domenica 10 maggio 2015

Messico - Tre generazioni di donne EZLN.

miriam1Sub Galeano: È un onore ascoltare tre generazioni di donne dell’EZLN.

“È un rivoluzione quotidiana che vede le donne in prima linea”.

“Se una donna veniva picchiata dal marito, non poteva reclamare. 
Se chiedeva aiuto alle autorità, queste non facevano giustizia. 

Eravamo umiliate, ci vergognavamo di essere donne”, ricorda la comandante Miriam, nel Seminario il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista, esponendo la difficile strada che hanno dovuto e che devono percorrere le donne indigene affinché i loro diritti siano rispettati.

La comandanta zapatista ha ricordato che al tempo dei cacicchi, vivevano acasilladas con le loro famiglie all’interno delle tenute, dove non erano rispettati e venivano trattati come oggetti. È per questo che molte famiglie decisero di andare in montagna e formare una comunità per vivere fuori dalla tenuta. Purtroppo, una volta nel nuovo villaggio, anche se non c’era più il padrone, c’erano pero i “padroncini”, ovvero gli uomini di casa, “le donne vivevano rinchiuse come in una prigione”, ha raccontato Miriam.

“Le donne le obbligano a sposare qualcuno contro la loro volontà. Poi ogni anno c’è una gravidanza, al marito non importa se la donna soffre. La donna si alza presto per preparare il pranzo che il marito si porterà al lavoro, poi quando il marito torna a casa, se ne va a passeggio o a giocare e la donna resta sola, e quando a notte fonda torna il marito, questo non le chiede come stai o se hai bisogno di qualcosa”, ha spiegato la ribelle zapatista. “quando si va a qualche festa, vogliono che le donne restino con il capo chino e coperte con lo scialle, come se non fossimo niente”, ha aggiunto.

Da parte sua la comandanta Rosalinda, seconda generazione di donne zapatiste, ha detto che a poco a poco, lavorando nelle diverse commissioni assegnatele, ha perso la paura e la vergogna. “La partecipazione delle donne è necessaria, abbiamo lo stesso coraggio e la stessa forza degli uomini”, ha aggiunto. La comandanta Dalia ha poi esternato: “gli uomini una volta erano degli stronzi, ed alcuni ancora lo sono, ma non tutti perché adesso le donne si fanno rispettare”. “È necessario partecipare all’organizzazione e formare altre generazioni”, ha aggiunto.

Le giovani zapatiste Lisbeth e Selena, Terza generazione di donne zapatiste, hanno detto che loro “non sanno come funziona con le autorità del malgoverno”, perché sono cresciute con le proprie autorità autonome. Loro possono scegliere quello che vogliono essere, sia nell’area dell’educazione, salute, mezzi di comunicazione o come autorità, ci sono diversi compiti che come donne possono svolgere”, hanno aggiunto. 
Nello stesso tempo hanno affermato di essere coscienti dell’influenza che hanno sui giovani i grandi mezzi di comunicazione riguardo il modo di vestire, di comperare ed il modo di fare. Inoltre si rammaricano che i giovani che non sonno nell’organizzazione emigrino in altri stati e cambino completamente i loro usi e costumi.

Nel suo intervento il subcomandante Galeano ha dichiarato che le donne non solo devono lottare contro il sistema, “ma contro di noi, gli uomini”.

Dal Kurdistan è arrivato quindi il messaggio di resistenza della gente della montagna e del fuoco, in particolare delle donne. Rivendicando il diritto di continuare ad esistere, che cosa è la vita senza libertà? si chiede Havin Güneser, del Kurdish Freedom Movement. 

venerdì 8 maggio 2015

Messico - Il Muro e la Crepa. Primo Appunto sul Metodo Zapatista.

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Il Muro e la Crepa.

Primo Appunto sul Metodo Zapatista.

3 maggio 2015

Buona sera, giorno, notte a chi ci ascolta e chi ci legge, indipendentemente da calendari e geografie.

Il mio nome è Galeano, Subcomandante Insurgente Galeano. Sono nato all’alba del 25 maggio 2014, per volere collettivo e non mio, e nemmeno di altri, altre e otroas. Come il resto delle mie compagne e compagni zapatisti, mi copro il volto quando è necessario mostrarmi, e mi scopro per nascondermi. Nonostante non abbia ancora compiuto un anno di vita, il comando mi ha assegnato il compito di guardia, vedetta o sentinella in uno dei posti di osservazione di questa terra ribelle.

Siccome non sono abituato a parlare in pubblico, tantomeno di fronte a così tante e così (scusate, dev’essere il singhiozzo da panico del palcoscenico), dicevo così raffinate personalità, vi ringrazio per la comprensione per i miei balbettii ed inciampi nella difficile e complicata arte della parola.

Ho assunto il nome di Galeano, il nome di un compagno zapatista, un maestro ed organizzatore, indigeno che fu aggredito, rapito, torturato ed assassinato da paramilitari patrocinati da una presunta organizzazione sociale: la CIOAC-Histórica. L’incubo che si concluse con la vita del compagno maestro Galeano, iniziò l’alba del 2 maggio 2014. Da quell’ora, noi, zapatiste e zapatisti, abbiamo iniziato la ricostruzione della sua vita.

In quei giorni la direzione collettiva dell’EZLN decise di far morire il personaggio autonominato SupMarcos, allora portavoce degli uomini, donne, bambini ed anziani zapatisti. Da allora, l’incarico di portavoce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale è stato assunto dal Subcomandante Insurgente Moisés. Per sua voce parliamo, attraverso i suoi occhi guardiamo, nei suoi passi camminiamo, noi siamo lui.

Mesi dopo quel 2 maggio, la notte è scesa sul Messico aggiungendo un nuovo nome alla già la lunga lista del terrore: “Ayotzinapa”. Come è già avvenuto altre volte nel mondo, una geografia del basso veniva segnalata e nominata da una tragedia studiata ed eseguita, cioè, un crimine.

Abbiamo già detto, per voce del Subcomandante Insurgente Moisés, cosa ha significato Ayotzinapa per zapatiste e zapatisti. Col vostro permesso e delle mie compagne e compagni cape e capi zapatisti, riprendo le sue parole.

Ayotzinapa è dolore e rabbia, ma non solo. È anche e soprattutto l’ostinato impegno dei genitori e compagni degli assenti.

Alcuni di questi genitori che non hanno lasciato cadere la memoria, ci hanno fatto l’onore della loro condivisione e sono qui con noi in terre zapatiste.

Abbiamo ascoltato la parola di Doña Hilda e Don Mario, madre e padre di César Manuel González Hernández, ed abbiamo la presenza e la parola di Doña Bertha e Don Tomás, madre e padre di Julio César Ramírez Nava. Con loro reclamiamo i 46 assenti.

A Doña Bertha e Don Tomás chiediamo di far arrivare queste parole agli altri familiari degli assenti di Ayotzinapa. Perché è stata la loro lotta a far avviare questo semenzaio.

Credo che più di una, uno, unoa, della Sexta e dell’EZLN concorderanno con me che avremmo preferito che non fossero qui. Voglio dire che avremmo voluto che fossero qui ma non per dolore e rabbia, ma per un abbraccio tra compagni. Che non fosse successo nulla quel 26 settembre. Che il calendario avesse dato una mano amica ed avesse saltato quella data, e che la geografia si fosse persa e non si fosse fermata ad Iguala, Guerrero, Messico.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!