella economica, le ziggurat rappresentavano un ordine sociale nel quale il popolo faticava per servire un ipotetico sovrano divino. I sacerdoti che costruivano le ziggurat erano “architetti del potere politico centralizzato”, le costruzioni erano “laboratori per codificare le concezioni degli umani [...] dove venne creata la creatura succube”.
Col tempo i templi crebbero e si trasformarono in città, le città in Stati, imperi, civiltà, ma la natura del fenomeno restava la stessa: “La storia della civiltà altro non è che la prosecuzione della società sumera [...] che si ramifica e si diversifica, ma conserva l’identica configurazione di fondo.” (7)
Viviamo ancora nel paese dei Sumeri, “questa incredibile invenzione intellettuale [che] controlla da sempre la storia intera” (8). Inoltre, rileva Öcalan riprendendo Bookchin, l’emergere della gerarchia ha introdotto l’idea del dominio sulla natura: “Invece di essere parte della natura” la società gerarchica la considera “sempre di più una risorsa” (9).
Ispirato dalla tesi di Bookchin della “tradizione di libertà”, Öcalan ha affermato che gli aspetti comunitari della “società naturale” permangono nei gruppi etnici, nei movimenti di classe e in quelli religiosi, nei gruppo filosofici che si battono per la libertà. Tutta la storia dell’Occidente è attraversata da una contraddizione dialettica tra libertà e dominio, perché “la società comunale è in conflitto permanente con quella gerarchica” (10).
Infine Öcalan ha fatto propria l’ecologia sociale. La “società naturale” era in un certo senso una società ecologica. Le stesse forze che distruggono dall’interno la società troncano importanti legami con la natura. Il capitalismo è anti-ecologico e noi abbiamo bisogno di un “consapevole impegno etico” contro di esso, ci serve “un sistema con fondamenti morali che comporti relazioni dialettiche sostenibili con la natura [...] ove il comune benessere sia conseguibile con la democrazia diretta.” (11)
La lotta per la libertà dei Curdi è coerente con l’ecologia sociale, perché è in parte una lotta che rivendica i valori della società organica: “Molti tratti e molte caratteristiche della società curda [...] hanno somiglianze con quelli delle comunità del neolitico,” (12) soprattutto quelle di una società organica.
Inoltre, “per tutta la loro storia i Curdi hanno favorito il sistema dei clan e delle confederazioni tribali e si sono battuti per resistere ai governi accentratori.” (13) Ancora, non sono i Curdi che incarnano in modo particolare la lotta per la libertà: “Qualsiasi soluzione dovrà prevedere opzioni non valide solo per il popolo curdo, ma per tutto il popolo.” Öcalan rimane, come Bookchin, un internazionalista: “Affronto questi problemi sulla base di un umanesimo, di una umanità, una natura e un universo.” (14)
Confederalismo democratico
Anche se languiva dietro le sbarre, Öcalan riusciva a comunicare con il popolo curdo attraverso i propri legali. Cominciò così a raccomandare Bookchin.
Invitò tutti i sindaci dei territori curdi a leggere Urbanization Without Cities e tutti i militanti a studiare L’ecologia della libertà. (15) Nella primavera del 2004 fece contattare Bookchin dai suoi legali per avviare un dialogo con lui. Öcalan spiegò a Bookchin, attraverso i suoi intermediari, di considerarsi un suo allievo, di avere acquisito una buona comprensione della sua opera e di aspirare ad rendere le sue idee applicabili nelle società mediorientali. Gli mandò anche uno dei suoi manoscritti.
Se quel colloquio fosse avvenuto, sarebbe stato un evento straordinario. Ma a ottantatré anni Bookchin era troppo ammalato per accettare. Comunque nel maggio di quello stesso anno scrisse a Öcalan: “La mia speranza è che un giorno il popolo curdo riesca a fondare una società razionale e libera, che renda possibile far rifiorire il suo splendore. Ha la fortuna di avere leader come il signor Öcalan.” (16) Questo messaggio, come apprendemmo in seguito, fu letto pubblicamente alla Seconda assemblea generale del Congresso del popolo del Kurdistan, tra le montagne.
Öcalan ha continuato a elaborare un concreto programma ecologico-sociale per i Curdi, per spingere alla democratizzazione e all’organizzazione comunale. Ha auspicato che i Curdi costituissero consigli e assemblee nei quartieri urbani, nelle città e nei villaggi. Ha chiamato questo programma “confederalismo democratico”. Nel marzo del 2005 ha pubblicato la “Dichiarazione del confederalismo democratico in Kurdistan” che esortava a creare “una democrazia di base, fondata sulla struttura di comuni democratici della società naturale. Essa costituirà assemblee di villaggio, di città e metropolitane, e ai loro delegati saranno affidati i compiti decisionali, il che in pratica significa che saranno il popolo e la comunità a decidere.”
Il confederalismo democratico di Öcalan sostiene i diritti individuali e la libertà di espressione per chiunque, al di là delle differenze religiose, etniche e di classe. Esso “promuove un modello di società ecologico” e non solo sostiene la liberazione della donna, ma la considera un aspetto centrale: “Faccio appello a tutti i settori della società, soprattutto a tutte le donne e ai giovani, perché formino le proprie organizzazioni democratiche e si autogovernino.”
La possibile diffusione di queste organizzazioni democratiche, suggerisce Öcalan, porterà ad avviare un processo di democratizzazione in Turchia. Si creerebbe una rete che travalica i confini nazionali, portando la cultura democratica in tutta l’area mediorientale, e non solo libertà per i Curdi ma un’unione confederale democratica in tutto il Medio oriente.
Alla morte di Bookchin, nel luglio 2006, l’assemblea del Pkk ha reso omaggio a “uno dei maggiori scienziati sociali del ventesimo secolo”. Bookchin “ci ha introdotto al pensiero dell’ecologia sociale, – ha dichiarato l’assemblea – e ha contribuito a sviluppare la teoria socialista per farla avanzare su basi più solide.” Ha indicato come tradurre in realtà un nuovo sistema democratico. “Ha avanzato il concetto di confederalismo, un modello che noi crediamo creativo e realizzabile.”
L’assemblea ha anche affermato: “Le tesi [di Bookchin] sullo Stato, il potere, la gerarchia saranno messe in pratica e attuate attraverso la nostra lotta [...]. Realizzeremo questa promessa come prima società che stabilisca un concreto confederalismo democratico.”
Nel luglio 2011 un congresso straordinario a Diyarbakir (la capitale curda de facto) ha dichiarato “l’autonomia democratica”, intendendo con ciò che le città e i centri urbani curdi tradurranno in pratica questo principio costituendo istituzioni democratiche e organizzazioni della società civile. In seguito è sorta un’elaborata struttura consigliare, con basi nelle città, nei quartieri e nei villaggi, che assicura l’autogoverno dei Curdi a livello locale e affianca le istituzioni regolari dell’amministrazione turca. Le organizzazioni sono in fase di attuazione, ma se si considera che sono state create in condizioni di costante repressione e di guerra, è notevole quanto si è già realizzato. (17)
Con tali mezzi è auspicabile che il popolo curdo conquisti un giorno la sua tanto sognata amargi.
Janet Biehl
traduzione dall’inglese di Guido Lagomarsino
Note
* Abdullah Öcalan, Declaration on the Democratic Solution of the Kurdish Question, 1999, trans. Kurdistan Information Centre, Mesopotamian Publishers, London 1999, qui a seguito Defense, pp 106 sgg.
*Cit. in Michael Gunther, The Kurds Ascending, 2nd ed. Palgrave Macmillan 2011, p. 65.
*Murray Bookchin, L’ecologia della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia, Elèuthera, Milano 2010; The Rise of Urbanization and the Decline of Citizenship, Sierra Club, San Francisco, 1986.
*Abdullah Ö, In Defense of the People (inedito), p. 41. Per la traduzione inglese del manoscritto si ringrazia l’International Initiative Freedom for Ö, Peace in Kurdistan. Il testo è stato pubblicato in Germania con il titolo Jenseits von Staat, Macht und Gewalt, Mesopotamien Verlag, Neuss, 2010.
*Abdullah Ö, Prison Writings, The Roots of Civilization, trad. Klaus Happel, Pluto Press, London 2007; e Prison Writings, The PKK and the Kurdish Question in the 21st Century, Klaus Happel, Transmedia, London 2011.
* Öcalan, Roots, p, 6.
*Ibid. p. 35, 25, 98.
*Öcalan, PKK and the Kurdish Question, p. 96.
*Öcalan, Defense of People, cap. 12. 10 Öcalan, PKK and the Kurdish Question, p. 51, 65, 60.
*Öcalan, Defense of People, cap. 3,4.
*Öcalan, PKK and the Kurdish Question, p. 22.
*Öcalan, “The Declaration od Democratic Confederalism”, 4 febbraio 2005, online su http://www.kurdmedia.com/article.aspx?id=10174.
*Öcalan, PKK and the Kurdish Question, p. 52.
*Così mi è stato riferito dall’intermediario tra i legali di Öcalan e Bookchin, che desidera rimanere anonimo.
*Copia in possesso dell’autrice.
*Per lo studio delle istituzioni di autonomia democratica, vedi TATORT Kurdistan, Demokratische Autonomie in Nordkurdistan (2011), http://demokratischeautonomie.blogspot.eu.