Il
cumulo di abusi, spoliazioni, inganni, imbrogli, arresti, morti, non è iniziato
la notte di Iguala, né si ferma ad Ayotzinapa. Quello che invece ora c’è, è un
massiccio scontento che si pronuncia e si mobilita. Oltre alla violenza
criminale, sempre inclusa, non cessa la catena di aggressioni ed invasioni
istituzionali contro i popoli indigeni del paese. Se mettiamo sulla mappa dei
puntini rossi, questi coincidono con quasi tutti i territori reali e simbolici
dei popoli originari. E questo senza parlare dei delitti e delle discriminazioni
che si commettono quotidianamente contro immigrati e residenti indigeni nelle
città.
La macchina dell’informazione può seguire le proprie rotte, fissazioni,
interessi o l’inevitabilità della notizia. I conflitti nelle (e contro) le
comunità semplicemente continuano. Non è retorico dire che l’emergenza e
l’autodifesa sono parte della loro esistenza quotidiana. E non finisce qui.
È
proprio in decine di regioni, in centinaia di comunità e villaggi, dove si
pratica la resistenza reale, quasi sempre pacifica, anche disarmata, e mai
ostile, lì dove il potere applica sistematicamente le sue ricette fatte di
aggressione, divisioni deliberate, repressione, persecuzione. Leggi secondarie,
decreti perversi, accordi incompiuti.