martedì 3 novembre 2015

Turchia - The Day After

Le elezioni, come grande "sondaggio" del clima in un paese, ci consegnano un immagine della Turchia reale. 

Si può dire che quello a cui abbiamo assistito in questi mesi è da "manuale della strategia della tensione", per alimentare la conferma di un governo forte. 

Si può dire che la conferma di Erdogan ripropone con forza il nazionalismo profondo legato alla stessa nascita dello stato turco, alimentato dalla caotica situazione per la ricerca della predominanza in tutta l’area. 

Si può dire che la grande affluenza alle urne ha premiato le forze reazionarie radicate attorno al Bosforo. 

Si possono dire e rileggere tante cose dette prima ed ora, come le analisi legate alla frenata della crescita economica passata dal boom degli anni passati a trend più bassi. 

In ogni caso la forza di Erdogan ci schiaffa in faccia la pericolosità perversa dell’Islam politico, nella versione cosiddetta "moderata" e radicale. Ci dimostra che nel grande caos della ridefinizione globale e dell’area che corre dall'Africa all'Asia, squassata da integralismi ed autoritarismi, da alleanze in continua modificazione, Erdogan ha giocato le sue carte, ha forzato il banco per vincere. Lo ha fatto, mettendo alleati e nemici davanti al fatto che ora può "agire in nome della maggioranza del paese". E questo vale per l’Europa, sotto ricatto del Sultano per i migranti in fuga come per l’America alle prese con il fatto di far digerire ad Istanbul l’apertura verso l’Iran. Possono dirsi soddisfatti, anche se di certo non credono nella dimensione del voto, gli altri "soci" di Istanbul, dall’Isis agli ambienti islamici vari. 

Siamo nel Day After. 

Per Erdogan si aprono scelte da intraprendere che vengono sintetizzate in un articolo di Daniele Santoro in Limes: "guerra totale ai nemici interni ed esteri o compromesso per ottenere la riforma presidenziale e riportare Ankara al centro dei giochi nel Mediterraneo orientale."

Kurdistan - Case crivellate dai proiettili,edifici squarciati dalle bombe. Il Kurdistan post elezioni

IMG_6480Immagini dal Kurdistan turco il giorno dopo le elezioni. 

di Stefania Battistini e Ivan Grozny


A Nusaybin un edificio squarciato da una bomba che ha ucciso un bambino di 13 anni e ferito 20 persone. 
A Cizre, dietro le barricate, le case sono crivellate di proiettili, raccontano ancora delle 26 persone rimaste uccise durante gli scontri con l’esercito turco. 
Qui gli abitanti hanno subito nove giorni consecutivi di coprifuoco, senza poter mai uscire di casa. 

Ed è quello che ha denunciato il copresidente dell’Hdp Onan appena dopo il risultato elettorale. “Molte persone hanno dovuto abbandonare città come Sur e Lice, sotto assedio da mesi a seguito dei diversi scontri tra PKK ed esercito turco”, ha detto. 

“Durante le votazioni c’era un clima intimidatorio, con carri armati fuori dalle scuole e militari con mitragliatrici in mano dentro i seggi”.
E sono queste le immagini che abbiamo raccolto lungo le antiche strade dell’Anatolia: villaggi militarizzati e armi nei seggi. Senza contare che il blocco della strada di collegamento tra i villaggi e la città di Lice, fatta saltare con le mine, ha impedito a oltre tremila persone di votare.

Nonostante questo clima, il partito filocurdo dell’Hdp ieri è riuscito a superare, per la seconda volta nella storia, l’altissima soglia di sbarramento del 10%, pensata proprio per tenerli fuori dal Parlamento. Ha perso un milione di voti rispetto alle elezioni del giugno scorso, quando fece perdere la maggioranza assoluta a Erdoğan, ma ha raggiunto comunque, dal punto di vista curdo, un buon risultato. Per questo ieri a Diyarbakir (la città che ha subito il primo dei tre attentati di questi mesi) ci sono stati solo tafferugli estemporanei, ma nessuna manifestazione di piazza, né rivolta. 

Da più parti – dai grandi giornali ai siti di informazione alternativa – si è letto di “rabbia curda in piazza”, ma per chi ieri ha passato la notte a Diyarbakir è chiaro che venti tizi che tirano due sassi non sono certo una rivolta, sopratutto in un luogo come questo in cui “scontri” significano almeno quattro giorni di barricate. 
Ieri sera a mezzanotte c’era un silenzio quasi irreale attorno alle sede dell’Hdp, dentro cui si tiravano le somme, in modo positivo. Perché questo risultato consente all’Hdp, da una posizione istituzionale, di continuare a fare da ponte tra PKK e governo turco.

“Non cambieremo politica – dice ancora Onen – Siamo determinati a portare avanti il processo di pace”.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!